Albania
Lo sbarco dei migranti albanesi a Bari nel 1991

90 A EST: L’Albania e la nave Vlora, simbolo della fine del comunismo

Una delle fotografie che meglio racconta l’Albania del primo scorcio degli anni ’90 non è stata scattata in Albania.

Ma in Italia, a Bari per la precisione, un braccio di mare più in là dalla costa albanese: da Durazzo fanno sette ore di navigazione, il tragitto più breve, un requisito non secondario quando quello che si sta per intraprendere non è esattamente un viaggio di piacere, né una crociera.

La foto è quella della nave Vlora, un mercantile battente bandiera albanese, un portarinfuse per la precisione, fatta per trasportare container e pallets. Solo che, al posto di merce, questa volta la nave è riempita all’inverosimile di persone: quelle che l’hanno presa d’assalto mentre, a Durazzo, sta sbarcando il suo carico di canna da zucchero, proveniente da Cuba. Sono ventimila in tutto, stipate in ogni dove, da prua a poppa e persino sulle gru di bordo. E’ l’8 agosto del 1991 e quello della Vlora è, ancora adesso, il più grande sbarco di migranti mai verificatosi in Italia su una sola imbarcazione.

Ma come si è arrivati a scattare quella fotografia e che cos’era successo? Era successo che il muro di Berlino era caduto anche a Tirana, un paio d’anni prima, tirandosi dietro, come negli altri paesi in orbita sovietica, gli ultimi brandelli del regime comunista. Quello albanese si era insediato nel 1944 con la cacciata delle truppe d’occupazione naziste e, da allora, era stato guidato da colui che sarebbe stato, per quarant’anni, il padre-padrone albanese, Enver Hoxha, segretario del Partito del Lavoro Albanese (PLA). Non è su di lui, però, che cadono le macerie del muro perché nel 1985, alla sua morte, a succedergli è il suo più fidato delfino, Ramiz Alia. Sebbene avesse introdotto qualche vaga apertura diplomatica verso occidente, Alia aveva comunque mantenuto l’Albania in uno stato di isolamento tale che, nel paese, non tutti seppero subito che il muro di Berlino non c’era più.

I primi scricchiolii del regime si avvertono nel gennaio del 1990 con le proteste che infiammarono Scutari, una delle città più popolose, nel nord dell’Albania: è qui che centinaia di persone si riversano in piazza per protestare contro la mancanza di cibo e nel tentativo di abbattere una statua di Stalin, un atto simbolico ripetuto decine di volte in più parti del mondo, quasi un must di ogni rivoluzione che si rispetti. Da Scutari, che comunque rimarrà uno dei centri nevralgici di tutti i moti di ribellione al potere di Alia, la protesta si allarga a macchia d’olio.

Alia è costretto a qualche timida concessione ma deve anche guardarsi le spalle dall’anima ultraconservatrice del partito, capeggiata dalla vedova di Hoxha: a maggio il Comitato Centrale del PLA accorda ai cittadini la possibilità di espatriare e di possedere un passaporto. Non basta: le proteste che comunque non si placano, unite alle fortissime pressioni internazionali (Stati Uniti su tutti) in richiesta del superamento del “modello hoxhista” facendo leva sulla disastrosa condizione economica del paese, inducono Alia ad ulteriori e ancor più significative aperture. A dicembre 1990 i partiti politici vengono legalizzati, e Sali Berisha, emanazione egli stesso del PLA, si impone come leader del neonato Partito Democratico (PD): è il gennaio del 1991 e quello che nei piani di Alia doveva essere un cavallo di troia messo a bella posta in campo “avverso” diventerà, al contrario, il protagonista assoluto degli anni a venire.

Sono addirittura indette libere elezioni per la fine di marzo, sono solo le terze nell’intera storia albanese, ma il paese ci arriva in un clima di fuggi fuggi generale e in uno stato di caos totale: moti di piazza, scioperi della fame (famoso quello degli studenti universitari di Tirana) e, ancora, statue che saltano come birilli; a farne le spese, questa volta, sono le effigi dello stesso Hoxha. La vittoria di misura del PLA serve ad Alia per diventare il primo presidente della Repubblica albanese ma non a dare un governo stabile alla nazione. Il PD decide addirittura di rimanere fuori dall’Assemblea Popolare, il governo di Fatos Nano dura meno di un mese, sostituito da quello di Ylli Bufi, membro del neonato Partito Socialista (PS), sorto dalle ceneri del defunto PLA.

Ad agosto si rinvigoriscono le tensioni mai veramente sopite che attraversano l’intera nazione in ragione di una situazione economica sempre più ingestibile e di un’inflazione al 270%. La disoccupazione è al 70%, la gente non ha futuro e, soprattutto, non ha di che mangiare: riprendono le “fughe”.

E così che si arriva ad agosto ed è così che il Vlora arriva in Italia. Di lì a poco in Albania inizierà una nuova era, quella del PD al governo (che stravincerà le elezioni anticipate dell’aprile del 1992), quella di Sali Berisha (che subentrerà ad Alia, dimissionario) e, soprattutto, quella del primo governo senza comunisti. Ma questa è un’altra storia ed è una storia tutt’altro che priva di colpi di scena e di spigoli.

Nell’Italia agostana di quei giorni si cercherà di gestire quella marea umana inaspettata, nell’assenza delle istituzioni di primo livello; non c’è traccia, ad esempio, del ministro degli interni e del capo della protezione civile, entrambi in vacanza. Diventa famosissimo, per questa ragione, il j’accuse di Don Tonino Bello che dalle colonne dell’Avvenire parlerà di “persone trattate come bestie allo zoo” e di un paese che “non sa ancora dare quelle accoglienze che hanno sapore di umanità”. Parole che, a distanza di trent’anni, suonano ancora terribilmente attuali.

Intanto sulle spiagge italiane in quei giorni impazza il Cocciante del melenso “Se stiamo insieme”, quasi beffardo pensando ad un popolo, quello albanese, che contemporaneamente aveva iniziato a sparpagliarsi per ogni dove e che, da allora, non avrebbe più smesso.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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