RUSSIA: Putin per la terza volta al Cremlino. Ma cosa ha fatto di buono fin qui?

di Giovanni Bensi

DA MOSCA – Ormai Vladimir Putin è presidente della Russia per la terza volta, dunque per sei anni, e se volesse poi potrebbe rimanercene altri sei. Dmitrij Medvedev torna sulla poltrona di premier e dovrà vedersela anche con la guida di „Russia Unita” i cui dirigenti fanno un po’ la figura dei “polli di Renzo” di manzoniana memoria. Il tandem Putin-Medvedev ha dietro di sé quattro anni di potere, e all’inizio di questo nuovo periodo dopo la staffetta è interessante vedere che cosa i due massimi dirigenti, al Cremlino e alla Casa Bianca, hanno lasciato alla Russia. La domanda se l’è posta l’organizzazione economica moscovita FBK (Consulting di finanza e contabilità) guidata da un gruppo di specialisti della facoltà di economia delle MGU (Università statale di Mosca Lomonosov), compresi i fondatori della compagnia Sergej Shapiguzov e Elena Proskurnja.

A giudizio del gruppo di esperti i quattro anni di permanenza al potere del tandem Putin-Medvedev, nonostante le ottimistiche dichiarazioni dell’ex premier e ormai presidente, non sono stati segnati da particolari traguardi economici. “I risultati economici dell’era Medvedev: sogni e chiacchiere”, questo il giudizio dell’FBK. Dopo aver analizzato l’elenco dei successi e insuccessi degli ultimi anni, gli economisti sono arrivati alla conclusione che il tandem non ha proprio niente di cui vantarsi particolarmente. L’innovazione e la modernizzazione, che venivano attivamente reclamizzate dal presidente Dmitrij Medvedev, sono rimaste solo dei sogni. Il “centro finanziario internazionale” a Mosca, vagheggiato da Medvedev. non è stato creato. Sconfiggere la corruzione, come riconosce lo stesso ormai ex capo dello stato, è anche risultato impossibile. Infine l’economia non basata sulle sole risorse naturali in Russia è rimasta sottosviluppata, mentre il settore delle materie prime ha ormai raggiunto i limiti delle sue possibilità.

Come risultato il paese sta davanti a un vicolo cieco economico e a un vuoto di idee, mentre le trasformazioni stanno diventando una necessità vitale, ma le élite non dispongono neppure del piano d’azione più generico. “Letteralmente fra alcuni mesi potremmo trovarci nella situazione di un nuovo, 1991”, ritiene Nikita Maslennikov, consigliere dell’Istituto per lo sviluppo contemporaneo. E continua: “Non dal punto di vista della distruzione e del collasso, ma dal punto di vista che finalmente si devono fare le riforme: ma come, perchè e chi le deve fare finora nessuno l’ha capito bene”.

Secondo la valutazione che Putin dà di se stesso, la Russia ha superato la crisi con maggior successo di altri paesi e già ora pronta ad entrare, fra un paio d’anni, nel novero delle cinque maggiori economie del mondo. Gli esperti dell’FBK, invece, ne dubitano. Basandosi sui dati del “Rosstat” (l’uffcio federale di statistica) gli analisti hanno calcolato i parametri macroeconomici fondamentali per la Russia nel corso di 4 anni. Dal 2008 al 2011 la crescita del PIL della Russia è stato solo del 5,5% (aumento medio annuoсо di circa l’1,3%. Nello stesso tempo dal 2000 al 2007 l’incremento annuo del PIL, in media, aveva superato il 7%.

Parlando alla Duma prima del suo insediamento ufficiale, Putin aveva assicurato che in base a questo parametro la Russia era salita al quarto posto fra le grandi economie. I critici, tuttavia, hanno subito rilevato che ciò non risponde a verità. Così l’ex consigliere del presidente (poi diventto suo critico acerrimo) Andrej Illarionov ricordò che fra i paesi del G-20 la Russia, per i ritmi di sviluppo economico occupa solo il settimo posto. Al termine del suo discorso Putin addirittura sostenne che per la crescita del PIL la Russia occupa “il quarto posto nel mondo”. Tuttavia se si fa il confronto con i 182 paesi sui quali vi sono dati nel database del Fondo Monetario Internazionale, La Russia con i suoi ritmi di accrescimento del PIL nel 2011 era all’87° posto, subito dopo Oman e davanti al Burundi.

Se si confronta la Russia con altri paesi in via di sviluppo del gruppo BRICS (Brasile, India, Cina e Sudafrica)? si vede che per crescita economica la Russia è un outsider. La Cina ha avuto per il 2008-2011 una crescita del PIL del 44,2%, l’India del 34,1%, il Brasile del 15,6%, il Sudafrica dell’8%. Superano la Russia anche gli altri paesi ex sovietici. Uno sviluppo più lento ha caratterizzato solo l’Armenia e l’Ucraina.

Per quanto riguarda i “risultati dell’epoca Medvedev”, c’è da rilevare che l’indice di produzione industriale ha realizzato in quattro anni una crescita del 3,4%, l’incremento degli investimenti nel capitale-base solo del 4%, il numero complessivo dei disoccupati in quattro anni è aumentato del 9%. Più o meno caratterizzata da successi, su questo fondo generale, è stato lo sviluppo solo dell’agricoltura, del commercio al minuto e dei servizi di comunicazione.

Diventato presidente nel 2008, Medvedev ha ereditato da Putin un paese che soffre di dipendenza per quanto riguarda le materie prime, di un parossismo di corruzione e di pressione dello stato sull’economia. In queste condizioni egli ha formulato dei grandi obiettivi di riforma, ma tuttavia non li ha realizzati. Illustrando la dinamica di sviluppo del paese, gli analisti hanno mostrato una tabella riassuntiva che dimostra il regresso, negli ultimi quattro anni, di una serie di parametri. Così, invece della trasformazione di Mosca in un centro della finanza internazionale, nel rating di questi istituti sul piano mondiale la capitale russa è scesa dal 61 posto al 65. Nel rating di concorrenzialità la Russia ora occupa il 66° posto invece del 51°, nel rating delle comodità prestate agli uomini d’affari è scesa al 123° posto invece del 112°. Nel rating dell’ONU per il livello di sviluppo del potenziale umano è retrocessa dal 66° al 63° posto.

Ai russi era stato promesso di migliorare radicalmente il sistema della sanità e dell’istruzione, il settore degli alloggi e l’attività agroindustriale. Medvedev sembrava deciso a lottare senza pietà con la corruzione, a sviluppare nuove tecnologie e ad assicurare gli investimenti nelle infrastrutture, a combattere per l’efficienza energetica. Gli analisti hanno considerato insoddisfacente il lavoro svolto in quasi tutte le direzioni indicate.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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2 commenti

  1. Non c’è dubbio che il quadriennio Medvedev abbia deluso le aspettative di molti. I risultati elettorali lo hanno dimostrato, punendo il partito Russia Unita che pur vincendo è calato nei consensi.
    Tuttavia non credo si possa dire che non si sia fatto proprio nulla. Putin ha fatto molto per rilanciare il suo Paese, soprattutto nei suoi primi anni. E questo a molti livelli: economico, di immagine, militare.
    Uno dei risultati più importanti a mio avviso è l’aver saldato il debito in anticipo sui tempi sia con il Fondo Monetario Internazionale che con il Club di Parigi, liberandosi completamente dal cappio della finanza internazionale. Cosa che – per dire – l’Eurocrazia non fa perché non può e/o vuole.

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