Il 29 aprile il presidente turco Erdoğan è stato accolto dalla premier Meloni a Villa Pamphili, a Roma, in occasione del IV° Summit intergovernativo Italia-Turchia. Il vertice, seguito da un Business Forum tenutosi all’Hotel Parco dei Principi alla presenza di oltre 500 realtà imprenditoriali italiane e turche, è stato salutato da gran parte della stampa turca e italiana come un’occasione fondamentale per rilanciare e valorizzare le relazioni commerciali già esistenti tra i due paesi. L’Italia è il quinto partner commerciale della Turchia, con un interscambio che ha raggiunto i 32 miliardi di dollari nel 2024 e che, nel medio periodo, è destinato a superare i 40 miliardi. Roma e Ankara intrattengono storicamente solidi rapporti che, oltre alla dimensione produttiva, si esprimono in un partenariato di carattere politico, culturale e strategico. Le delegazioni ministeriali dei due paesi hanno, infatti, sottoscritto dieci accordi su temi diversi e trasversali: dall’intesa tra il ministero delle Imprese e del Made in Italy e il ministero dell’Industria e della Tecnologia turco per la cooperazione nei settori di tecnologia, innovazione, industria, all’ accordo tra l’Agenzia spaziale italiana e l’omologa turca per la collaborazione in attività spaziali, passando per gli accordi tra i rispettivi ministeri della Cultura sul contrasto al traffico illecito di beni culturali. Le due nazioni, al centro dello scacchiere mediterraneo, si sono inoltre confrontate su temi specifici legati alla peculiare congiuntura internazionale, tra i quali l’architettura di sicurezza europea, il conflitto in Ucraina, il disastro umanitario a Gaza, e il fenomeno migratorio, in un’ottica di implementazione dei dispositivi di difesa comune nel quadro della partnership NATO-EU e del ruolo strategico giocato in essa dai paesi non membri dell’Unione.
Una difesa comune
Il vertice intergovernativo si presenta come momento di cristallizzazione di una serie di incontri di alto profilo e accordi di difesa tra esponenti politici italiani e turchi. Primo tra tutti, la visita ufficiale del Ministro della Difesa Guido Crosetto ad Ankara il 7 aprile, nel corso della quale, insieme alla controparte turca Güler e al Presidente Erdoğan, sono state discusse le politiche di difesa e deterrenza di NATO e EU, nonché i progetti di cooperazione tra le Forze Armate dei due paesi. Il 6 marzo la turca Baykar, azienda leader nel settore della difesa e acquirente di Piaggio Aerospace, aveva firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con l’italiana Leonardo, annunciando una join venture per la produzione di droni, un mercato in crescita dal valore di 100 miliardi di dollari. L’11 aprile, durante il Forum Diplomatico di Antalya, Erdoğan ha affermato che “la sicurezza europea è impensabile senza la Turchia”, sottolineando la volontà di Ankara di cooperare attivamente con l’Unione Europea nel rafforzare l’architettura di difesa regionale, in un contesto di profonda incertezza determinato dal proseguimento della guerra russo-ucraina e dai nuovi orientamenti della politica estera statunitense dopo l’elezione di Trump, il quale sembra aver messo in discussione i presupposti dell’alleanza transatlantica, lasciando presagire un disimpegno degli USA dallo scenario europeo.
Agli occhi dei paesi dell’Unione, la Turchia sta emergendo sempre più quale partner naturale e indispensabile nell’ambito di iniziative di difesa congiunta, in virtù della sua appartenenza alla NATO, della sua strategica posizione geografica e del suo capitale militare e industriale. Il paese dispone di tecnologie militari avanzate in settori – come quello dei droni – nei quali il complesso industriale della difesa europea è carente, ed è capace di produrre su larga scala carri armati, veicoli da combattimento per la fanteria e munizioni. Baykar ha già finalizzato contratti per l’esportazione di droni con Ucraina, Albania, Croazia, Kosovo, Polonia e Romania. A questi si aggiungono, tra gli altri, l’accordo dal valore di 123 milioni di euro siglato tra la compagnia turca STM e la Marina portoghese per la costruzione di navi di supporto logistico; e il memorandum d’intesa con la Spagna per la vendita degli aerei da addestramento Hürjet. In cambio del supporto offerto, Ankara intende intavolare varie forme di cooperazione con l’Unione, in particolare legate allo scambio di tecnologie. Ciò rischia di determinare una situazione di eccessiva e ambigua dipendenza dell’EU da Ankara, nel contesto della quale, come evidenziato da Riccardo Gasco, coordinatore del programma di politica estera presso il think tank turco IstanPol, “la difesa si trasforma in una vera e propria arma che la Turchia può usare a suo vantaggio, come già successo con la questione migratoria“. Alla luce del progressivo deterioramento dello stato di diritto nel paese, di cui è indicativo l’arresto, avvenuto il 23 marzo, del sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem İmamoğlu, il governo turco può sfruttare il potenziale offerto dal suo nuovo ruolo per tenere ben distinti i diritti umani dalle opportunità commerciali, occultando le criticità sempre più evidenti nella conduzione della politica interna vis-à-vis la comunità internazionale.
Cambio di paradigma
In quest’ottica, l’incontro tra Erdoğan e Meloni si configura come un modello di riferimento per perseguire una cooperazione più strutturata tra UE e Turchia in tema di difesa comune. Uno strumento per rendere possibile questa collaborazione è costituito dal dispositivo Security Action For Europe (SAFE), parte del più ampio ReArm Europe – il piano di rafforzamento dell’industria bellica europea presentato dalla Commissione lo scorso 4 marzo – che agevola le intese con i paesi candidati all’ingresso nell’UE, quale è la Turchia. Questo si presenta, infatti, quale formato più compatto e discreto, incardinato su vertici bilaterali tra esponenti politici dei paesi coinvolti, che tendono a bypassare processi di decision making multilaterali, rispondendo in modo immediato alle percepite esigenze di sicurezza, proprio in virtù del loro carattere maggiormente diretto, rapido e affidabile, teso ad evidenziare le connessioni comuni tra nazioni, scavalcando più facilmente gli ostacoli di ordine burocratico e i poteri di veto all’interno del Parlamento Europeo.
Secondo Gasco, il compito fondamentale dell’Unione Europea rimane quello di ricercare “un equilibrio tra i suoi valori e le sue esigenze di sicurezza“. Come rimarcato da Samuele Abrami, Mercator-IPC Fellow presso IstanPol, il formato dei bilaterali ad hoc dovrebbe essere istituzionalizzato, creando un sistema formale in grado di vincolare la Turchia a impegni ufficiali e al rispetto degli interessi di sicurezza europei, non solo dei propri calcoli geopolitici. In questo senso, il delegato alla Commissione parlamentare mista EU-Turchia, lo spagnolo Nacho Sánchez Amor, assicura che l’Unione si accerterà che qualsiasi coinvolgimento di paesi terzi non contravvenga ai propri interessi di sicurezza e ai principi democratici che ne innervano l’azione, sottolineando come la partnership commerciale con Ankara non implichi automaticamente un suo potenziale accesso nell’Unione. Nonostante ciò, i paesi membri rischiano di rimanere vittima di un effetto lock-in, passando da una dipendenza esterna all’altra (prima la crisi migratoria, ora la difesa), se non intendono ricostruire la propria industria difensiva, cessando di operare in modo emergenziale.
Foto: Anadolu Agency