Vareš

BOSNIA ERZEGOVINA: Ripartono i lavori alla miniera d’oro di Vareš

L’area balcanica è ricca di risorse naturali, si sa. Fiumi e bacini d’acqua, foreste, biodiversità, ma soprattutto minerali — tesori nascosti nelle profondità geologiche. Se ne parla da tempo e con l’inizio del 2024 i lavori sono iniziati: riaprono le attività nella miniera polimetallica di Vareš, in Bosnia Erzegovina. Soprattutto argento, ma anche oro, piombo, zinco e rame sono estratti dalle rocce con una previsione sui ricavi da nove zeri e un impatto del 2% sul PIL bosniaco.

Dal 24 gennaio, la società britannica Adriatic Metals ha infatti iniziato l’attività con un investimento di oltre 200 milioni di euro e l’obiettivo di raggiungere l’estrazione di 65 tonnellate al mese. Numeri non da poco, considerando l’impatto dei minerali in diversi settori dell’economia e, com’è chiaro, il loro potenziale di acquisto. Investimenti, guadagni, crescita, ma anche qualche critica.

Il contesto: una lunga storia

Vi aiutiamo a immaginare Vareš. Una città che fino a poco tempo fa si presentava come desolata, senza umanità. La sua storia mineraria è secolare: già i romani cercavano qui metalli preziosi, e durante l’impero austro-ungarico l’industrializzazione fu intensificata notevolmente. Un’industrializzazione che è stata poi abbandonata, lasciando spazio a alle rovine e alle cicatrici profonde del conflitto degli anni Novanta.

Eppure, è proprio dalla riprogrammazione dell’attività estrattiva che Vareš sembra ripopolarsi, anche di giovani in cerca di un’occupazione. È quanto emerge da un recente reportage di Hans von der Brelie per Euronews. Il reporter, inviato sulle montagne bosniache, intervista i “cacciatori di tesori” dell’Adriatic Metals, immersi in un districato e sofisticato impianto di lavorazione, circondati da un sistema di trattamento dell’acqua a circuito chiuso.

Da qui, l’estrazione di metalli strategici per la produzione di celle solari, veicoli elettrici, stazioni di ricarica, turbine eoliche. La miniera conta l’impiego di 300 lavoratori e prevede che l’avvio della filiera porterà alla creazione di oltre 2.000 posti di lavoro nelle attività correlate. L’inserimento delle risorse naturali bosniache sulla mappa mondiale delle miniere ha però dei costi. Sono gli appelli che arrivano dal mondo dell’ambientalismo.

La salute al primo posto

La salute dell’ambiente e, conseguentemente, dell’individuo sono la priorità da cui le voci dell’ambientalismo territoriale lanciano degli appelli. Questi gruppi denunciano gli impatti dell’attività mineraria sull’ecosistema locale e sugli habitat naturali, sull’inquinamento delle risorse idriche e sull’emissione di gas climalteranti.

Segnalazione che è arrivata alla Convenzione di Berna, ufficio del Consiglio d’Europa che sovrintende alla protezione della biodiversità. Nel 2022 è stata richiesta la sospensione della programmazione dei lavori fino alla presentazione di un rapporto ufficiale da parte del governo bosniaco per fare chiarezza sulla questione. I controlli per la sicurezza ambientale sembrano essere stati fatti e la voce degli ambientalisti continua a farsi sentire, con l’obiettivo di tenere alta la tensione attorno ai temi del monitoraggio e della tutela.

Perché conviene

È una questione di soldi? Non solo. Oltre alle considerazioni ambientali e socio-economiche, la miniera di Vareš è anche al centro di complesse dinamiche geopolitiche: le aspirazioni di sicurezza energetica e di controllo delle risorse sono un tema fortemente sentito all’interno della regione e nel rapporto con l’Unione europea. È attraverso la conformità normativa, la sostenibilità ambientale, le relazioni commerciali e la cooperazione tecnica che la Bosnia Erzegovina ha l’opportunità di creare un ponte di credibilità con l’UE. Paese candidato all’adesione dalla fine del 2022, la gestione responsabile delle risorse minerarie potrebbe contribuire a favorire una maggiore integrazione.

Conviene perché è un’occasione di trasparenza e di comunicazione, di avanguardia tecnologica per un settore, quello delle risorse minerarie, fondamentale per lìeconomia mondiale. Un’occasione di collaborazione con la comunità locale che non è avvenuta, per esempio, in Serbia con le miniere di litio gestite da Rio Tinto e ad oggi chiuse (ma dopo Davos – chissà) a seguito delle pressioni dei gruppi ambientalisti in piazza nel 2021. Opportunità mancata anche lo scorso agosto 2023 in Macedonia del Nord, con le proteste a Strumica contro la miniera di Ilovica-Stuka.

Da un lato, il racconto di un’attività estrattiva che salva l’economia e posiziona il paese in un asse di potere geopolitico. Dall’altro, la sfida della gestione responsabile e della conservazione sanitaria-ambientale. Posizioni necessarie, forse, per un equilibrato approccio integrato che cerchi di bilanciare costi e benefici. Come sempre, una questione di lungimiranza.

Foto: Al Jazeera, 2023.

Chi è Ivana Ristovska

Nata nel 1996 a Štip (Macedonia del Nord), vive in Piemonte. Laureata in Scienze Internazionali a Torino, con una sosta francese a Sciences Po Lyon e una formazione pregressa in Comunicazione Interculturale. Attualmente operativa nel settore della progettazione ambientale. Attività che trova posto accanto ad un costante sguardo verso la storia e il presente dell'area balcanica. Ne parla qui su East Journal.

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