Nagorno Karabakh

La fine del Nagorno-Karabakh porterà la pace?

L’indipendenza del Nagorno-Karabakh è finita. I rappresentanti armeni e quelli azeri stanno discutendo a Yevlakh, in Azerbaijan, i termini della capitolazione. La sorte dei combattenti, quella della popolazione civile, la crisi umanitaria alle porte e l’instabilità politica armena sono gli elementi che fanno da sfondo a questa difficile trattativa.

Un giorno, una storia

È  bastato un giorno di combattimenti per segnare la fine del Nagorno-Karabakh, repubblica de facto sorta all’indomani della dissoluzione sovietica. Un giorno, che però viene da lontano, dalle violenze degli anni Ottanta, dai pogrom, dalla reciproca pulizia etnica e da tensioni esplose all’indomani della dissoluzione sovietica in una guerra che oppose Armenia e Azerbaijan e che costò trentamila morti. Quella guerra, che terminò nel 1994 con la vittoria armena, sancì la sostanziale indipendenza del Nagorno-Karabakh, territorio a maggioranza armena ma formalmente parte dell’Azerbaijan – e come tale riconosciuto dalla comunità internazionale.

Il governo di Baku non ha mai rinunciato alla propria sovranità sul territorio e, nel 2020, a seguito di una breve e vittoriosa guerra, è riuscito a riprendere il controllo di alcune aree.  Si è così giunti a un cessate-il-fuoco con la mediazione di Mosca che prevedeva l’invio di peacekeepers russi con il compito di garantire la sicurezza della popolazione armena locale e proteggere il corridoio di Lachin, una sottile lingua di terra che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia.

La guerra in Ucraina ha però rimescolato le carte. Approfittando delle difficoltà russe nel conflitto, gli azeri hanno violato la tregua bloccando il corridoio di Lachin e lanciando attacchi in direzione sia del Nagorno-Karabakh, sia degli stessi i territori armeni. Si è palesata così sia la debolezza armena, sia quella russa. Le forze di pace del Cremlino, infatti, sono rimaste a guardare. L’Azerbaijan invece, forte di un’economia dinamica e in perenne crescita, e di una solida alleanza militare con la Turchia, è riuscita a impegnarsi nella riconquista del Nagorno-Karabakh, dapprima con un lungo isolamento e infine con un intervento militare diretto.

I rischi

I lunghi mesi di isolamento hanno stremato la popolazione del Nagorno-Karabakh. La mancanza di cibo, di medicine, di carburante – che venivano forniti dall’Armenia attraverso il corridoio di Lachin – rischia di produrre una grave crisi umanitaria. In questi giorni, sono in molti coloro che stanno lasciando le proprie case con l’effetto di svuotarlo della presenza armena. I timori di una pulizia etnica si moltiplicano malgrado le rassicurazioni. Il governo azero ha promesso l’amnistia per tutti i soldati armeni mentre quello armeno ha dichiarato che non ci sono pericoli per la popolazione locale.

In Armenia, però, sale la tensione politica. Manifestazioni di piazza chiedono le dimissioni del governo di Nikol Pashinyan. La polizia è intervenuta reprimendo brutalmente. Non è detto che basti a evitare un cambio al vertice. Tuttavia, appare difficile che un nuovo governo possa riprendere il conflitto ma il rischio di una deriva revanscista e nazionalista è reale.

Il silenzio europeo

Di fronte alla crisi umanitaria che si andava sviluppando in Nagorno-Karabakh, l’Unione Europea è rimasta silente. Né ha espresso critiche verso la condotta dell’Azerbaijan. Bruxelles ha cercato di porsi come mediatore equidistante lavorando per evitare una nuova escalation militare, ma ha fallito. Eppure sforzi non sono mancati, negoziati si sono fatti, la missione EUMA è stata rafforzata. Pesa però oggi quel silenzio davanti alle violazioni azere: davvero non indispettire Erdogan può essere una ragione sufficiente per tacere?

Le possibilità

La presenza di diversi stati de facto nel Caucaso rende la regione instabile e perennemente sotto ricatto. Il conflitto russo-ucraino offre però inattese svolte. Al netto della crisi umanitaria, e dei timori di una pulizia etnica, la fine del Nagorno-Karabakh coincide con la possibilità di ristabilire l’ordine e il diritto internazionale dopo trent’anni di guerra. La sovranità azera sulla regione è legittima, come lo è quella georgiana su Abcasia e Ossezia, o – uscendo dai confini caucasici – quella ucraina sulla Crimea e il Donbass. La debolezza russa apre nuove possibilità e scenari impensabili fino a pochi anni fa. Sebbene l’intervento azero sia in violazione degli obblighi internazionali contratti, il nuovo status quo che ne potrebbe derivare apre a nuove opportunità, non solo a nuovi rischi.

La possibilità più grande è quella della pace. Il Nagorno-Karabakh può essere il punto di partenza – e il banco di prova – per una pacificazione più ampia. Occorre però che le istituzioni internazionali e l’Unione Europea vigilino su questo processo, garantendo i diritti delle minoranze e favorendo la cooperazione. Occorre uscire dal formato che vede Russia e Turchia garanti delle parti in conflitto, aprendo a nuovi attori. In tal senso, è interessante notare come lo stesso primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, abbia definito “un errore” affidare unicamente a Mosca la sicurezza del paese e abbia acconsentito a esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti. 

Una nuova architettura di sicurezza per il Caucaso è senz’altro lontana, ma i riflessi del conflitto russo-ucraino sulla regione e la debolezza diplomatica e militare del Cremlino possono avere ricadute non solo negative. Almeno questa è la speranza.

Photo by Celestino Arce/NurPhoto via Getty Images

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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