La visita nei Balcani del Ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, nei primi giorni di dicembre, continua a sollevare interrogativi. Il capo della diplomazia iraniana è stato ricevuto a Belgrado dal ministro degli esteri serbo, Ivica Dačić, nonché dalla premier Ana Brnabić e dal presidente Aleksandar Vucić. Il viaggio è poi proseguito verso la Bosnia Erzegovina con l’incontro a Sarajevo, con la ministra degli esteri Bisera Turković. Sia la Serbia sia la Bosnia Erzegovina hanno in seguito votato contro le risoluzioni ONU di condanna delle violazioni dei diritti umani da parte del regime di Teheran.
Serbia, una visita irrazionale?
La visita in Serbia si inserisce all’interno di una serie di incontri avvenuti nell’ultimo anno tra i leader di Belgrado e Teheran. In ottobre vi era già stata una visita del vice ministro degli affari esteri iraniano Ali Bagheri, cui bisogna aggiungere il colloquio lo scorso 22 settembre all’ONU tra il presidente serbo Vucič e il presidente iraniano Ebrahim Raisi. Come in passato, anche in occasione della visita di dicembre non vi era alcun accordo bilaterale da siglare, e tantomeno affari comuni in vista o ragioni di protocollo. Sorge spontaneo allora domandarsi il motivo per cui la Serbia abbia deciso di accettare la visita.
Secondo dichiarazioni ufficiali, il motivo sarebbe la gratitudine verso l’Iran per non aver mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Negli ultimi 14 anni, la Serbia si è sempre astenuta o rifiutata di votare a favore delle risoluzioni di condanna nei confronti delle violazioni dei diritti umani da parte di Teheran, o riguardanti il programma nucleare iraniano.
I vantaggi di una posizione simile per la Serbia, ad ogni modo, sembrerebbero essere inesistenti. Un rapporto simile non gioca a favore del processo di adesione all’UE, anzi contrasta totalmente con le politiche estere e di sicurezza europee, e di conseguenza complica i rapporti con i paesi membri. Anche sul piano economico le risposte scarseggiano: la cifra degli scambi commerciali tra Serbia e Iran ammonta a circa 50 milioni l’anno, numeri irrilevanti se confrontati con gli scambi tra Belgrado e i principali partner europei.
Per l’Iran, invece, la cooperazione è tutt’altro che infruttuosa. Oltre ad espandere la propria influenza nella regione, Tehran punta ad accrescere la cooperazione economica, in primis nell’agricoltura, nell’industria petrolifera, ma anche nel turismo e nelle telecomunicazioni.
Anche in campo diplomatico, poi, la sponda a Belgrado fa comodo all’Iran: il ministro degli esteri iraniano ha convocato proprio nella capitale serba un incontro tra tutti gli ambasciatori iraniani in Europa. In tal modo Teheran è riuscita ad aggirare sanzioni e restrizioni di viaggio imposte ai propri funzionari.
Il rapporto tra Iran e Bosnia Erzegovina
Nella vicina Bosnia Erzegovina il rapporto di amicizia con l’Iran ha altre radici: una comunanza religiosa e culturale, ma soprattutto il sostegno durante la guerra.
Il 25 gennaio saranno 30 anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra Iran e Bosnia Erzegovina come ha ricordato la ministra Turković, che ha anche sottolineato l’aiuto militare fornito da Teheran in tempo di guerra. Amir-Abdollahian ha messo l’accento sulle relazioni economiche: turismo, agricoltura e miniere. I due hanno inoltre discusso della rimozione delle sanzioni, e dello sviluppo regionale del medio oriente.
Come nel caso serbo, gli scambi commerciali tra i due paesi non hanno in realtà un gran peso, ma l’Iran considera la Bosnia Erzegovina come la sua porta d’accesso al continente europeo, e nei suoi confronti adottato una strategia di soft power. La repubblica islamica, inoltre, fornì durante la guerra negli anni ‘90 un forte aiuto militare e addestrò le truppe bosgnacche, trovando una vetrina perfetta per dimostrare ai paesi arabi di poter assumere il ruolo di guida del mondo musulmano.
Dal 1995 l’influenza iraniana diminuì, ma i rapporti rimasero seppur con qualche battuta d’arresto. Nel 2010 la Bosnia votò a favore delle sanzioni ONU contro Teheran, ma già dal 2016 ci furono incontri e visite al vertice. La scelta della Bosnia di ospitare il capo della diplomazia iraniana in un momento così delicato resta ingiustificata. Sul piano reputazionale un incontro simile non è utile al processo di adesione all’UE e alla NATO, che secondo le parole di Turković rimangono le priorità bosniache.
Il nemico albanese
Questi risultati raggiunti dalla diplomazia iraniana, risultano ancor più importanti se interpretati alla luce del rapporto ormai inesistente del regime con un altro attore regionale, l’Albania. Il primo ministro albanese, infatti, aveva annunciato lo scorso 7 settembre la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, in seguito a un cyber-attacco il 15 luglio, attribuito all’Iran.
Il rapporto tra Iran e Albania non era mai stato idilliaco, con una serie di ritorsioni ed espulsione reciproche di diplomatici iniziate nel 2016, quando l’Albania accettò, su richiesta ONU e degli USA, di ospitare sul proprio territorio i “Mujaheddin del popolo” (MEK) movimento studentesco di ispirazione marxista e sciita nato nel 1965. Tale movimento armato contribuì alla rivoluzione del 1979, ma entrò presto in conflitto con l’ayatollah Khomeini, dovento poi trovare rifugio in Iraq. A differenza dei suoi vicini, l’Albania (dal 2009 paese membro NATO) continua sulla via dell’integrazione europea.
Al contrario, il messaggio di Serbia e Bosnia Erzegovina rimane ambiguo. Una loro cooperazione più profonda con l’Iran in campo politico e commerciale non preoccupa, comunque, più di tanto. I due paesi sono circondati da paesi membri UE e NATO, e loro stessi sono in attesa di entrarvi, anche se con questa visita di un alto funzionario del regime iraniano dimostrano di non aver troppa fretta.
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