La presenza russa nei Balcani pone il problema della pacificazione della regione come obiettivo vitale per l’integrazione europea e viceversa…
La campagna di propaganda per arruolare volontari operata in Serbia dal gruppo paramilitare della Wagner è l’ennesimo segnale inquietante dell’ uso strumentale delle tensioni nei Balcani da parte del Cremlino.
La penetrazione russa nei Balcani
L’ interesse della Russia verso i Balcani ha ragioni antiche e recenti, mosse dal comune denominatore di un imperialismo e di una realpolitik che ha individuato nei territori degli slavi del sud il ventre molle in cui inserirsi per destabilizzare il precario ordine degli equilibri europei. Il richiamo al panslavismo ortodosso e ad un comune destino sotteso permette al richiamo di Mosca di attecchire in Serbia, paese in cui la piaga del nazional-populismo conosce stagioni alterne da cui è rifiorito, finora, permeato da un’inveterata sindrome del complotto ben manovrata dall’alto.
L’ombra di Patrushev
L’importanza strategica accordata alla regione dalla Russia è dimostrata da quanto essa non lesini sulle risorse impiegate e sugli uomini preposti a coordinare operazioni di intelligence più o meno coperte. Non è irrilevante che, a quanto emerso, Vladimir Putin abbia delegato a Nicolaj Patrushev la supervisione della inquietante penetrazione russa nei Balcani. Indagini sul tentativo di golpe in Montenegro nel 2016 riconducono alla sua longa manus; eminenza grigia, silovik irriducibile e colonnello di Putin ai tempi del KGB, Patrushev gode di una considerazione esclusiva da parte del presidente della Federazione russa che ne ha assecondato sempre più le velleità militariste in Ucraina, forse esasperate dal fallimento delle operazioni balcaniche negli scorsi anni.
Il caso del Kosovo
Per non parlare dell’ambigua propaganda russa sul caso del Kosovo, che in Serbia alimenta focolai di revanscismo speculando sull’idea di una sottrazione ingiustificata ordita dagli americani. E ciò mentre nei media dell’Europa occidentale la stessa propaganda suole usare il paragone con l’autodeterminazione dei kosovari albanesi per legittimare il separatismo dei filorussi in Donbass, con argomentazioni fuorvianti e semplicistiche spesso utilizzate dal ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, e dalla sua portavoce Maria Zhakarova. La situazione nel Kosovo, surriscaldatasi negli scorsi mesi pretestuosamente, sembra intanto aver trovato una temporanea normalizzazione.
La Serbia rimane in mezzo al guado
La Serbia, obtorto collo, continua nella sua strada dei negoziati per l’adesione all’UE, sostenendo le risoluzioni ONU sulla guerra in Ucraina e nello stesso tempo non approvando le sanzioni economiche contro la Russia, fungendo sotterraneamente da ponte di transito per merci provenienti dai paesi occidentali e dirette verso la Russia che, più o meno lecitamente, aggirano l’embargo, mentre l’economia russa registra un calo del 36% dei ricavi e un aumento del 56% delle spese per i costi diretti e indiretti della guerra.
Cosa aspettarsi dalla Russia
La nuova mobilitazione da 500.000 coscritti in fase di preparazione in Russia prelude a uno scontro militare sul campo particolarmente aggressivo per la prossima primavera. Quali che siano gli esiti e le conseguenze aberranti è certo che la Federazione russa cercherà di manipolare gli smottamenti politici dei paesi balcanici, come nel caso del Kosovo, sia come diversivo e mezzo di ricatto, sia come ipotizzabile ritorsione nel caso in cui gli eventi non collimino con i desiderata della sua politica di potenza.
Il compito europeo
L’UE dovrà saper monitorare la regione, puntando sulla leva di una sinergia europea il più possibile autonoma da altre ingerenze, che sia economica e insieme culturale. Ad un patto europeo non può che far da contraltare una maturazione delle classi dirigenti balcaniche. Con il conflitto ucraino e il ritorno della guerra in Europa, un nuovo Great Game geopolitico tra Russia e Unione Europea potrebbe verosimilmente traslarsi (se mai se ne sia discostato) proprio nei Balcani. Se le guerre e gli errori commessi da tutti gli attori in campo hanno in qualche modo adombrato il conflitto ucraino, si spera che la guerra in corso non preconizzi a sua volta un ritorno delle ostilità nella regione.