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La crisi ucraina alla prova di Macron, si torna agli accordi di Minsk?

L’attività diplomatica intorno alla crisi ucraina si è nei giorni scorsi fortemente intensificata, ed è ancora in corso. Il presidente francese Macron è volato lunedì a Mosca per incontrare Vladimir Putin, e martedì si è recato a Kiev dal Presidente ucraino Zelensky. Ha proseguito poi per Berlino dove, nel cosiddetto “formato di Weimar” ha incontrato il cancelliere tedesco Scholz e il presidente polacco Duda. Nel frattempo, lunedì il cancelliere Scholz è stato ospite a Washington dal presidente americano Biden. L’encomiabile attivismo degli occidentali, e in particolare degli europei, non sembra però avere sortito grandi effetti, e il gioco sembra ancora nelle mani dei presidenti di Stati Uniti e Russia.

L’azione potenzialmente più interessante è quella di Macron, anche come presidente di turno dell’Unione Europea. Egli sembra l’unico in grado di ammorbidire l’insofferenza di Vladimir Putin, la cui espressione, nella conferenza stampa di chiusura, è parsa irritata e insoddisfatta.

Macron ha affermato che è riuscito a strappare un accordo per la de-escalation, ma il giorno seguente il portavoce russo Peskov lo ha contraddetto, dicendo che non è possibile sia stato raggiunto alcun accordo, non essendo Macron il leader della Nato. Dunque la Russia conferma di pretendere dalla Nato garanzie vincolanti, e non da altri soggetti. Sembra però dimenticare che senza l’accordo di membri influenti della Nato come Francia e Germania, l’Ucraina non potrebbe mai entrare nella Nato, così come avvenne nel 2008. Macron poi, con Zelensky, ha auspicato un prossimo urgente incontro nel formato Normandia, con Francia, Germania, Russia e Ucraina, per tentare di giungere a un assetto soddisfacente per tutti.

Il problema saranno però i famigerati accordi di Minsk, estremamente favorevoli alla Russia, che probabilmente non accetterà nulla di meno di quanto l’Ucraina sia stata costretta a firmare allora obtorto collo. La concessione di uno status speciale a Donetsk e Lugansk, controllate militarmente da Mosca, e soprattutto lo svolgimento di elezioni sotto la punta dei kalashnikov russi, prima di evacuarli e ripristinare la legalità e la frontiera ucraine, appaiono condizioni  quasi fantascientifiche. Per accontentare Mosca, l’occidente porrà pressioni molto elevate su Zelensky perché accetti queste condizioni capestro, sempre migliori di un’invasione, ma il presidente ucraino rischierebbe in tal caso una sollevazione popolare, e anche militare, da parte di un popolo che da anni si difende col sangue, da un’aggressione costata ben più dei quattordicimila morti ufficiali.

E’ chiaro poi che l’applicazione di Minsk sarebbe la via per scardinare lo stato ucraino, attraverso una federalizzazione di cui le repubbliche del Donbass sarebbero il cavallo di Troia. L’obiettivo di Mosca è un regime change a Kiev, l’ottenimento di un governo amico e disponibile ai suoi desiderata: ed è quello che cercherà presto di ottenere, con tutti i mezzi disponibili, nessuno escluso. E’ molto pittoresco e diplomatico discutere degli assetti della sicurezza in Europa e di altri nobili propositi: l’obiettivo del Cremlino è di riprendersi l’Ucraina, e a quanto pare nel più breve tempo possibile. Il resto sono amenità diplomatiche senza alcuna sostanza.

Le sanzioni occidentali sembrano non spaventare affatto Putin, ancor più osservando le gesta titaniche del cancelliere Scholz, che a Washington non ha avuto nemmeno il coraggio di nominare il gasdotto Nord Stream 2, mentre il Presidente Biden ha garantito sulla sua parola che in caso di invasione dell’Ucraina il gasdotto non entrerà mai in funzione.

Nel frattempo è in navigazione nel Mediterraneo una potente flotta russa: sei navi da sbarco dirette già al mar Nero, seguite a distanza da due incrociatori, due caccia, tre corvette e tre sottomarini dotati di missili ipersonici. In Crimea dovrebbero attenderle altre otto navi da sbarco, il cui possibile utilizzo è intuibile. L’accesso al mar Nero è regolato dalla convenzione di Montreux e controllato dalla Turchia, ma, salvo il preavviso di otto giorni, non si vedono al momento ragioni per eventuali rallentamenti o divieti di transito per la flotta russa. E’ evidente che, nel momento in cui la flotta si troverà nel mar Nero in prossimità delle coste ucraine, le potenti leve diplomatiche in atto potrebbero convertirsi in aperto ultimatum.

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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