REP. CECA: Sparatoria all’Università Carolina di Praga. Un paese sotto shock

L’attentato all’Università Carolina ha puntato i riflettori su alcuni problemi sistematici in Repubblica Ceca

Cronaca di una strage premeditata

Il gesto isolato di un folle. Questo, per il momento, sembra essere il responso sulla tragedia avvenuta a Praga che ha scosso tutto il mondo. Ripercorriamo brevemente l’accaduto. Nella mattina del 21 dicembre 2023, David Kozák, studente ventiquattrenne specializzato in storia della Polonia, uccide con un’arma legalmente detenuta il padre nella casa familiare di Hostouň, vicino alla città di Kladno, a 30 km dalla capitale ceca. Prima di pranzo, scrive alla madre di volersi uccidere e parte per Praga. Allertata, la polizia raggiunge verso le 14 la sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Carolina in via Celetná, presso piazza della Città Vecchia, dove Kozák avrebbe dovuto avere lezione, ma non lo trova. Alle 14:59, arriva la prima segnalazione di colpi d’arma da fuoco nella sede principale della facoltà in piazza Jan Palach, non lontano dal Ponte Carlo. In 4 minuti la polizia è sul posto ed irrompe nello stabile. Poco dopo l’omicida viene localizzato sul ballatoio del 4° piano da dove spara sulla piazza, contrastato dallo scambio a fuoco con le forze dell’ordine. Alcuni studenti – le foto hanno fatto il giro del mondo – si abbarbicano sul cornicione esterno per mettersi in salvo, mentre una ragazza cade giù trovando la morte. Da segnalare l’eroismo del giornalista Jiří Forman, presente sul posto come reporter e legalmente armato, che attira su di sé l’attenzione e i colpi dello stragista dirottandoli dalla piazza. Infine, braccato dalla polizia, l’aggressore si toglie la vita e, alle 15:20, ne viene ritrovato il corpo e confermato il decesso. Nell’edificio le forze dell’ordine rinvengono un arsenale di munizioni definito dalla polizia “enorme” che, senza il pronto e rapido intervento delle autorità, avrebbe potuto causare una strage di gran lunga maggiore.

Un paese sotto shock

Il bilancio complessivo, tra studenti e docenti, è di 14 persone morte sul posto, una deceduta in ospedale e 25 feriti, di cui 10 in condizioni gravi ma, attualmente, nessuno più in pericolo di vita. Tra i feriti tre stranieri: due emiratini e un olandese. Al triste conteggio, oltre al padre del folle, sono da aggiungere, secondo l’esito dell’esame balistico, l’uomo di trentadue anni e la figlioletta di soli due mesi uccisi una settimana prima nel bosco di Klánovice, alle porte di Praga. Questa, nella sua crudezza, la cronaca del maggior massacro della storia del paese dopo le sparatorie del 2015 a Uherský Brod (otto morti) e, quattro anni dopo, quella di Ostrava (sette vittime). Grande è lo shock per un paese non aduso a casi simili di violenza di massa e, finora, convinto che eventi del genere fossero prerogativa di paesi lontani gravati da tensioni sociali (in primis gli USA) e/o etniche e culturali (Francia, UK e altri). Praga, dove per il 23 dicembre è stato dichiarato il lutto nazionale si scopre così, purtroppo, non immune ai mali della società moderna. Ma la capitale ceca è anche una città simbolo a livello europeo, amata e frequentata, di qui le numerosissime manifestazioni di cordoglio e condoglianze, nonché le offerte d’aiuto, pervenute da molti capi di Stato e di governo, Biden e von der Leyen compresi. Ignoto, per ora, il moventa, ma sembra da escludersi quello di stampo terroristico.

(In)sicurezza e armi: una ricorrente vexata quaestio

Tra i dieci paesi più sicuri al mondo, secondo il Global Peace Index del 2019, è improbabile che la situazione della sicurezza nella Repubblica Ceca cambi in modo sostanziale per un evento che, seppur tragico e terribile, appare come isolato. Ma quello che, probabilmente, cambierà sarà la percezione del pericolo tra la popolazione, sorpresasi improvvisamente più vulnerabile. Per fare un semplice esempio che la dice lunga se rapportato al nostro paese: in Repubblica Ceca non serve superare un metal detector neanche per entrare in banca. Ma già adesso si sta discutendo, con posizioni molto variegate, sull’opportunità di dotare università e altri spazi pubblici di tali apparecchiature. Ci si chiede, infatti, come Kozák abbia potuto entrare indisturbato nella facoltà munito di un arsenale di tutto rispetto. E molte altre sono le domande cui dare una risposta: prima tra tutte com’è possibile che una persona affetta da un palese disagio psichico (benché incensurata e insospettata) potesse detenere legalmente armi di tali portata e perché non è scattato nessun campanello d’allarme quando, in primavera, lo stesso Kozák aquistava 7 armi di vario calibro, compreso il fucile semiautomatico AR-15 con ottica di precisione usato nella strage. Questione, quella delle modalità di acquisto legale delle armi, che tornerà oggetto di dibattito in un paese dove, nel 2020, su 10,5 milioni di abitanti, si contano poco più di 300mila porti d’armi per un totale di circa un milione di armi da fuoco. Merito, oltreché della fiorente tradizione ceca di produzione di armamenti (un tempo fiore all’occhiello, per così dire, del blocco sovietico), di una legislazione in materia tra le più lassiste in Europa, tanto che, nel 2021, sulla spinta di un petizione firmata da 100mila persone, è stato addirittura introdotto nella Costituzione ceca il “diritto a proteggere la vita propria e altrui anche con le armi”. Il tutto quale risposta dei partiti populisti di destra radicale, e non solo, agli sforzi europei in senso contrario di limitare la diffusione delle armi tra la popolazione civile.

Un boccone appetitoso per il mondo della disinformazione

Occasione troppo ghiotta, quella di una sparatoria con 15 morti nel cuore della capitale, per l’oscura galassia delle fake news. Qualche giorno prima della strage, infatti, tra i vari profili e bot russofili aveva iniziato a rimbalzare la notizia, mai confermata da nessuna fonte ufficiale, che il sospettato dei due omicidi nel bosco di Klánovice fosse di nazionalità ucraina. Ipotesi falsa che, nelle prime ore dopo la tragedia, ha ripreso fiato con l’obiettivo evidente di aizzare risentimenti ucrainofobi. Una volta confermata dalla polizia la provenienza 100% ceca dell’omicida, la cloaca disinformante ha aggiustato il tiro prendendo di mira, più in generale, il mondo studentesco liberale, progressista e multiculturale e, naturalmente, l’Occidente corrotto e decadente dove sciagure del genere sarebbero all’ordine del giorno. Per esempio, un politico dell’SPD, partito di estrema destra, ha imputato la strage al disturbo bipolare dell’aggressore che, a sua detta, sarebbe “assai diffuso tra i giovani delle università praghesi”. Città contro campagna, centro contro periferia, istruzione contro ignoranza. Un copione già visto. Probabilmente un falso il canale Telegram con il nome dell’omicida, aperto il 9 dicembre, dove qualcuno dichiarava in un perfetto slang russo di voler uccidere quante più persone possibili ispirandosi al gesto altrettanto folle di due giorni prima commesso dalla studentessa quattordicenne Alina Afanaskina a Bryansk in Russia.

Due giovani suicidi, due gesti opposti

Il pensiero, per concludere, corre anche a Jan Palach, cui è intitolata la piazza antistante la facoltà, simboli, entrambi, della lotta contro l’oppressione e i regimi totalitari. Tra i due suicidi è ravvisabile una simmetria antitetica in cui, forse, leggere anche un segno dei tempi. Palach, anch’egli giovane studente della facoltà di lettere e filosofia, insoddisfatto dello stato del mondo esteriore, compie violenza contro se stesso per richiamare l’attenzione su quanto stava avvenendo e risvegliare i cechi dalla passività verso l’invasore sovietico, Al contrario, Kozák, evidentemente insoddisfatto dello stato del suo mondo interiore, commette violenza contro altri in un folle e disperato atto solipsitico. Quasi a significare due modi diametralmente opposti di rispondere a situazioni di estremo disagio interiore. Ecco, dunque, anche la scelta della foto che accompagna questo articolo in cui il busto post mortem del giovane Palach, al fianco dell’ingresso della facoltà, sembra quasi proteggere simbolicamente questo sacrario del sapere e della libertà dalla violenza cieca e insensata.

Foto: Eugen Kukla

Chi è Andreas Pieralli

Pubblicista e traduttore freelance bilingue italo-ceco. Laureato in Scienze Politiche a Firenze, vive e lavora a Praga. Si interessa e scrive di politica, storia e società dell’Europa centrale. Coordina e dirige il progetto per un Giardino dei Giusti a Praga.

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