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TURCHIA: Blocco totale verso Israele

“Maniaco”, “barbaro“, “psicopatico”, “vampiro assetato di sangue“: sono questi i più recenti appellativi rivolti dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan al premier israeliano Benjamin Netanyahu in seguito al massacro di Rafah dello scorso 27 maggio. Al di là delle parole, è nei fatti che nell’ultimo mese le posizioni della Turchia nei confronti di Israele si sono fatte sempre più severe, anche dal punto di vista commerciale, settore che non era mai stato interessato da blocchi o rallentamenti perfino nei periodi di più alta tensione in virtù del Free Trade Agreement sancito nel 1997. Il bando sulle esportazioni di 54 categorie di prodotti stabilito ad Aprile è ora diventato totale per qualsiasi genere di merce esportata o importata tra i due Paesi. La Turchia è il primo partner strategico a interrompere il commercio con Israele che dalla Turchia importa (o meglio, importava) soprattutto veicoli, materiale da costruzione, acciaio (il 65% di tutto l’acciaio usato in Israele viene dalla Turchia) e prodotti tessili per un totale di 6.8 miliardi di dollari solo nel 2023.  Anche il petrolio azero, fondamentale per l’economia israeliana, passa attraverso i porti turchi. Si tratta, quindi, di un blocco imponente che secondo Gallia Lindenstrauss e Remi Daniel dell’Institute for National Security Studies, avrà implicazioni ben oltre il lato economico e potrebbe protrarsi molto a lungo dato che, come confermato dal ministro del commercio turco Ömer Bolat, il divieto cesserà solo in concomitanza di un cessate il fuoco permanente per adesso ritenuto improbabile, se non impossibile.

Il potere dell’opinione pubblica a supporto della causa palestinese

Da tempo la Turchia riconosce e supporta la Palestina: in queste settimane, sia il presidente Erdoğan che il ministro degli affari esteri Hakan Fidan hanno continuato a esortare i paesi europei che non l’hanno già fatto a riconoscere l’esistenza della Palestina, Italia compresa. Non è un caso che a livello umanitario la Turchia si sia impegnata insieme al Qatar per mandare 1908 tonnellate di aiuti verso Gaza con una nave partita da Mersin lo scorso 9 maggio, la Gaza Goodness Ship. Un sostegno trasversale che unisce tanto la destra quanto la sinistra, conservatori e laici, studenti universitari che da Ankara a Gaziantep, da Istanbul a Izmir hanno issato bandiere e occupato atenei, spesso con il supporto di rettori e insegnanti. Un supporto così incondizionato, nonostante i rapporti controversi del governo turco con Hamas, che basta mettere anche solo per sbaglio in dubbio la veridicità delle notizie terribili che arrivano dalla striscia per rischiare la propria reputazione, come accaduto alla scrittrice di bestseller turca Azra Kohen. A seguito di un commento sui social in cui Kohen criticava la prontezza dei genitori palestinesi nel mettere online gli atroci video che vedono come protagonisti centinaia di bambini innocenti, la community ha deciso di boicottare l’acquisto dei suoi libri invitando la casa editrice Everest Yayinlari a smettere di pubblicare le opere di Kohen. In seguito, la casa editrice ha pubblicato un tweet dichiarando: “Crediamo che tutti i nostri scrittori condividano lo stesso sentimento senza la minima esitazione. Vorremmo che il pubblico sapesse che chiunque legittimi o elogi questi grandi crimini contro l’umanità non farà parte del nostro gruppo editoriale”, ma per molti utenti non è stato sufficiente. Al momento, tuttavia, Azra Kohen, che porta un cognome ebraico in virtù del suo matrimonio con il businessman di origini ebraiche Sadok Kohen, non figura più sul sito di Everest Yayinlari tra la lista degli autori. Più che evidente, quindi quanto la causa palestinese sia fortemente sentita da tutta l’opinione pubblica che continua a scendere in piazza a supporto della popolazione di Gaza e ha avuto un ruolo importante nel fermare anche i rapporti commerciali della Turchia con Israele di cui sopra.

La questione Zorlu Holding

Un esempio su tutti è quello degli attivisti schierati contro la Zorlu Holding che fino allo scorso 24 maggio portava avanti ingenti investimenti nel campo dell’energia con Israele. Come riportato da Ragip Soylu di Middle East Eye nella newsletter Turkey Unpacked, i “mille giovani per la Palestina”, un gruppo di manifestanti auto-costituito, si sono radunati sia davanti allo Zorlu Center di Istanbul (uno dei principali centri commerciali della città) che davanti alla sede della Zorlu Enerji a Eskişehir per chiedere al magnate Ahmet Nazif Zorlu di sospendere l’approvvigionamento di energia per alcune aziende con centrali elettriche sul territorio israeliano. Proprio a seguito di queste proteste, la cui eco ha raggiunto le maggiori testate nazionali, la Zorlu Holding ha deciso di disinvestire sul mercato israeliano cedendo le proprie quote, sebbene lo stesso Zorlu abbia giustificato questa decisione come parte di una strategia per promuovere l’energia rinnovabile abbandonando gradualmente la produzione di energia basata sul carbonio. Nello specifico, Zorlu Enerji aveva già avviato a Marzo le sue quote di minoranza in Ezotech e Solad Energy alla società israeliana Edeltech, azionista di maggioranza, trasferendo la proprietà delle centrali elettriche a gas naturale Ashdod e Ramat Negev che insieme producono 190 megawatt di energia. Tuttavia, Zorlu mantiene una partecipazione del 25% nella centrale elettrica Dorad che è ancora alimentata a gas naturale.

foto: Anadolu Ajansi

Chi è Eleonora Masi

Classe 1990, una laurea in Relazioni Internazionali ed esperienze in Norvegia, Germania, ma soprattutto Turchia, di cui si occupa dal 2015. Oltre a coordinare la redazione dell'area del Vicino Oriente per East Journal svolge il ruolo di desk per The Bottom Up mag. Ha ideato e prodotto il podcast "Cose Turche" che racconta gli ultimi 10 anni della Turchia dal punto di vista dei millennial che li hanno vissuti sulla loro pelle.

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