Lo scrittore e intellettuale Marko Vešović si è spento all’età di 78 anni a Sarajevo, di cui aveva tenacemente raccontato sofferenze e speranze durante il lungo assedio della città, diventando una delle figure più carismatiche della resistenza nel corso del conflitto in ex-Jugoslavia
Marko Vešović nacque nel 1945 a Pape, nel nord-est del Montenegro, ma ha vissuto gran parte della sua vita a Sarajevo, dove si è spento lo scorso 17 agosto per un male incurabile all’età di 78 anni. Una vita creativamente e artisticamente prolifica, coltivata nella capitale bosniaca, che lo ha visto scrittore, poeta, docente di Letteratura jugoslava, saggista, giornalista, e tra i massimi intellettuali in Europa orientale.
Sarajevo
Marko Vešović nacque a Pape, ma la sua anima apparteneva a Sarajevo. Qui era di casa perché scelse di trascorrere in Bosnia Erzegovina tutti gli anni della guerra, e perché raccontò con spietata dolcezza il calvario dei suoi cittadini, con cui condivideva le sofferenze quotidiane nella città sotto assedio. Questa sua indomita e sofferta brama di raccontare lo hanno reso uno dei cronisti più rispettati, autorevoli e amati della tragedia sarajevese.
E a Sarajevo è stato sepolto, nel cimitero di Sv. Josip. Oltre ai familiari, al funerale hanno partecipato amici, conoscenti, e una moltitudine di ammiratori dell’immagine e delle opere di Vešović. In Italia è stato ricordato da chi condivise l’assedio, da Gianluca Paciucci sul Manifesto, da Gigi Riva sul Domani, da Adriano Sofri sul Foglio.
Le opere
La raccolta di poesie Cavalleria polacca (Poljske konjice) rappresenta la testimonianza più toccante della tragedia di Sarajevo, intrisa dell’intima malinconia di Vešovic, ma anche di una malinconia universale che accomuna tutti gli uomini e le donne, senza tempo e senza spazio. L’opera contiene i versi scritti tra il 1995 e il 1998, e secondo lo stesso autore essa rimarrà “come un fulgido monumento a un’eclissi inquietante nata nelle menti dell’intellighenzia balcanica provinciale alla fine del XX secolo”.
L’altra grande opera di Vešović è Chiedo scusa se vi parlo di Sarajevo (edizione Sperling&Kupfer, 1996), il cui titolo originale era Smrt je majstor iz Srbije (letteralmente: la morte è un capomastro dalla Serbia); pubblicato nel 1994, in piena guerra, ripreso costantemente da giornali e riviste, e diventato presto uno dei componimenti più preziosi e significativi che siano stati scritti sullo sfondo della guerra in Bosnia.
La produzione di Vešović vanta numerosi saggi e traduzioni (celebre quella delle poesie di Charles Baudelaire), arrivando a una trentina di opere in poesia e in prosa, tra cui – oltre ai già citati – troviamo i famosi in terra natia Nedjelja, Osmatračnica, Rodonačelnik, Četvrti genije, Kralj i olupina. Una produzione tanto vasta quanto variegata che lo rendono uno degli intellettuali di maggior spessore in Bosnia e nell’area balcanica, insieme a Izet Sarajlić e ad Abdulah Sidran, coi quali condivide la capacità di indagare i pensieri più profondi non solo di una città, ma anche dell’intero popolo bosniaco.
I suoi “no”
Se la riflessione sugli orrori della guerra assumeva a volte nei versi e nelle dichiarazioni pubbliche di Vešović tinte sarcastiche, essa si stagliava sempre sullo sfondo di una lucidissima – e a tratti feroce – consapevolezza dei contrasti della realtà balcanica contemporanea, a livello etnico, politico, religioso: “esistono ancora Stati dell’odio ed esistono ancora maestri dell’odio: sono quelli che insegnano alla loro gente a odiare come insegnano ai bambini la tavola pitagorica”.
Ed è proprio da questa consapevolezza che deriva il rifiuto da parte di Vešović di ritirare il prestigioso premio montenegrino “Risto Ratković” nel 2008, conferitogli per la raccolta di poesie Rastanak sa Arencanom. Il no di Vešović fu dovuto al fatto che quello stesso premio era stato assegnato nel 1993 al criminale di guerra Radovan Karadžić, al quale non fu mai revocato nonostante la condanna nel 2019 da parte del tribunale dell’Aia per genocidio e crimini contro l’umanità.
Vešović rifiutò anche il posto offertogli come membro della Presidenza della Bosnia-Erzegovina, affermando di come non fosse tagliato per la politica, e di quanto la politica non fosse tagliata per lui. Tuttavia Vešović si impegnò ugualmente in ambito parlamentare, all’interno di in un partito liberale, attraverso il quale trovò il modo per adeguarsi ai tempi post-Dayton, congedandosi dalla difficile realtà della guerra ed entrando così negli altrettanto complicati meccanismi della Bosnia Erzegovina.
Foto: penbih.ba