Al ballottaggio per la presidenza della Romania, il candidato indipendente di estrema destra Georgescu sfiderà la liberale Lasconi: esclusi per la prima volta i partiti tradizionali.
Domenica 24 novembre i rumeni si sono recati alle urne per il primo turno delle elezioni presidenziali: la nottata che ne è seguita è stata sconvolgente per tutti gli analisti. La prima notizia bomba è arrivata già alla chiusura delle urne, quando si è capito che Călin Georgescu, candidato indipendente e relativamente sconosciuto, era stato largamente sottostimato. Personaggio controverso, ex figura di spicco del partito di estrema destra AUR, Georgescu si è distinto in passato per le sue dichiarazioni a sostegno della Guardia di Ferro, movimento fascista del periodo interbellico, definendo il suo leader, Corneliu Zelea Codreanu, un eroe. All’avvio del conteggio ufficiale, Georgescu ha pian piano scalato varie posizioni fino ad arrivare al primo posto, dove si è piazzato con facilità.
Ma le soprese non si limitano al candidato “meteora”, come è stato definito durante il corso della nottata. L’assenza di proiezioni che potessero prendere in considerazione il lento conteggio nelle grandi città e nella diaspora ha spinto gli analisti a credere che il candidato del Partito Social Democratico (PSD), Marcel Ciolacu, sarebbe arrivato al secondo posto e avrebbe dunque sfidato Georgescu al ballottaggio. In mattinata è tuttavia arrivato il sorpasso di Elena Lasconi, candidata liberale del partito anti-corruzione USR, sostenuta dalla marea di voti provenienti dai sei settori di Bucarest.
Il messaggio è più che chiaro: i partiti tradizionali, il PSD e il PNL (Partito Nazional Liberale, arrivato addirittura al quinto posto), sono stati severamente puniti, anche a causa della coalizione contronatura che i due hanno stretto per escludere dal governo i vari partiti anti-establishment. Il PNL soffre soprattutto di una presidenza decennale, quella di Klaus Iohannis, che ha lasciato l’amaro in bocca a gran parte dei rumeni.
Ma saranno soprattutto da analizzare le ragioni per cui un candidato sconosciuto sui media tradizionali sia riuscito ad arrivare al primo posto. Molti attribuiscono la responsabilità a TikTok, piattaforma sulla quale Georgescu ha un profilo tanto di successo quanto pieno di bot. Spiegazione certamente rilevante, ma che tiene forse poco conto del successo che il candidato ha avuto anche nelle zone rurali del Paese. Un mix di social network e passaparola sarebbe effettivamente da tenere in conto. Inoltre, cosa ha portato tanti rumeni ad affidarsi ad un personaggio nuovo di estrema destra uscito dal nulla, quando l’offerta conservatrice e ultraconservatrice era già tanto ampia? Il candidato del partito di estrema destra AUR, George Simion, è infatti arrivato soltanto al quarto posto, perdendo gran parte del sostegno della diaspora dimostrato durante le ultime elezioni europee, intercettato da Georgescu.
La geografia del voto
La mappa elettorale della Romania ne esce abbastanza stravolta, eccetto per i distretti a maggioranza ungherese che hanno votato unanimemente per il candidato di UDMR Hunor Kelemen, e per i vari bastioni rossi del sud e dell’est del paese, in cui il PSD resta al primo posto, tallonato da Georgescu. La caduta spettacolare del centro-destra del PNL ha permesso a Lasconi di fare man bassa di voti in tutti i grandi centri urbani: a Bucarest ha vinto ampiamente in tutti i settori, così come a Sibiu, città rappresentativa del successo dell’ormai ex Presidente Klaus Iohannis. La Transilvania è andata perlopiù a Georgescu, fatta eccezione per le zone urbane, vinte da Lasconi. Georgescu è riuscito inoltre a vincere nelle regioni sul Mar Nero.
A sorprendere è il voto massiccio, quasi coordinato, della diaspora per il candidato indipendente: in Europa occidentale, dove si concentra gran parte dei rumeni all’estero, Georgescu ha vinto con risultati intorno al 50% (in Italia, il paese con la diaspora più numerosa, Georgescu ha vinto con il 48.8%). Segue Lasconi, al primo posto nel resto del mondo e soprattutto in America.
Le prossime elezioni
Domenica 1° dicembre si voterà per rinnovare il Parlamento del paese, una settimana prima del secondo turno delle presidenziali. Il caos la fa da padrone: Georgescu, come candidato indipendente, ha già fatto sapere che non supporterà formalmente nessun candidato. Ci si può però aspettare un buon risultato dei due partiti di estrema destra, AUR (a cui è promessa ormai da anni una crescita improvvisa, mai realmente avvenuta) e, soprattutto, S.O.S. Romania, il partito di Diana Șoșoacă, esclusa dalla gara presidenziale in quanto la Corte Costituzionale ha considerato il suo programma e le sue dichiarazioni anticostituzionali (il suo elettorato si è quasi certamente rivolto verso Georgescu alle presidenziali).
C’è da attendersi che il PSD recuperi qualcosa, anche considerata la storica debolezza del partito nelle presidenziali. Il PNL, invece, sembra ormai affossato.
Grandi incognite restano per il secondo turno delle presidenziali, che si terranno il prossimo 8 dicembre. Qui la gara è tutta aperta: se i voti di AUR e S.O.S. Romania andranno dichiaratamente a Georgescu, il fronte moderato è ben più frammentato. I voti di centro-destra verranno quasi naturalmente intercettati da Lasconi. L’incognita, in questo caso, sarà l’ampio elettorato del PSD. Rurale e tradizionalista, è difficile immaginare come questo possa garantire un supporto largo a Lasconi, indipendentemente dalle linee guida che la leadership del partito fornirà ai suoi elettori (probabilmente in direzione anti-Georgescu).
La Romania si allinea infine al resto d’Europa: i partiti tradizionali, sforzandosi di isolare i vari populismi, perdono terreno. Staremo a vedere dove condurrà il grido di disperazione del popolo rumeno.
Foto: dal profilo Facebook di Marcel Ciolacu