Centinaia di migliaia di persone si sono riunite, lo scorso 4 giugno, in una grande marcia di protesta contro il partito conservatore Diritto e Giustizia (PiS), al governo dal 2015, accusandolo di corruzione, deriva autoritaria e nepotismo. Si tratta della più grande manifestazione dal 2020, anno delle proteste contro l’introduzione del divieto totale d’aborto. Nella sola Varsavia si sono contate trecentomila persone – secondo la procura, non secondo gli organizzatori – e analoghe marce si sono tenute nelle principali città polacche. Il PiS ha condannato l’evento, organizzato dall’opposizione, come una “marcia dell’odio”.
Le proteste anticipano le elezioni parlamentari previste per questo autunno e sono state un’importante prova di forza da parte delle opposizioni, date ancora in svantaggio di alcuni punti percentuali nei sondaggi ma capaci di prendere in mano l’iniziativa costringendo il governo a giocare sulla difensiva. La campagna elettorale comincia proprio con queste manifestazioni.
La data – quella del 4 giugno – è stata scelta per il suo valore simbolico, in quanto quello stesso giorno nel 1989 si tennero le prime elezioni semilibere che videro il successo di Solidarnosc e del suo leader, Lech Wałęsa, segnando la fine del regime comunista in Polonia. Lo stesso Wałęsa, insieme a Donald Tusk e Rafał Trzaskowski, è salito sul palco di Varsavia. Donald Tusk, leader di Piattaforma Civica (PO), principale partito di opposizione, già presidente del Consiglio europeo e primo ministro polacco dal 2007 al 2014, ha arringato la folla: «Mentre oggi guardo qui, nel centro di Varsavia, la folla infinita di persone che sono venute a manifestare la loro rabbia, ma anche la loro speranza, non posso che dire: “questa è la Polonia”. Siamo qui affinché tutta l’Europa lo veda. Noi siamo pronti a lottare ancora per la democrazia»,
Quel “noi” usato da Tusk rappresenta l’intera opposizione, dai social-democratici di Lewica – i primi a rispondere all’appello e aderire alla marcia – al Partito del popolo polacco (PSL), di ispirazione agraria, conservatore e cattolico, fino a Polska 2050, formazione cristiano-liberale. Tutti hanno aderito all’iniziativa promossa da Tusk. Una prova generale delle possibili alleanze post-elettorali. A favorire l’unità dell’opposizione è stata soprattutto la cosiddetta “Lex Tusk” promossa dal governo per combattere l’influenza russa nel paese ma, di fatto, uno strumento per colpire l’opposizione ed escluderla dalla competizione elettorale. Firmata dal presidente polacco, Andrzej Duda, la legge è poi stata oggetto di profonda revisione dopo che il governo americano ha espresso preoccupazioni in merito. Non a caso il portavoce del governo, Piotr Müller, ha scritto in un tweet che Tusk e Wałęsa stanno «cercando di rovesciare il governo che ha rotto con la [loro] politica di ripristino delle relazioni con la Russia». Un altro esempio di come il governo cerca di usare la guerra in corso come leva di consenso interno, accusando l’opposizione di essere espressione degli interessi russi.
Anche alcuni giudici della Corte suprema polacca hanno preso parte, in veste privata, alla manifestazione di Varsavia. Il governo ha già minacciato “conseguenze” affermando che fosse loro dovere “mantenersi neutrali” e che il loro comportamento sia “incostituzionale”. I media nazionali, in larga misura sotto controllo governativo, hanno dato poco risalto alle manifestazioni. In segno di protesta, cinque dei quindici membri del Consiglio di sorveglianza dell’emittente statale TVP hanno chiesto all’Autorità di regolamentazione della trasmissione (KRRiT) di agire contro la stessa TVP per la sua copertura delle proteste che, secondo loro, è stata “estremamente inaffidabile e parziale”.
TVP, come altri media pubblici, è finita sotto l’influenza del PiS che ha piazzato uomini fedeli al partito nei posti chiave dell’emittente, trasformandola in un organo di propaganda governativa. L’indipendenza dei media, come quella del sistema giudiziario, è stata fortemente compromessa durante gli anni di governo del PiS. Dopo le ultime due elezioni, nel 2019 e nel 2020, gli osservatori OSCE hanno espresso preoccupazioni riguardo TVP affermando che l’emittente “agisce come veicolo di campagna elettorale per il governo” con una “mancanza di imparzialità” che “ha minato la capacità degli elettori di fare una scelta informata amplificando il vantaggio del partito al governo”. In questo quadro, la sfida lanciata dall’opposizione incontrerà non poche difficoltà e solo l’unità – mostrata lo scorso 4 giugno – potrà consentirle di vincere le prossime elezioni.