legge marziale Polonia

POLONIA: Quarant’anni fa Jaruzelski proclamava la legge marziale

Era il 13 dicembre 1981 quando Jaruzelski proclamò la legge marziale in Polonia. La sua memoria resta controversa, eroe o traditore?

Il discorso in televisione

Quarant’anni fa, il 13 dicembre 1981, il capo dell’esercito e primo ministro della Repubblica Popolare Polacca, Wojciech Jaruzelski, con queste parole proclamava lo stato di emergenza:

“Cittadini e cittadine! Mi rivolgo a voi come soldato e come capo del governo polacco. Mi rivolgo a voi per una questione della massima importanza. La nostra patria è sull’orlo del baratro; in questa situazione, l’inazione sarebbe un crimine contro la nazione […]  Dichiaro che oggi è stato costituito il Consiglio Militare di Salvezza Nazionale. Il Consiglio di Stato, conformemente alle disposizioni della Costituzione, ha imposto la legge marziale

Nel discorso alla televisione, impresso nella mente di ogni polacco che lo visse da vicino, il generale non portava i suoi caratteristici occhiali scuri, che gli davano l’aspetto di un dittatore latino-americano e che pare fossero frutto di un danno alla vista riportato in gioventù, durante gli anni trascorsi in Siberia ai lavori forzati.

Le conseguenze

Dopo quel discorso scattò un’ondata di arresti in tutto il paese: centinaia di attivisti, consiglieri sindacali, intellettuali considerati vicini all’opposizione, ma anche alcuni membri riformisti dello stesso Partito Comunista. Le linee telefoniche furono tagliate e le frontiere sigillate. Fu introdotto il coprifuoco e l’esercito occupò le strade e i centri delle città. Nel tentativo di conquistare alla propria causa l’orgoglio patriottico della popolazione, sui palazzi pubblici vennero issate le bandiere polacche vicino a quelle rosse.

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Un regime delegittimato

La proclamazione della legge marziale fu la conseguenza di un periodo tumultuoso, iniziato con uno sciopero nel cantiere navale di Danzica e culminato nel riconoscimento del primo sindacato libero Solidarność, che era arrivato a contare dieci milioni di membri (ovvero un terzo della forza lavoro complessiva). I lavoratori, che si erano rivoltati contro chi, in teoria, li rappresentava, avevano così tolto ogni residua legittimazione al Partito Comunista al governo, ormai dilaniato da conflitti interni e messo sotto pressione dal Cremlino, che mal tollerava il “carnevale delle libertà” che si era dispiegato davanti agli occhi del mondo.

La situazione economica era inoltre disastrosa. Al piccolo miracolo economico di Edward Gierek negli anni ‘70 (reso possibile da ingenti prestiti della Repubblica Federale Tedesca) erano seguiti enormi crolli di produzione, aumenti dei prezzi e razionamento alimentare, nonché la reale minaccia di insolvenza. Così l’introduzione della legge marziale, poi revocata nel 1983 (l’amnistia per i prigionieri politici arrivò nel 1986), rappresentava l’ultimo colpo di coda di un regime ormai delegittimato, un tentativo disperato di ristabilire l’ordine e salvare il paese dalla bancarotta.

La tesi della minaccia sovietica

Jaruzelski stesso ha asserito fino alla sua morte, nel 2014, di aver agito per il “male minore”, optando per una pacificazione dall’interno della nazione, e di avere così evitato un intervento sovietico come quello avvenuto a Praga nel 1968. La tesi della minaccia sovietica, che Jaruzelski ha riaffermato numerose volte duranti i processi in cui fu imputato (e assolto), è tuttora dibattuta tra gli storici. Certo è che il generale, soprannominato in alcuni ambienti del dissenso “il Pinochet di sinistra”, preferì invece considerarsi il “Gorbaciov polacco”. Fu lui, nel 1988, ad aprire ai negoziati con l’opposizione, mettendo in moto il processo di transizione democratica che portò, un anno dopo, alle prime elezioni semi-libere dell’intero blocco dell’est. Nel 1990 Jaruzelski rinunciò alla carica di presidente, cedendo il posto a quello stesso Lech Wałęsa che poco meno di un decennio prima aveva fatto incarcerare.

Jaruzelski oggi

Nella Polonia odierna, polarizzata ideologicamente, anche la storia e la memoria sono campo di battaglia politica, e pochi argomenti sono tanto divisivi quanto la legge marziale del 1981. Nell’opinione pubblica Jaruzelski ha molti difensori, anche tra importanti attori di Solidarność e dell’opposizione democratica di allora. Per alcuni era un dittatore, per altri ha permesso la trasformazione del paese in modo pacifico. Negli anni ‘90, l’elaborazione della storia recente optava per il paradigma della “linea rossa” da tirare sotto al capitolo comunista, per iniziarne uno nuovo.

Per la destra nazionalista, invece, la politica del compromesso e della democratizzazione graduale ha rappresentato un tradimento, e le istituzioni democratiche vengono sospettate di essere tuttora infiltrate dai vecchi ranghi del partito. Emblematiche in tal senso le parole pronunciate dal Presidente polacco Andrzej Duda, vicino al partito PIS, nell’anniversario della proclamazione della legge marziale: “I bui anni ’80 hanno schiacciato il movimento di Solidarność e hanno spezzato i sogni di libertà per otto lunghi anni; o, come molti diranno, anche per molto più tempo, perché ancora oggi stiamo lottando contro ogni sorta di influenza comunista.

Nella lotta per conquistare il monopolio della memoria collettiva della nazione, il processo a Jaruzelski non si è ancora concluso.

Chi è Eugenia Scanferla

Ha studiato Scienze Politiche all'Università di Bologna e Storia dell'Europa Orientale all'Università di Bielefeld (Germania). Si occupa di storia del dissenso, ecologia e movimenti ambientalisti in Est Europa, politiche e culture della memoria nello spazio post-sovietico. Attualmente vive a Berlino.

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