Polonia e carbone. Una storia d’amore che dura da anni, ma sul cui futuro si agita più di uno spettro.
Sale a 11 il totale delle morti a seguito di due incidenti che hanno coinvolto le miniere della Slesia, nella seconda metà di aprile. La miniera di Zofiòwka e la miniera di Pniòwek, teatri dei due eventi, distano soltanto 6km tra loro e sono entrambe parte del gruppo Jastrzębska Spółka Węglowa (di cui maggiore azionista è lo stato stesso). JSW è il più grande produttore di carbone combustibile europeo e uno dei principali datori di lavoro in Polonia.
Le dinamiche dei due casi rimangono incerte, e il premier Morawiecki ha assicurato che verranno svolte delle indagini per stabilire se ciò che è avvenuto è soltanto “una tragica coincidenza” e non il risultato di qualche negligenza della compagnia. Stando alle prime versioni, si sarebbe trattato in un caso di una scossa di terremoto (Zofiòwka) cui sarebbe seguita una fuoriuscita di metano, nell’altro (Pniòwek) di un’esplosione di metano, che ha provocato molti feriti oltre a 5 morti.
Il premier Morawiecki non si è limitato ad assicurare un corretto svolgimento delle indagini, ma ha personalmente ringraziato i minatori per il loro “coraggio e spirito di sacrificio” e la loro propensione ad “aiutare sempre i loro amici senza esitazione, accomunati dallo spirito di fratellanza dei minatori”. Se queste parole possono passare inosservate nel contesto in cui sono state pronunciate (la visita di un primo ministro al luogo di una tragedia), tuttavia non può non stupire l’enfasi con cui viene esaltato il ruolo del minatore.
I minatori in Polonia
Lungi dall’essere un’occupazione come le altre, il lavoro di minatore ha sempre goduto di particolari privilegi in Polonia. Da una parte la forza del sindacato, che ha avuto grande importanza nella battaglia per l’indipendenza polacca dal blocco sovietico, e conserva ancora questo prestigio; dall’altra una serie di promesse elettorali volte ad ingraziarsi una grande fetta di papabili elettori, soprattutto nei voivodati di Slesia e Bassa Slesia. Durante le elezioni parlamentari del 2019, per esempio, ognuno dei principali partiti riservava una piccola parte del programma unicamente alla Slesia – di cui si proponeva, per esempio, l’esenzione delle compagnie locali dai requisiti in termini di politiche ambientali. Ancora, durante il lockdown, i minatori hanno ricevuto un trattamento di riguardo, arrivando a percepire l’intero stipendio anche dopo la chiusura dei siti di scavo (unica categoria di lavoratori ad aver ricevuto questo trattamento in Polonia).
Polonia e carbone
È immediato pensare che questi privilegi non nascano esclusivamente per una particolare simpatia governativa: la Polonia produce circa il 90% dell’antracite commerciata nell’Unione Europea, e la stragrande maggioranza degli impianti di riscaldamento polacchi (70%) è alimentato a carbone. Il paese fa inoltre affidamento al carbone per la produzione di gran parte della sua energia elettrica e produce il 16% della lignite europea. Infine, circa 90.000 dipendenti sono coinvolti nel settore.
Il consumo massiccio di carbone ha delle conseguenze. In primo luogo ambientali: dal prossimo ottobre, a Varsavia, sarà vietato bruciare combustibile fossile per riscaldare le abitazioni – ricalcando una misura adottata nel 2019 dall’amministrazione di Cracovia. Nelle aree limitrofe alla capitale, il divieto dovrebbe entrare in vigore nel 2028. La decisione sembra aprire uno spiraglio verso una maggiore attenzione nei riguardi delle politiche ambientali, in un paese che del carbone ha fatto il suo prodotto di punta. Nonostante il ministro per il clima e l’ambiente Anna Moskwa abbia detto di voler proibire la combustione del carbone entro il 2030, almeno nelle città, la EEA (European Environmental Agency) riporta che circa 47.000 persone muoiono ogni anno, in Polonia, a causa della pessima qualità dell’aria.
Il filo nero del carbone attraversa anche l’attualità e le ultime decisioni prese dal governo polacco in materia di approvvigionamento energetico. Come riportato da PGNiG, la compagnia statale che si occupa di gas e petrolio, il 26 aprile Gazprom, il colosso russo dell’energia, ha interrotto il flusso di gas del condotto Yamal, che riforniva la Polonia. La decisione è stata presa in seguito alla modifica unilaterale del contratto da parte russa e al rifiuto del governo di Varsavia di pagare in rubli. Il ministro Anna Mowska assicura che i depositi di gas siano pieni al 76% – uno dei dati più alti dell’A.G.S.I, l’Aggregate Gas Storage Inventory. Inoltre, un ulteriore diversificazione degli approvvigionamenti dovrebbe tenere in considerazione Qatar e Stati Uniti come nuovi fornitori.
La decisione giunge in concomitanza con l’iscrizione di alcune entità aziendali russe tra i soggetti sanzionati dal governo polacco. I problemi iniziali riscontarti da alcune municipalità in seguito alla scissione dei contratti sono stati risolti.
Le decisioni di Mosca e di Varsavia rientrano nel contesto più ampio di un inaridimento dei rapporti commerciali tra i due stati, soprattutto per quanto riguarda le materi prime. Il governo polacco ha fatto sapere che, per quanto “un embargo sul carbone fatto da un singolo stato potrebbe violare le norme dell’Unione”, ha intenzione di “porre fine alle importazioni entro la fine dell’anno”.
Le nuove decisioni in materia dovranno trovare un compromesso tra la necessità di politiche ambientali più radicali e la diversificazioni delle fonti energetiche.