MACEDONIA DEL NORD: Cosa attendersi dal nuovo governo Mickoski

Il parlamento macedone ha espresso la fiducia nei confronti del nuovo governo Mickoski. Una svolta a destra che preannuncia frizioni con l’UE.

di Benedetta Merlino

La Macedonia del Nord ha un nuovo esecutivo. Il 23 giugno, l’assemblea parlamentare ha espresso la sua fiducia al governo guidato da Hristijan Mickoski. Il nuovo gabinetto è formato da 24 ministri, 16 dei quali membri del VMRO-DPMNE, partito nazionalista di destra che si è affermato vittorioso nelle scorse elezioni presidenziali e parlamentari. Gli altri membri arrivano dalla coalizione “Vlen” che rappresenta gli interessi dell’etnia albanese e dal partito della sinistra nazionalista “Znam”. La Macedonia del Nord sancisce così il suo passaggio (o meglio, il suo ritorno) a destra dopo sette anni di governo di centro-sinistra.

Gli anni dei social-democratici e la virata a destra

Il partito VMRO-DPMNE, dalla lunga storia politica, era infatti all’opposizione dal 2017, dopo che il leader del partito e allora primo ministro, Nikola Gruevski, era stato investito da un massiccio scandalo di corruzione e riciclaggio di denaro ed estromesso dalle elezioni del 2016 che furono vinte dai socialdemocratici del SDSM. Lo scandalo aveva messo in luce i metodi anti-democratici di coercizione dell’opposizione e, soprattutto, gli abusi di potere di Gruevski che gli sono costati diverse condanne penali da cui l’ex primo ministro è fuggito in Ungheria. A seguito dell’ accaduto, il nuovo volto del partito ed oggi Primo Ministro, Hristijan Mickoski, ha preso le distanze dal suo predecessore, schierandosi in aperta opposizione nella speranza di ripulire il nome del partito.

Nel frattempo, il governo SDSM, guidato prima da Zoran Zaev e poi, dal 2022, da Dimitar Kovacevski, ha progressivamente perso il consenso popolare, accusato, tra le altre cose, di cattiva gestione della pandemia da COVID-19 e di un’efficace e ambigua lotta alla corruzione, grande promessa dei socialdemocratici quando salirono al potere. Il peggioramento delle condizioni economiche del paese, una sempre maggiore inflazione, l’incidenza della crisi energetica e le promesse non mantenute in tema di integrazione europea hanno portato al drastico cambio di rotta nella politica macedone. Il nuovo governo si propone quindi di “rinnovare la fiducia nelle istituzioni, contrastare la corruzione e favorire lo stato di diritto”.

Il cambio di rotta è sancito anche dall’uscita dalla coalizione del partito DUI (Unione Democratica per l’Integrazione), il partito dell’etnia albanese al potere per 15 anni consecutivi. Benché DUI sia stato il partito più votato tra i quelli che rappresentano l’etnia albanese (con 19 seggi in parlamento contro i 13 di Vlen), è stato accantonato daMickoski, il quale ha preferito la coalizione Vlen, più volte accusata da DUI di essere un soggetto alla mercè di VMRO-DPMNE e di portare avanti una politica che, pur in rappresentanza di una minoranza del paese, punta sulla marginalizzazione e su una narrativa escludente. La coalizione Vlen, che ha ottenuto la nomina di sei ministri, tra cui il Ministro alla Salute, Arben Taravari e il ministro agli affari europei Orhan Murtezani, rischia di indebolire la posizione degli albanesi nel paese, un timore esposto anche dal leader di DUI, Ali Ahmeti, al quale spetta ora l’arduo compito di portare avanti un’opposizione decisa e di riformare il partito in vista delle prossime elezioni locali.

Anche in politica estera, lo scostamento rispetto al precedente governo risulta evidente. Mickoski vuole puntare sulla protezione degli interessi nazionali nei vari consessi internazionali. Una linea che rischia di incidere notevolmente sul processo di integrazione europea su cui i socialdemocratici avevano largamente investito con riforme e accordi che vengono ora rimessi in discussione da VMRO-DPMNE.

Il nuovo governo e l’Unione Europea: verso nuove frizioni

Se è vero che nel programma di governo si dichiara la volontà di mantenere l’impegno nel procedere lungo la strada dell’integrazione europea, è da evidenziare che il VMRO-DPMNE ha più volte sottolineato il suo dissenso rispetto alle modalità di risoluzione delle dispute con Grecia e Bulgaria adottate dal precedente governo.

Relativamente alla Grecia, il partito di Mickoski si è infatti sempre schierato contro gli accordi di Prespa del 2018 che portarono all’adozione del nome Macedonia del Nord mettendo fine alle dispute storiche tra i due paesi, risultanti nel veto greco sull’ingresso di Skopje in Unione Europea e che consentirono l’ingresso della Macedonia del Nord nella NATO.

A confermare il malcontento della fazione politica rispetto all’accordo con la Grecia è stato il giuramento della neoeletta presidente, Gordana Siljanovska-Davkova, che durante il suo discorso si è più volte riferita al proprio paese come “Macedonia”, provocando la reazione del diplomatico greco che assisteva alla cerimonia e che ha deciso di abbandonare la sala. L’accaduto e l’atteggiamento assunto dalla nuova élite macedone rischiano di scuotere la ritrovata stabilità con la Grecia e benché sia difficile immaginare uno stralcio del trattato di Prespa (che è un trattato internazionale non modificabile unilateralmente), è facile presumere che i rinnovati malcontenti tra i due stati portino ad un rallentamento nel processo di integrazione europea.

Per quanto riguarda la Bulgaria la situazione risulta, se possibile, ancor più complessa. Come la Grecia, la Bulgaria ha infatti posto il suo veto all’ingresso della Macedonia del Nord nell’UE. Il motivo risiede, anche in questo caso, in problematiche storico-identitarie che il governo social-democratico di Dimitar Kovacevski ha cercato di smussare inaugurando, nel 2022, una “nuova stagione” di dialogo tra i due paesi. Le richieste di Sofia di riconoscere, in costituzione, la minoranza bulgara e la continuità tra il popolo e la lingua bulgara e quella macedone, non sono però mai state soddisfatte. Le istituzioni macedoni non hanno infatti mai raggiunto la maggioranza necessaria dei due terzi per l’approvazione della modifica costituzionale, prospettiva che oggi appare più lontana che mai. Il nuovo premier ha infatti dichiarato che nessun cambiamento costituzionale volto a riconoscere la minoranza bulgara sarà adottato durante il suo governo.

L’approccio verso la politica estera e l’integrazione europea del nuovo governo sono indubbiamente lontani da quelli adottati dal precedente e si prevedono nuovi rallentamenti del processo di integrazione europea. In politica interna, invece, i temi menzionati da Mickoski non si allontanano, in linea di principio, da quelli ritenuti focali dal SDSM. Tutto sta a vedere se il nuovo governo sarà in grado di farvi fronte in maniera più efficace e di consegnare solidità al paese.

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