Croazia antifascista

CROAZIA: La difficile ricostruzione della memoria antifascista

Kamenska è un villaggio che non c’è più, nessuno dei quaranta abitanti che ci viveva all’inizio degli anni novanta del secolo scorso vi risiede ancora, nessuno li ha rimpiazzati. Siamo nella Slavonia occidentale, estremo est della Croazia, ma questo – fino a pochi giorni fa – era diventato un “non luogo”. Ma anche negli anni d’oro, se così vogliamo definirli, i residenti erano poco più di un centinaio, mentre durante il secondo conflitto mondiale non superavano la trentina in tutto, poco di più.

La montagna dei partigiani

Eppure, è proprio in questo luogo e proprio in quegli anni che questa storia ha inizio. E inizia con la costruzione di un monumento, uno dei più grandi realizzati in quel periodo, quello della Jugoslavia post-bellica, quello comunista, quello del presidente plenipotenziario Josep Broz Tito. Non una scelta casuale, Kamenska, per un’opera così imponente, trenta metri in altezza, dieci anni per realizzarla; ma il riconoscimento di un popolo, di una nazione, al fondamentale tributo di sangue e di morte che quei luoghi e quelle montagne avevano offerto alla causa dalla liberazione della nazione dall’invasione nazista.

Montagne che furono roccaforti del movimento partigiano e rifugio di migliaia di civili serbi che fuggivano dalle persecuzioni degli ustascia, il movimento fascista che dominò la scena politica croata negli anni Trenta, al potere nel paese nello stato fantoccio creato da Hitler dopo l’invasione nazista, nel 1941. Con la fine di Tito e l’indipendenza, di quel monumento, fatto saltare in aria dalle forze armate croate nel 1992, ci si era dimenticati. Quasi impossibile raggiungere il luogo dove si trovava, la strada inghiottita dalla vegetazione che s’era ripresa ciò che le apparteneva; nessuno che si chiedesse dove fosse finito, nessuno che apparentemente ricordasse quando, da lontano, illuminava ogni cosa con i suoi riflessi metallici.

Invece oggi quel monumento è stato riposizionato là dove stava, riconsegnato a nuova vita, per quanto virtuale. Sono stati la maestria dello scultore Sandro Đukić e la perseveranza della curatrice del progetto “il silenzio che ha abbattuto il monumento”, Davorka Perić, a rimetterlo al suo posto. Ma, soprattutto, è stata la memoria di coloro che in passato lo ammiravano a rendere tutto ciò possibile, perché la memoria non si cancella neanche con le bombe. Erano in centinaia il giorno dell’inaugurazione, il 7 ottobre scorso: ex-residenti, antifascisti, semplici cittadini arrivati da tutta la Croazia. Tra loro, Milorad Pupovac, presidente del Consiglio nazionale serbo – l’organizzazione che rappresenta la minoranza serba in Croazia – e finanziatore dell’opera. Il nuovo monumento è un’installazione elettronica – in futuro sarà visibile sul proprio telefonino inquadrando il QR code posizionato sul piedistallo – ma allo stesso tempo concretissima, quanto concreto era il desiderio di non dimenticare la “forte moralità” che esso rappresentava, come ricordato da Pupovac.

Un patrimonio in pericolo

Ad oggi non esiste un registro ufficiale di queste opere (gli spomenik secondo il termine serbocroato) ma si stima che in tutta la Croazia siano almeno tremila i monumenti realizzati nel secondo dopo-guerra per volere di Tito, molti di essi sono raffigurati nel celebre libro del fotografo belga, Jan Kampeners, dedicato ai monumenti della Guerra di Liberazione Nazionale in Jugoslavia. In Italia ricordiamo, invece, la graphic novelSpomenik – La Jugoslavia che resta” di Stefano Fasano, Veronica Tosetti ed Eliana Albertini.

Tremila monumenti che portarono il modernismo artistico in tutta la Jugoslavia suggerendo che la modernizzazione stava arrivando ma, soprattutto, manufatti che celebravano la vittoria dei partigiani sugli occupanti nazi-fascisti, quella dei comunisti sugli ustascia. Sebbene negli ultimi anni ci sia stato uno sforzo di recupero di alcune di esse, la maggior parte di quelle opere versa oggi in uno stato di totale incuria e trasandatezza. Quelle che non sono state distrutte o fatte saltare in aria negli anni delle guerre jugoslave, sono state oggetto di atti vandalici, scempi e persino saccheggi per ricavarne la materia prima. La maggior parte di quelle sculture sono state deturpate o imbrattate da scritte che rievocano il periodo fascista, la “U” di ustascia o l’acronimo “ZDS” a richiamare quel “Za dom spremni‘ – pronti per la patria – tanto in voga tra le loro fila. Altre ancora sono state ricollocate in luoghi fuori mano, o “riciclate” per celebrare qualcosa di diverso, il più delle volte per dedicarle ai combattenti della guerra degli anni ’90 privandole di ogni riferimento all’antifascismo.

Cancellare la memoria

Non è incuria, non curanza, indifferenza. O meglio, non solo. È, con ogni evidenza, parte di un processo di damnatio memoriae, con un chiaro – seppur non apertamente dichiarato – scopo politico. Con la fine del comunismo e la ritrovata indipendenza, quei monumenti sono fuori da questo tempo, non lo rappresentano più, fanno parte – anzi – di un passato che si vorrebbe rimuovere. Sebbene la Croazia odierna sia profondamente anticomunista, non si tratta solamente di un tentativo revisionista dell’epoca fascista, di riabilitazione degli ustascia e – di converso – di condanna degli anni del comunismo. Forse, più semplicemente – ma non per queste meno amaramente – essi non si adattano alla cultura dominante di questi anni; una cultura che mette al centro l’identità croata, l’orgoglio nazionalista. Quanto di più lontano – l’esatto contrario, anzi – di quello di cui quei monumenti erano simbolo nei decenni comunisti, ovvero il tentativo di superare gli elementi identitari etnici che permeavano i vari popoli costituenti la Jugoslavia, nel nome del comune obiettivo di combattere il fascismo.

La cerimonia di Kamenska del 7 ottobre scorso resta, comunque, un bel segnale. Esso si inquadra nell’alveo di sforzi simili portati avanti in altre parti del paese, a Vukovar, Šibenik, Dudik, per esempio. Il più delle volte grazie all’impegno di organizzazioni antifasciste locali, spessissimo con il contributo fondamentale della comunità serba di Croazia. Non un caso, anche questo.

Foto Spomenikdatabese.org. il monumento originale nel 1970

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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