ufficiali Azovstal

UCRAINA: Zelens’kyj porta a casa gli ufficiali catturati all’Azovstal

Cinque ufficiali ucraini protagonisti della difesa dell’Azovstal, tra cui il comandante del battaglione Azov, Denys Prokopenko, sono stati liberati in accordo col governo turco, scatenando le ire di Mosca. Zelens’kjy è andato direttamente a prenderli con l’aereo presidenziale rafforzando la propria immagine di leader… 

Sarebbero dovuti rimanere in Turchia fino alla fine del conflitto, ma nel pomeriggio dell’8 luglio scorso sono rientrati in patria con un volo di Stato. Si tratta di cinque comandanti dell’esercito ucraino che si arresero ai russi dopo mesi di combattimento nell’acciaieria Azovstal di Mariupol’. Catturati nel maggio del 2022, vennero poi consegnati al governo di Ankara nel settembre dello stesso anno all’interno di uno scambio di prigionieri che vide il rilascio da parte delle autorità russe di 215 soldati ucraini – tra cui i cinque ufficiali – a fronte della liberazione di 55 prigionieri russi da parte del governo di Kiev. Tra questi ultimi anche l’oligarca ucraino Viktor Medvedchuk, uomo fedele al Cremlino.

I cinque ufficiali, Denis Prokopenko, Svyatoslav Palamar, Serhiy Volynsky, Oleg Khomenko, Denis Shlega, sono stati allora consegnati alle autorità turche che svolsero un ruolo di mediazione all’epoca dello scambio di prigionieri. Il presidente ucraino Zelens’kjy dopo lo scambio disse che i cinque comandanti sarebbero dovuti rimanere in Turchia fino alla fine della guerra. Anche il capo dell’intelligence ucraina, Kirill Budanov, dichiarò che avrebbero trascorso un periodo di sorveglianza in Turchia. Quel periodo è finito per unilaterale decisione di Kiev. L’ufficio del presidente Zelens’kjy ha riferito che il ritorno dei militari in patria è diventato possibile “sulla base dei negoziati con la parte turca”.

Il governo di Ankara non ha ancora commentato, ma il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha dichiarato che si tratta di “una violazione degli accordi raggiunti nell’ambito della loro liberazione dalla prigionia russa” e che “nessuno ha informato la Russia”. E questo è sicuramente il dato più interessante: il Cremlino non conta nulla, nemmeno per i turchi, e si fa quel che si vuole. Kiev agisce da una posizione di forza e può permettersi di pestare i piedi a Mosca sotto la luce del sole. Insieme alla liberazione dei prigionieri, infatti, è giunta anche conferma ufficiale della responsabilità ucraina nell’attacco al ponte di Kerč’, eretto dai russi all’indomani dell’annessione illegale della Crimea al fine di collegare la penisola con il resto del paese.

Il governo turco, che ha fin qui rivendicato una certa autonomia in relazione al conflitto, mantenendo rapporti commerciali e diplomatici con Mosca, ribadisce di fatto la propria appartenenza atlantica: la decisione di consegnare a Kiev i cinque ufficiali va messa in relazione con la chiusura dei Dardanelli e l’invio dei droni Bayraktar TB2 all’Ucraina. Tuttavia l’ambiguità di Ankara – necessaria soprattutto a causa della crisi economica che attanaglia il paese – potrebbe non terminare qui. Ancora oggi la Turchia funge da snodo per evadere le sanzioni occidentali alla Russia e proprio per questo il Cremlino dovrà fare buon viso a cattivo gioco.

I cinque ufficiali ucraini sono stati riportati in patria dallo stesso Zelens’kyj che è andato a prenderli con un aereo presidenziale. Non si tratta di soldati qualunque. Denis Prokopenko, già insignito della medaglia di “eroe dell’Ucraina”, comandava il reggimento Azov mentre Svyatoslav Palamar ne era il vice-comandante. Oleg Khomenko era responsabile della difesa di Azovstal mentre Volynsky e Shlega erano comandanti di brigata. “Riportiamo a casa gli eroi” ha dichiarato ai media il presidente Zelens’kyj mentre sui social si diffondevano le prime immagini: “Potranno presto riabbracciare le loro famiglie” si afferma in un breve video propagandistico in cui il presidente ucraino, nell’abituale maglietta mimetica, attende l’arrivo dell’autobus che porta i cinque ufficiali, mentre bandiere turche e ucraine sventolano nel cielo. Seguono abbracci e strette di mano: gli eroi si riuniscono e si riconoscono, i soldati e il presidente in un’operazione che ha anche un indubbio valore politico, rafforzando l’autorità di Zelens’kyj e contribuendo a dare un’immagine di forza ed efficacia del governo. Assente, e per questo evidente, è il Cremlino a cui tocca l’ennesimo schiaffo diplomatico. 

Immagine da Ufficio del Presidente dell’Ucraina / AFP / Scanpix / LETA

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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