di Tommaso Fontana
Nei paesi dell’ex Jugoslavia si apre il dibattito pubblico sulla possibile reintroduzione del servizio militare obbligatorio. Croazia e Serbia prevedono di ripristinare la leva militare già dal 2025, e presto potrebbero seguire Montenegro, Macedonia del Nord e Kosovo. I nuovi conflitti globali alimentano riflessioni anche nei Balcani.
Croazia e Serbia si marcano
Lo scorso agosto, la Croazia è stato il primo paese della regione ad annunciare che verrà reintrodotta la leva militare obbligatoria, sospesa nel 2008. In un’intervista alla televisione Rtl, il ministro della Difesa Ivan Anušić ha spiegato che il servizio durerà due mesi, inizierà il 1° gennaio 2025 e riguarderà i giovani dai 18 ai 27 anni. La scelta di Zagabria si deve inquadrare nello sforzo che sta facendo il paese per ammodernare e migliorare le forze armate, come richiesto dai vertici Nato, dato che nel 2024 la spesa militare croata si è attestata sotto al 2% del Pil suggerito dall’alleanza. L’invasione russa dell’Ucraina iniziata nel febbraio 2022 ha influenzato anche altri alleati Nato, come la Lettonia, che ha deciso di reintrodurre il servizio di leva obbligatorio.
A Belgrado, il presidente serbo Aleksandar Vučić si è sempre detto favorevole alla reintroduzione della leva militare obbligatoria, sebbene fosse stata sospesa nel 2011, ma solo a seguito della decisione di Zagabria si è mosso a riguardo, firmando il suo consenso ufficiale a riportare i giovani serbi nelle caserme per almeno 75 giorni. A questo proposito, il primo ministro Miloš Vučević ha presentato un disegno di legge al Parlamento, che però non è stato ancora approvato ufficialmente.
L’esercito serbo sta vivendo un periodo di grande crisi: negli ultimi cinque anni oltre diecimila uomini, tra soldati semplici e ufficiali, hanno lasciato l’esercito a causa delle condizioni di lavoro e dei salari inadeguati. Pertanto l’élite governativa serba vuole provare ad invertire la rotta proprio con la leva militare, nella speranza che questa possa stimolare l’interesse dei giovani coinvolti ad intraprendere una carriera nelle forze armate. Inoltre, le tensioni storiche tra i due paesi spingono la Serbia a guardare attentamente le mosse della Croazia in campo militare, e viceversa. Non è un caso che, prima di marcarsi a uomo sulla questione leva militare, i due stati si sono susseguiti nell’acquisto di aerei Dassault Rafale dalla Francia, che sono costati 2,7 miliardi di euro alle casse di Belgrado.
Aumenta la spesa militare
Le scelte di Croazia e Serbia influenzano anche i paesi confinanti. Il ministro della Difesa montenegrino Dragan Krapović ha riportato la reintroduzione del servizio di leva obbligatorio al centro del dibattito pubblico. In Montenegro, la leva militare obbligatoria è stata abolita nell’agosto del 2006, a pochi mesi dall’indipendenza del paese dalla Serbia. Tuttavia con l’adesione alla Nato nel 2017 la spesa militare è aumentata considerevolmente, passando negli ultimi dieci anni dal’1,5% al 2% del Pil.
Anche in Macedonia del Nord, membro Nato dal 2020, si sta intensificando il dibattito pubblico sulla reintroduzione della leva militare obbligatoria, ma al momento il governo conservatore guidato da Hristijan Mickoski si sta concentrando sulla modernizzazione dell’esercito, dialogando per lo più con Ungheria e Turchia. Una situazione analoga si può osservare in Kosovo, dove sono stati stanziati 200 milioni di euro per l’acquisto di droni dalla Turchia. Il Kosovo, inoltre, sta ristrutturando il proprio esercito sul modello di quelli Nato per cercare di entrare al più presto nel programma del Partenariato per la pace, una delle tappe necessarie per l’adesione all’alleanza atlantica.
Rischio escalation?
I nuovi venti di guerra che soffiano da est preoccupano i paesi della ex Jugoslavia, dove si è combattuta l’ultima guerra in Europa prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Oggi l’ondata bellicista di militarizzazione che sta attraversano i Balcani, tra leva militare obbligatoria e nuovi investimenti nella difesa, non fa altro che alimentare ulteriormente le tensioni già esistenti nella regione. Un campanello d’allarme da non sottovalutare.
Foto: Unsplash/Daniel