Copertina di Ciao Shqipëria! Il secolo dei media nei rapporti culturali italo-albanesi (Besa muci, 2021)

Ciao Shqipëria! Una storia tra italiani e albanesi

Conosciamo poco la storia tra italiani e albanesi. Un rapporto complicato, spesso politico, più semplicemente umano, che è cambiato nel corso degli anni in base agli stravolgimenti della storia.

C’è un paese ad una manciata di chilometri dalle coste pugliesi di cui gli italiani hanno sempre saputo troppo poco: l’Albania. Una terra su cui si è voluto mettere le mani, da controllare quando la situazione si complicava per lei o da tenere distante quando diventava difficile per noi.

E poi c’è l’Italia vista dal “paese di fronte”, di cui gli albanesi hanno pensato fosse meglio non fidarsi, di cui è stato complicato anche sognare o dove alla fine è stato possibile mettere nuove radici.

Contraddizioni, queste, figlie di tempi diversi, dove il senso dell’esistenza è cambiato in base alle coordinate politiche, all’evoluzione della tecnologia, alla facilità con cui i pochi che tenevano le redini del potere, su entrambe le coste dell’Adriatico, hanno deciso sulla vita di molti.

È la storia raccontata in Ciao Shqipëria! Il secolo dei media nei rapporti culturali italo-albanesi (Besa muci, 2021), libro dello storico pugliese Vito Saracino che ricostruisce i rapporti tra italiani e albanesi dall’Ottocento ai nostri giorni: dalle aspirazioni balcaniche del Regno d’Italia al videomessaggio in perfetto italiano tenuto dal primo ministro Edi Rama durante i duri giorni dell’epidemia di Covid, passando per i momenti tragici delle migrazioni e del naufragio della Katër i Radës.

I media, di cui Saracino è studioso, sono stati scelti come l’espressione rappresentativa dei rapporti italo-albanesi, così importanti proprio perché quotidiani, radio, televisioni e social network non sono mai soltanto veicoli di contenuti ma creatori di miti, di segni interpretativi della realtà, di egemonie culturali, di ideologia. Tutto ciò che orienta e condiziona l’esistenza quotidiana degli esseri umani.

Con grande precisione il libro descrive il modo in cui i giornali sono stati utilizzati nell’Italia di Crispi per accompagnare l’espansione dei commerci italiani in Albania; come la radio e il cinema sono risultati indispensabili strumenti del regime di Mussolini per colonizzare la terra delle aquile; come Enver Hoxha ha rovesciato il paradigma fascista – in cui gli italiani erano rappresentati come benefattori -, creandone un altro in cui questi non erano altro che occupanti, codardi e ruffiani.

Uno spazio importante è dedicato alla televisione, quando questa divenne una finestra per sognare ciò che c’era dall’altra parte del mare e il regime diede vita alla “guerra delle antenne”, proibendo di guardare gli spettacoli italiani o censurando chirurgicamente le trasmissioni. Con l’ingegno si trovarono diversi modi per intercettare i segnali della Rai, rischiando l’arresto.

Durante i difficili anni Settanta gli albanesi sfidavano i divieti per guardare il festival di Sanremo, per ascoltare la Carrà, Celentano e Albano, immaginando un Altrove su cui era a malapena concesso di sognare a causa delle durissime politiche culturali di Tirana. Una televisione, quella italiana, che era il contrario delle rigide e iper-ideologizzate trasmissioni di regime.

Molto più che semplice musica e spettacolo, durante l’isolamento paranoico in cui il paese è stato immerso per anni intercettare le reti italiane era una via di fuga morale ed esistenziale, senza tuttavia rappresentare una sfida politica alle autorità che ne esasperavano i pericoli, trovando un motivo in più per tenere in moto la terribile Sigurimi.

Il racconto di Saracino è allo stesso tempo rigoroso e semplice, con una chiarezza espositiva che permette di tenere insieme periodi distanti e fonti molto diverse tra di loro: giornali del Regno d’Italia e del regime fascista, pellicole albanesi del Kinostudio e della Radio Televizioni Shqiptar, media digitali dei nostri giorni ma soprattutto voci dei testimoni dei tempi della dittatura.

Anche per questa ragione Ciao Shqipëria! sembra un dipinto: le numerose fonti documentarie e le molte interviste rievocano quasi materialmente immagini e memorie di un paese per anni blindato, chiuso in sé stesso, in cui non era possibile entrare né tanto meno uscire. In questo senso tra le pagine dell’opera è racchiusa un’importante testimonianza che va oltre la semplice saggistica.

Scrivendo questo libro l’autore non ha soltanto raccontato la storia di due paesi allo stesso tempo così vicini e così distanti; ma ha anche decostruito lo stereotipo, diffuso anche ad alti livelli dell’intelligentsia nostrana, secondo cui gli albanesi abbiano subìto la televisione italiana come fossero una massa incapace di rielaborare attivamente messaggi e rappresentazioni.

Allo stesso modo viene confutato il luogo comune un po’ sprezzante secondo cui i paesi dell’“Altra Europa”, e in questo caso l’Albania, siano ancora oggi legati essenzialmente al canone mediatico italiano, quando ormai ci sono ben altre influenze culturali con cui dividere gli spazi dell’immaginario schipetaro. Certo Celentano è ancora amatissimo ma è Dua Lipa oggi a conquistare i cuori dei più giovani, e non solo perché di origini albanesi.

Volgere lo sguardo all’Albania è anche un modo per ritrovare quella polvere che troppo spesso noi italiani abbiamo nascosto sotto il tappeto. Leggendo Ciao Shqipëria! è facile imbattersi nelle pagine nere della nostra storia, spesso ignorate, come la guerra fascista e molti anni più tardi il blocco navale stabilito durante il governo Prodi che provocò la tragedia del Venerdì Santo.

Ricevono il giusto spazio le parole di disprezzo che altissime figure politiche hanno riservato nei confronti degli albanesi in fuga dalla crisi buia degli anni Novanta, ma anche quelle di scrittori e attivisti come Alessandro Leogrande e Alexander Langer, che hanno provato, in tempi diversi, a gettare ponti verso l’altra sponda, ad Est.

Un atto, quello di abbattere le distanze e gli stereotipi, che guida anche la narrazione di Saracino. Del resto, il libro è dedicato «a tutti coloro che cercano un futuro migliore attraversando il mare».

Chi è Lorenzo Ferrazzano

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