Negli ultimi tempi, la relazione speciale tra Belgrado e Mosca ha dato alcuni segni di cedimento. In riferimento all’ordine internazionale venutosi a creare negli ultimi mesi, la Russia ha dimostrato tutto l’interesse di coltivare buone relazioni con i partner abituali. Ciò non ha però precluso la presenza di scomodi inciampi che non hanno fatto altro che evidenziare una situazione di estrema fragilità. Recentemente è stato il caso della Serbia: dopo aver paragonato le province di Donetsk e Luhansk al Kosovo ed alla necessità delle province su suolo ucraino di combattere per la propria indipendenza e di ambire al loro diritto di autodeterminazione, le relazioni non potevano far altro che raggelarsi. Nonostante il gesto possa sembrare frutto di una banale svista, la realtà è che la sintonia tra il paese dei Balcani e la Madre Russia non è così reale come possa sembrare.
Il caso
Alla luce dell'”operazione speciale” messa in atto dal Cremlino nel territorio ucraino, gran parte della leva propagandistica è stata focalizzata sul binomio delle contiguità territoriale e della salvaguardia delle popolazioni russe oltre confine. Tale dialettica non si discosta di molto rispetto alla classica visione nazionalista serba che ha spesso ricoperto una posizione di grande rilevanza negli ambienti politici di Belgrado e non solo. Anche i partiti serbo-bosniaci della Republika Srpska in Bosnia Erzegovina hanno sottolineato da sempre l’importanza della protezione dei serbi e la necessità che questi siano integrati territorialmente ovunque essi di trovino.
Se sul piano politico le visioni di Russia e Serbia sono spesso state complementari l’una all’altra, anche l’aspetto meramente culturale non è stato da meno alimentando un senso di unità: la comune matrice culturale e religiosa sono infatti due degli aspetti fondamentali che ancora oggi accomunano le popolazioni di entrambi i paesi.
Tali valori sono però entrati in crisi: in occasione del recente incontro tra Vladimir Putin e il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, il presidente russo ha citato il caso del Kosovo per giustificare ed inneggiare la liberazione delle province separatiste di Donetsk e Luhansk. Repentine sono state le reazioni di Belgrado: il presidente serbo Aleksandar Vučić ha sottolineato l’enorme pressione che il governo serbo sta affrontando in questo momento a causa delle affermazioni dello stesso Putin. In un discorso alla nazione il presidente serbo ha affermato che la Russia, da sempre distintasi con lealtà per il suo supporto nel disconoscimento del Kosovo come Stato sovrano, questa volta ha agito diversamente per proteggere gli interessi del suo Paese. Ha voluto inoltre ricordare l’importanza della relazione commerciale tra i due Paesi (in particolare nel settore energetico) e che la Serbia non ha aderito ai pacchetti di sanzioni decise e portate avanti dall’Occidente.
Il seme della discordia
Ad oggi, infatti, la questione del Kosovo è ancora estremamente sensibile per il governo di Belgrado tanto da portare il governo serbo dall’astenersi nell’emanare una posizione ufficiale sull’attuale situazione in Ucraina. Dalla fine del conflitto nel ’99, e ancora di piu’ dalla dichiarazione di indipendenza del 2008, il Kosovo ha ormai assunto lo status di paese indipendente e sovrano. Nonostante cio’, la Serbia continua a considerarlo come parte del proprio territorio, ricevendo fino ad ora il supporto di Mosca, cruciale per il potere di veto che la Russia vanta nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Nel 2010, la Corte Internazionale di Giustizia ha definito la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo non in contrasto con la legge internazionale, dando di fatto luce verde a Pristina tra le proteste di Belgrado. La posizione della Corte è stata citata da Putin proprio nell’incontro con Guterres, spiazzando l’alleato serbo.
Difficili equilibri
Negli ultimi anni i rapporti tra i due Paesi hanno preso una piega diversa e ciò risiede principalmente nello sguardo della Serbia verso l’Occidente. Infatti, già dal 2008 la Serbia ha formalmente richiesto di entrare nell’Unione Europea e, ad oggi, sono stati affrontati molti dei temi di negoziazione per l’accesso. Oltre ad entrare nella rete economica e di scambio commerciale, la Serbia dovrà garantire il rispetto di tutti quei valori alla base dell’Unione stessa: la promozione della democrazia, il rispetto per i diritti umani e la risoluzione pacifica delle controversie. Nonostante la strada per la loro realizzazione sia ancora lunga, si può fin da subito notare un certo scostamento con quelle che sono le impronte politiche dell’impostazione politica russa.
Inoltre, una volta entrata nell’Unione Europea, sarà formalmente richiesto alla Serbia di aderire anche alle linee di politica estera europee, comportando quindi lo sviluppo di un certo grado di frizione con la Russia. Per il Cremlino, misure occidentali di contrasto non sono una novità. In risposta all’annessione della Crimea nel 2014 e al mancato rispetto degli Accordi di Minsk, l’Unione Europea ha infatti imposto progressivamente diversi tipi di sanzioni alla Russia: da misure restrittive individuali a vere e proprie limitazioni economiche; dalla restrizione dei media a misure diplomatiche.
In mezzo a questo gioco di influenze, quel che è certo è che la Serbia si trova in un difficile equilibrio. Per il momento sta garantendo la sua fiducia alla storica amicizia con la Russia, in particolare non partecipando ai flussi di sanzioni, ma senza rompere con Bruxelles. Ciò non deve far distogliere l’attenzione da altri attori più silenziosi come ad esempio la Cina che, proprio nelle ultime settimane, ha confermato che sei missili antiaerei di fabbricatura cinese sono stati consegnati con successo alle autorità serbe. Un ulteriore attore, dunque, nel difficile incastro di alleanze sviluppato da Belgrado.
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