Yüksekdağ e Demirtaş

TURCHIA: Yüksekdağ e Demirtaş, quasi un ergastolo a testa

Lo scorso 16 maggio, un tribunale di Ankara ha portato a termine il “Processo Kobane” emettendo delle condanne monstre per due volti noti della politica turca: Figen Yüksekdağ e Selahattin Demirtaş. I due, che erano stati alla guida in contemporanea del Partito Democratico dei Popoli, forza politica di sinistra e filo-curda, sono stati condannati a 30 e 42 anni di prigione: praticamente un ergastolo a testa.

Ma come si è giunti al processo Kobane? E che cosa rappresentano queste condanne per il popolo curdo in Turchia?

Due leader alla sbarra 

Negli ultimi dieci anni, poche figure hanno rappresentato il volto della politica curda come Yüksekdağ e Demirtaş. La prima, nata nel 1971 nella provincia di Adana, ha fatto della politica un mestiere e una passione fin da giovanissima, al punto che un arresto avvenuto durante gli anni liceali in occasione della festa dei lavoratori portò alla rottura temporanea dei rapporti con la famiglia. Da sempre in prima linea nelle battaglie femministe,  nel 2010 è tra i cofondatori del Partito Socialista degli Oppressi, formazione politica di stampo Marxista-Leninista. Resta all’interno del movimento fino al 2014, anno in cui si unisce al neonato HDP (Partito Democratico dei Popoli) di cui diviene co-segretaria insieme all’altro protagonista di questa storia: Selahattin Demirtaş.

Classe 1973, nasce da una famiglia di etnia Zaza nel Kurdistan Turco. Nel 1991, si trasferisce a Smirne per dare il via agli studi in commercio marittimo e management, ma da lì a poco la sua vita viene stravolta. Lui e suo fratello, attivi politicamente, vengono arrestati con l’accusa di far parte dell’associazione giovanile del PKK. Selahattin viene rilasciato dopo una settimana, ma diverso è il destino di suo fratello Nurettin: a soli 22 anni viene condannato ad una pena detentiva equivalente alla sua età. Selahattin decide così di fare ritorno dalla famiglia a Diyarbakir e di studiare per entrare alla facoltà di legge di Ankara. Conclusi gli studi, inizia a lavorare come avvocato e diventa membro di un Associazione per i Diritti Umani a Diyarbakir, dove fonda anche una sezione di Amnesty International.

Ma è solo nel 2007 che dà il via alla sua carriera politica entrando a far parte del Partito della Società Democratica, movimento di sinistra e filo-curdo, con cui viene eletto in Parlamento nello stesso anno. Due anni dopo però, il partito viene sciolto per presunti legami con il PKK: un destino beffardo per  Selahattin, che 15 anni prima aveva visto per le stesse ragioni suo fratello maggiore condannato a 22 anni di prigione. Nel 2013 si unisce così al Partito Democratico dei Popoli e ne diviene co-presidente insieme a Figen. Un anno dopo, viene scelto dal partito come candidato alle presidenziali e si piazza al terzo posto ottenendo quasi il 10% delle preferenze.

Ma è a partire dal 2016 che iniziano a sorgere i problemi per i due leader curdi. A maggio dello stesso anno il parlamento turco rimuove l’immunità parlamentare a diversi membri dell’HDP, tra cui proprio Yüksekdağ e Demirtaş. Quattro mesi dopo, nel pieno periodo delle purghe di Erdoğan in seguito al fallito Golpe, i due leader dell’HDP vengono entrambi arrestati. Le accuse sono gravissime: Yüksekdağ  viene accusata di non aver collaborato in indagini legate al terrorismo e di altri reati, mentre su Demirtaş pendono capi di accusa come l’essere a capo di un’organizzazione terroristica e incitazione alla rivolta.

Tutto ciò si pone all’interno di un processo che negli ultimi anni in Turchia è passato agli onori della cronaca con il nome di “Processo Kobane”.

Il processo Kobane e la fragilità del sistema turco  

Nel 2014 Kobane, cittadina del Kurdistan siriano al confine con la Turchia, si trovava sotto assedio da parte dello Stato Islamico. L’attacco dell’ISIS ebbe come conseguenza una forte ondata migratoria, con quasi 200mila siriani diretti verso la Turchia. Nell’ottobre 2014, il Presidente Turco dichiarava la cittadina siriana caduta nelle mani di Daesh, nonostante la situazione sembrasse ancora in bilico. Tra le decisioni del governo turco, vi fu quella di chiudere la frontiera, impedendo l’ingresso dalla Turchia di aiuti militari e umanitari. Questa scelta scatenò un’ondata di proteste nel Sud-Est della Turchia, zona a maggioranza curda. Lo stesso HDP invitò la popolazione a scendere in piazza contro le scelte del governo di Erdoğan. Migliaia di manifestanti curdi si riversarono nelle piazze e gli scontri con le forze di sicurezza e gruppi antagonisti portarono alla morte di 37 persone.

Dopo il fallito golpe del 2016, le conseguenze delle proteste per Kobane sono state utilizzate dal governo per effettuare un repulisti generale della politica curda. Ben 108 politici curdi dell’HDP sono stati portati davanti ad un giudice con accuse come incitamento alla rivolta e attentato all’unità del Paese. I primi ad essere interrogati in merito nel 2019 furono proprio i due ex co-presidenti del Partito Democratico dei Popoli, a dimostrazione di come il Processo Kobane non sia un processo giudiziario, ma un processo politico. Oltre alle due condanne pesantissime emesse nei confronti dei due leader ve ne sono state altre di rilievo, come quella nei confronti di Alp Altınörs, dirigente del partito condannato a 22 anni e 6 mesi di carcere.  Questo processo è la dimostrazione di come si sia trasformata radicalmente la Turchia negli ultimi anni, in particolare dopo il 2016: processi sommari e oppositori politici con condanne decennali.

Dopo i verdetti del 16 maggio, non sappiamo se Yüksekdağ e Demirtaş vedranno mai la luce fuori dalle sbarre. L’unica certezza che abbiamo, è che un giorno la Storia ricorderà chi ha tergiversato davanti all’avanzata delle ombre oscurantiste dell’Isis, e chi invece ha dato la propria vita per fermare quelle ombre.

foto: Anadolu Ajansi

Chi è Marco Pedone

Classe 1999, una laurea in Lingue e Civiltà Orientali presso l'Università La Sapienza di Roma, dove ha avuto modo di approfondire lo studio dell'arabo e del persiano. Appassionato di Vicino Oriente, area MENA e sport.

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