“Tutte queste azioni rappresentano un uso sproporzionato della forza: vogliono un bagno di sangue nel Mar Rosso”. Con queste parole il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ha commentato l’attacco degli Usa e della Gran Bretagna contro gli Huthi in Yemen. L’intervento militare delle due potenze occidentali ha reso incandescente un fronte che già scottava di suo: quello yemenita. Ma chi sono gli Huthi? E qual è la posizione turca in Yemen?
I partigiani di Dio
Fondati nel 1992, gli Huthi sono un gruppo armato insurrezionale che in realtà risponde al nome di Ansar Allah: i partigiani di Dio. L’appellativo Huthi è entrato in circolazione solo a partire dal 2004 in seguito alla morte di Husayn Badr al-Din al-Huthi. Sono un movimento di fede sciita zaydita: una branca dell’Islam sciita presente esclusivamente in Yemen, ideologicamente molto vicina all’Islam duodecimano (quello maggioritario tra gli sciiti) ma con solamente cinque imam riconosciuti e con alcuni elementi ripresi dall’Islam sunnita, come la non necessità per il leader religioso di discendere a livello sanguigno dalla famiglia del Profeta Maometto.
Il gruppo ha intrapreso la lotta armata nel 2004, anno in cui Husayn al-Huthi proclamò un’insurrezione contro il governo di Sana’a. L’anno della svolta storica per il movimento sciita è stato il 2011, quando anche lo Yemen si è ritrovato coinvolto nel fenomeno delle Primavere Arabe. Ma quelle che nel 2011 erano nate come sommosse popolari antigovernative tre anni dopo si sono trasformate in un vero e proprio conflitto civile con le caratteristiche di una guerra per procura ancora oggi in corso.
Da una parte Ansar Allah, che attualmente controlla una parte del Paese tra cui la capitale Sana’a e gode dell’appoggio dell’Iran, dall’altra il governo yemenita sostenuto fortemente dall’Arabia Saudita. Proprio quest’ultima nel 2015 si è messa alla guida di una coalizione che ha dato il via ad un intervento militare con l’obiettivo di restituire la capitale al governo eletto. I bombardamenti sauditi hanno avuto un ruolo centrale in un conflitto che secondo l’Armed Conflict Location & Data Project ha avuto fin ora come risultato più di 150mila morti.
Secondo le Nazioni Unite entrambe le fazioni in gioco si sono macchiate di crimini di guerra: reclutamento di bambini soldato, stupri, torture e uccisioni arbitrarie. Anche gli omicidi mirati sono stati una caratteristica di questo conflitto, come nel caso dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, alleato con gli Huthi fino al 2017 ed ucciso dagli stessi una settimana dopo aver riaperto il dialogo con l’Arabia Saudita.
E in questo contesto come si era posizionata un’altra potenza regionale come la Turchia che ha recentemente condannato gli attacchi occidentali agli stessi Huthi?
Turchia e Yemen: meglio rimanere dietro le quinte?
Dopo aver appoggiato forze di opposizione come i Fratelli Musulmani in Egitto e l’Esercito Libero Siriano durante la Primavera Araba, con lo scoppio del conflitto civile in Yemen la Turchia ha cercato di rimanere maggiormente dietro le quinte, decidendo di prendere le parti della coalizione a guida saudita, ma senza intervenire direttamente a livello militare.
Nel 2016 il presidente turco ebbe anche un incontro con l’allora presidente yemenita Hadi, parlando in quell’occasione di una fratellanza storica sancita nei secoli. Ma negli anni successivi alcune dichiarazioni turche non sono state particolarmente apprezzate dal governo ufficiale yemenita. Dopo aver fortemente criticato l’intervento degli Emirati Arabi Uniti a Socotra nel 2018, l’anno successivo il ministro degli esteri turco Çavuşoglu aveva incolpato gli Emirati e l’Arabia Saudita della situazione umanitaria in Yemen, mentre Erdoğan aveva dichiarato che le condizioni a livello umanitario fossero una conseguenza dell’intervento saudita.
Queste dichiarazioni avevano particolarmente indispettito il governo yemenita, che le aveva definite come provocatorie: d’altronde l’ausilio saudita rimaneva di vitale importanza nella guerra agli Huthi. Nonostante tali dichiarazioni, la Turchia non ha mai negato il proprio appoggio al governo yemenita, anche per la presenza di un’altra potenza rivale dietro Ansar Allah: l’Iran.
Una posizione ambigua
Nell’attuale conflitto a Gaza il controllo dello stretto di Bab al Mandeb da parte degli Huthi si sta rivelando una grossa spina nel fianco per Israele: gli attacchi alle navi mercantili dirette verso lo Stato ebraico si sono tradotti in forte perdite economiche e ritardi sulle consegne.
Questo ha portato prima ad una missione a guida statunitense a difesa dei mercantili e in seguito a dei veri e propri attacchi militari di Usa e Gran Bretagna alle basi di Ansar Allah in Yemen. È innegabile che gli Huthi siano attualmente tra i protagonisti indiscussi nel sostegno alla Palestina, soprattutto se consideriamo che i loro attacchi stiano colpendo il cuore economico dell’Occidente: il libero mercato.
Ed è in questo contesto che la Turchia rischia di trovarsi in una situazione piuttosto delicata: da una parte c’è il sostegno alla Palestina che si traduce anche nel mancato appoggio alla missione USA nel Mar Rosso, dall’altra c’è il fastidio per la presenza iraniana dietro Ansar Allah, movimento mai sostenuto da Ankara. Una situazione difficile per il presidente turco, in equilibrio tra l’appoggio alla causa palestinese e il tentativo di non essere oscurato da altre potenze regionali.
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