9 maggio Moldavia

9 MAGGIO IN MOLDAVIA: Dentro la “Marcia della Memoria”

Si è svolta sotto una pioggia battente la Marcia della Memoria (Marsul Memoriei/Победный марш) in Moldavia, organizzata dai partiti di opposizione in occasione del Giorno della Vittoria: il 9 maggio 1945, la fine della “Grande Guerra Patriottica”

Come ogni anno il punto di ritrovo per i manifestanti è la Statua di Stefan Cel Mare (Stefano il Grande). Più longevo Voivoda di Moldavia, strenuo difensore del credo ortodosso, redentore del Monte Athos e icona sacra per tutti i cristiani d’oriente. Un simbolo anche per i moldavi, sopratutto per quelli che oggi sotto di lui agitano bandiere rosse e intonano cori sovietici.

Alle 10 in punto si parte. In prima fila trombe e tromboni suonano la Katyusha (“Fischia il vento”), coperti da ombrelli per non bagnare gli spartiti. Al seguito divise militari e medaglie al valore marciano a tempo di musica, circondati da mazzi di fiori e ritratti dei martiri morti in guerra. Dietro di loro migliaia di uomini, donne e bambini sfilano lungo gli ampi bulevard della capitale, dirigendosi lentamente verso il più sacro luogo del comunismo moldavo: il Memoriale della Vittoria, dedicato alle vittime della Grande Guerra Patriottica (II Guerra Mondiale).

Davanti al Museo di Chisinau la marcia si ferma per accogliere il veterano Vasili Semionovici, accompagnato dal leader socialista Igor Dodon. I due prendono la testa del corteo, richiamando la folla al grido di “Hurrà, hurrà”.

Poco dopo, ancora una volta, la simbologia comunista si mischia a quella ortodossa. Per il giubilo delle perpetue si rende onore al Principe Santo Vladimir I, battista della Rus di Kiev.

Manca poco al traguardo e, nonostante la pioggia aumenti, è tempo di far sfilare i ragazzi della Komsomol (Gioventù Comunista della Moldavia).

Ormai ci siamo, ma all’ingresso del memoriale una sorpesa attende i manifestanti. Scortate dalla polizia, due signore sfidano la Vittoria: urlano gli infiniti crimini di guerra commessi dalla Russia di Putin in Ucraina e le deportazioni in Siberia dell’URSS stalinista nella Bessarabia post-bellica. Portano con loro, non è un caso, una bandiera ucraina e una romena; i due paesi che più di tutti spaventano i filo-russi di Moldova.

Superato l’ostacolo, si entra nel memoriale. La “fiamma eterna” è il punto finale della marcia. Da qui, immersi nei simboli del nostalgismo sovietico i leader del post-comunismo moldavo parleranno alla folla. Si racconteranno come gli ultimi difensori dell’identità etnico-linguistica “moldava”, minacciata dalle politiche pro-europee e pro-romene. A settembre ci sono le elezioni parlamentari, è iniziata la campagna elettorale.

Ma, dopo 80 anni, in un paese al centro dell’integrazione europea, come è possibile che accada tutto questo? Per capirlo dobbiamo tornare a Stefano il Grande, icona ortodossa, circondato da bandiere sovietiche.

Non c’è razionalità nella “Marcia della Memoria”, non ce n’è nel definirsi etnicamente “moldavi”. Sono confusi tentativi di sopravvivere nel vuoto ideologico creato dai partiti pro-UE che, in nome dell’integrazione europea, hanno dovuto dichiarare che la nazione moldava non esiste. Esiste qualcos’altro, che al momento però è troppo difficile da spiegare a queste latitudini, dove il concetto di nazione ha ancora un significato prettamente etnico-linguistico. Per questo motivo nel calderone della Vittoria finisce tutto quello che non piace a l’UE. Tutto quello che Maia Sandu non può dire.

Foto di Livio Maone

Chi è Livio Maone

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Roma Tre. Attualmente è studente magistrale all’Università di Bologna.

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