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BALCANI: Summit del Processo di Berlino, tra nuovi e vecchi accordi

I governi dei sei paesi dei Balcani occidentali al summit del Processo di Berlino raggiungono un nuovo accordo sul mercato regionale comune e sbloccano l’accordo di libero scambio.

Si è tenuto questo lunedì il summit del Processo di Berlino, iniziativa lanciata nel 2014 dall’allora cancelliera tedesca Angela Merkel con l’obiettivo di favorire la cooperazione regionale tra i sei paesi dei Balcani occidentali in vista di una futura adesione all’Unione Europea. Svoltosi di nuovo nella capitale tedesca in occasione del suo decimo anniversario, il vertice ha visto la partecipazione dei primi ministri dei paesi della regione, rappresentanti dei governi partner dell’iniziativa (tra cui anche l’Italia) e delle istituzioni europee (tra cui la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen). Nel corso della giornata, le discussioni si sono focalizzate sui passi da intraprendere per completare il mercato regionale comune (CRM) e sullo sblocco dell’Accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA), senza farsi mancare qualche sorpresa in corso d’opera.

L’accordo sul mercato regionale comune

Tra i principali risultati del summit vi è sicuramente la firma del quinto accordo di mobilità regionale che si propone di garantire agli studenti il ​​diritto di proseguire gli studi superiori presso le università accreditate in tutti i sei paesi, e l’approvazione del piano d’azione 2025-2028 per il mercato regionale comune. Lanciato durante il summit di Sofia del 2020 del processo di Berlino, tale progetto punta a costruire un mercato unico in miniatura per i Balcani occidentali, sulla strada verso l’adesione all’UE.

Durante una conferenza congiunta con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato che il mercato regionale comune è “essenziale” per garantire “alle aziende dei Balcani occidentali di commerciare, innovare e creare buoni posti di lavoro”. La Commissione spinge fortemente per la sua realizzazione, a tal punto da averlo inserito tra i pilastri del Piano di crescita per i Balcani occidentali.

Approvato in maniera definitiva dal Parlamento europeo e dal Consiglio UE lo scorso maggio, il Piano di crescita avrebbe – secondo quanto affermato da Von der Leyen – il potenziale di raddoppiare la crescita economica nei Balcani occidentali entro il prossimo decennio. Per ottenere i 2 miliardi di euro in finanziamenti e 4 miliardi in prestiti previsti dal Piano, i governi dei sei paesi dovranno attuare un’agenda di riforme ritenute fondamentali dall’UE per il loro processo di integrazione. Von der Leyen ha affermato che proprio in questi giorni verranno approvati cinque dei sei piani di riforma presentati dai governi. Resta in ritardo solo la Bosnia Erzegovina, le cui autorità non si sono ancora accordate su un piano di riforma .

Lo sblocco dell’accordo di libero scambio

Un altro sviluppo importante del summit è stato quello relativo allo sblocco del CEFTA, l’accordo di libero scambio originariamente stipulato nel 1992 dai paesi dell’Europa centrale e che dal 2006 vede partecipare tutti i paesi dei Balcani occidentali e la Moldova. Il CEFTA è parte integrante del mercato regionale comune, e secondo il piano d’azione 2025-2028 dovrebbe mettere in atto tre dei sei pilastri del mercato regionale.

Lo sblocco è avvenuto in seguito alla decisione annunciata lo scorso 7 ottobre dal primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, di revocare il divieto di transito delle merci serbe. Imposto nel giugno 2023 in seguito all’arresto di tre poliziotti kosovari da parte delle autorità serbe e mantenuto successivamente al loro rilascio, il divieto era stato criticato non solo dalla Serbia, ma anche dalla Commissione europea, che nel rapporto 2023 sul Kosovo lo aveva definito non in linea con gli “impegni assunti nell’ambito del CEFTA”.

Nelle ultime settimane il disappunto europeo per la mancata revoca del blocco commerciale era stato espresso dall’inviato speciale della Germania per i Balcani occidentali, Manuel Sarrazin, che in seguito a una serie di visite in Kosovo aveva minacciato di lasciare Pristina indietro rispetto a futuri progressi del mercato regionale comune e di mettere in discussione la possible partecipazione del Kosovo all’Area Unica dei Pagamenti in Euro (SEPA) – uno dei prossimi sviluppi.

Alla fine, un accordo è stato trovato in seguito alla proposta da parte di Sarrazin di aiutare il Kosovo a dotarsi di sofisticati scanner da utilizzare nei tre valichi di frontiera con la Serbia, ritenuti necessari dal governo kosovaro per ridurre al minimo il rischio di entrata di merci pericolose. Ad oggi, l’unico valico di frontiera aperto al passaggio di merci serbe è quello di Merdare, ma Kurti ha promesso di riaprire anche quelli di Bernjak e Jarinje una volta ottenuti gli scanner.

Grazie alla revoca del blocco, il Kosovo ha ottenuto di essere direttamente rappresentato nelle riunioni del CEFTA e non più per tramite della missione ONU (UNMIK), come avveniva dal 2006. Come anche nel caso delle istituzioni europee, nei documenti ufficiali del CEFTA il nome dello stato kosovaro sarà seguito da un asterisco, con riferimento alla risoluzione ONU 1244.

Durante la conferenza congiunta con von der Leyen, Scholz ha ringraziato il Kosovo per la decisione di revocare il blocco, affermando che “questo è lo spirito del processo di Berlino”. Soffermandosi sul dialogo facilitato dall’UE tra Belgrado e Pristina, il premier ha invece notato come le cose non stiano andando bene, e sottolineato la necessità per entrambe le parti di attuare appieno gli accordi già presi. Scholz ha inoltre aggiunto che le “retoriche divisive” e “nazionalistiche” sono un problema che riguarda tutti i paesi della regione, ma che essi potranno entrare a far parte dell’UE solamente insieme.

Pristina rimuove i visti, Sarajevo no

Il protagonismo di Pristina all’interno del summit non si è fermato qui. Infatti, nella giornata di lunedì Kurti ha sorpreso tutti annunciando la decisione unilaterale del suo governo di permettere nuovamente ai cittadini bosniaci l’ingresso in Kosovo utilizzando solamente la carta d’identità a partire dal 2025.

Un’azione però non corrisposta da Sarajevo, a causa dell’opposizione del leader dei serbo-bosniaci Milorad Dodik, che ha finora bloccato la ratifica da parte di Sarajevo del terzo accordo di mobilità regionale, quello per il transito con sole carte di identità (da cui il nome di “mini-Schengen” utilizzato a un certo punto dalla stampa). Dodik ha già dichiarato che la sua posizione non cambierà, nemmeno in seguito alla decisione del governo di Kurti, dunque i cittadini kosovari continueranno ad aver bisogno di pasaporto e visto per entrare in Bosnia Erzegovina.

Il processo di Berlino, tra passato e futuro

È stato un vertice che si può definire positivo per gli accordi presi e gli sblocchi ottenuti, il terzo incontro di alto livello in pochi giorni (dopo quello di Brdo-Brijuni e quello per l’Ucraina a Dubrovnik) nel quale alti rappresentanti politici dei paesi dei Balcani occidentali hanno ribadito (almeno a parole) il loro sostegno al processo di integrazione europea e la necessità che esso si svolga in tempi celeri.

Tuttavia, a dieci anni dall’inizio del Processo di Berlino, non si può non notare ciò che viene osservato da molti analisti ed esperti: gli accordi raggiunti sono stati molti, ma i risultati concreti sono stati pochi, spesso per assenza di implementazione. Ad oggi, i più grandi risultati dell’iniziativa riguardano la rimozione delle tariffe di roaming all’interno della regione e l’istituzione dell’Ufficio regionale per la cooperazione giovanile (RYCO), un’iniziativa volta a favorire i programmi di scambio giovanile all’interno della regione.

A tutto questo si aggiunge lo scetticismo che ha accompagnato il Processo sin dalla sua fondazione, considerato da alcuni come un sostituto del processo di allargamento europeo, nonostante le ripetute smentite nel corso degli anni. La completa realizzazione del mercato regionale comune potrebbe essere la storia di successo di cooperazione regionale di cui il processo di Berlino ha bisogno, portando benefici economici tangibili per gli abitanti della regione e una migliore preparazione per l’ingresso nel mercato unico europeo. Sarà davvero così?

Foto: Transport Community

Chi è Kevin Dobra

Studente al secondo anno di magistrale (MIREES) presso l'Università di Bologna, dove ha anche conseguito la sua laurea triennale in Scienze internazionali e diplomatiche (SID). Le sue origini albanesi lo portano a occuparsi principalmente di Albania e Kosovo, in particolare dei loro rapporti con l'Unione europea e con i paesi vicini.

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