Non so il lettore, ma quando ad aggredire l’Iraq o l’Afghanistan furono i soldati a stelle e strisce, io tutte queste funamboliche acrobazie sul filo della necessità di comprendere a fondo le ragioni storiche dell’aggressore e tutti questi prudenti appelli alla complessità dei motivi degli americani (e sì che ne avranno avuti anche loro, magari sbagliati, anzi, sicuramente sbagliatissimi, ma di certo ne avevano) non li ricordo proprio. Eppure a manifestare a Roma contro le bombe americane all’epoca c’ero anch’io. Chiedevamo insieme la pace ma ci s’incazzava pure, mi si passi il francesismo, contro l’imperialismo USA.
E ora vedo i miei co-manifestanti di allora mettere la colombella bianca invece della bandiera ucraina; leggo i loro soffici e generici appelli alla pace invece della legittima indignazione per un’aggressione non provocata e ingiustificata contro un paese imperfettissimo quanto vogliamo, eppure innocente. Li ascolto arrabattarsi con voli carpiati tra patetici distinguo e fantasiose argomentazioni che hanno l’unico fine di concludere che Putin, povera stella, a fare la guerra ce lo avremmo addirittura costretto noi occidentali! Tutto questo in ossequio a un antiamericanismo di maniera da radical chic di Capalbio incapace di ammettere apertamente di aver avuto per anni un occhio di riguardo verso un criminale solo perché era il nemico del loro nemico.
Ma l’imperialismo non è cattivo solo quando riguarda gli americani. L’imperialismo o è cattivo sempre, o non lo è mai. Tertium non datur. Anni fa in un’intervista Umberto Galimberti mi disse una frase che mi colpì molto: “il capitalismo non è buono solo perché il comunismo è cattivo”. E aveva assolutamente ragione. Prafrasando, allora, possiamo dire che Russia, e, già che ci siamo, anche Cina, non sono buone solo perché gli americani sono cattivi. Perché altrimenti significa essere tanto faziosi e ipocriti come quelli che, mutatis mutandis, approvano come santa ogni bomba marchiata Zio Sam e che nella Russia vedono solo e soltanto l’Evil Empire di Reagan.
Possiamo discutere quanto vogliamo sull’opportunità o meno di espandere la NATO verso l’Europa dell’Est, ma rimane il fatto che se ad essere i più convinti fautori della NATO sono proprio i paesi che hanno assaggiato il dominio sovietico, ci sarà pure un motivo, no? Nessuno è entrato nella NATO con la pistola puntata alla testa. Pressioni? Sì, certo, ma è così che funziona tutta la politica, e quella internazionale non fa eccezione. La politica è anzitutto la gestione del potere e dei rapporti di forza, il che ne fa un enorme e complicatissimo gioco di pressioni e contropressioni. Ma se nei paesi dell’Europa centro-orientale la NATO gode di un tale successo in termini di sostegno e adesioni, già compiute o solo agognate, per un ragguardevole totale di 30 membri, non sarà del tutto un caso, no? E a chi afferma che, finita la guerra fredda, la NATO si sarebbe dovuta allegramente sciogliere in un tripudio di coriandoli, abbracci e pacche sulle spalle, non si può che far notare che neanche la Russia si è denuclearizzata né tantomeno ha cessato di essere un pericolo nella percezione, oggi più viva che mai, dei suoi vicini. Se si vuole riconoscere alla Russia il diritto di sentirsi minacciata, non dovremmo forse riconoscere lo stesso diritto a chi oggettivamente dalla Russia è stato aggredito/invaso? Per non parlare di chi ne subisce da anni la guerra ibrida sotto forma di destabilizzazione del proprio fronte interno ad opera di pervasive e perniciose campagne di disinformazione?
E quale che siano stati gli errori commessi dalle strutture euroatlantiche, niente giustifica l’aggressione armata contro un paese pacifico che non aveva fatto niente a nessuno. A cosa serve, allora, tirare fuori adesso le pecche occidentali se non a sminuire, più o meno velatamente, le malefatte della Russia? Perché è così difficile riconoscere la legittimità delle aspirazioni ucraine a quelle libertà civiche e politiche che gran parte del mondo ci invidia? È comodo, protetti dallo scudo euroatlantico, avventurarsi in ragionamenti salottieri su cosa dovrebbero fare o non fare gli ucraini, quando, invece, sono loro i primi ad aver ben chiaro di voler difendere con le armi il proprio paese e la propria libertà. Perché è così difficile riconoscere che, con le innumerevoli carenze sociali, politiche ed economiche che ha, il sistema euroatlantico è stato ed è per i suoi membri garanzia di pace, prosperità e libertà cui legittimamente aspirano anche altri paesi, al punto da essere pronti a pagare col sangue la loro scelta filoccidentale?
E stupisce, se non sciocca, sentire affermare, proprio da quelle voci che, integerrime e inflessibili, da sempre difendono (giustamente) il lascito glorioso della guerra partigiana, che sarebbe sbagliato armare gli ucraini e che questi, anzi, si dovrebbero arrendere e trovare un accordo con Putin (come se fosse cosa facile). Allora, visto che siamo in tempi di cancel culture, perché non applicare la stessa logica alla resistenza italiana? In nome di questo assolutismo pacifista dovremmo quindi buttare alle ortiche il sacrificio dei nostri nonni che combatterono, armati, dalla parte giusta della storia; dovremmo buttar giù statue e staccare lapidi e condannare tutto l’aiuto militare che ricevettero dagli Alleati. Combattere contro i nazifascisti era giusto perché erano di destra mentre combattere contro Putin che, almeno a parole, si professa contro il capitalismo americano è sbagliato? Sarebbe questa la logica? Per non parlare, poi, dello spettro politico opposto dei sovranisti a tutti i costi (ma qui siamo al limite del patologico), quello dei “padroni a casa nostra” che, improvvisamente, a Zelenskyj consigliano invece di rinunciare alla sovranità consegnando le chiavi del suo paese a un padrone straniero, violento e sommamente ostile. Esattamente quello contro cui hanno sempre sbraitato individuando in Bruxelles un inesistente nemico per la sovranità nazionale dei popoli europei.
Sarò ingeneroso, ma in questo pacifismo oltranzista e da salotto che, anche di fronte a un’aggressione così lampante e crudele, si lancia subito alla ricerca di motivazioni colorite per relativizzare o quantomeno deviare parte della colpa dall’aggressore all’aggredito, non posso non vedere un comodo alibi per non sporcarsi mai le mani con scelte difficili (e quale scelta più difficile se non quella di combattere rischiando la propria vita?), per nulla dissimile da quello degli integralisti dell’astensionismo politico che, pur di non trovarsi ad appoggiare scelte impopolari, preferiscono rifugiarsi nel classico “nessun partito mi rappresenta”, che, di fatto, li esonera da ogni responsabilità. Tutto questo in nome di uno sterile e inerte idealismo platonico secondo il quale, se solo ci fosse la volontà, potremmo vivere tutti in un meraviglioso Eden di perenne pace, giustizia e prosperità. Ma la politica, per dirla con Bismark è anzitutto “l’arte del possibile”, l’impossibile e i miracoli sono appannaggio delle religioni. Rifiutarsi di fare scelte imperfette ma realistiche in nome di prospettive perfette ma irrealistiche significa nascondersi nell’immobilismo lasciando che siano altri (perché alla fine, anche di fronte ai dilemmi più shakespeariani, una scelta va comunque presa) a scegliere al posto nostro. Con il rischio che a prevalere sia un qualcuno ben peggiore dei nostri imperfettissimi eppure democratici governanti europei.
Ma soprattutto, forse, dietro questa riottosità ad ammettere pubblicamente chi sia davvero Putin potremmo ravvedere negli orfani lasciati dal crollo dell’ideologia comunista il dolore prodotto dall’ennesima delusione (chi si ricorda ancora della terza via di Blair & Co.?) e la frustrazione di ritrovarsi tra l’incudine e il martello: schiacciati da una parte dall’odiatissima America neoliberista e capitalista, e, dall’altra, dai suoi avversari, l’orso russo e il panda cinese, che in termini di pace, diritti e sviluppo umano non hanno alcunché da offrire.
Orfani ideologici che, come spesso capita, finiscono per odiare con tutte le forze quello stesso orfanotrofio che, pur nell’impossibilità di surrogare la famiglia mancante e fornire loro le cure amorevoli dei genitori perduti, li ha comunque tutelati e protetti salvandoli dai pericoli della strada. Farebbero quasi tenerezza, se solo non fossimo in tempi di guerra quando anche le informazioni diventano armi.
Immagine: meme dai social media