Luglio 1991: l’estate si apre su di una Jugoslavia che ormai si va smembrando. Se giugno era stato il turno della Slovenia, adesso la guerra si va accendendo in Croazia. Nonostante l’invitante color turchese del mare dalmata, i turisti sono stati sostituiti da tank, soldati, paramilitari, snajperisti.
Ormai il vento del nazionalismo e del revanchismo soffia impetuoso soprattutto nelle regioni della Krajina e della Slavonia, abitate per antichi motivi storici per lo più da serbi che ormai guardano con fede a Milošević e a Belgrado. Era un vento che certo non credeva all’idea dello scrittore Predrag Matvejević che i popoli balcanici avessero “molte più cose per stare insieme che per dividersi” (lo stesso Matvejević arriverà pubblicamente a invitare i leader nazionalisti a suicidarsi), e le cose andarono come andarono.
Tuttavia vi fu anche chi, in quei mesi ebbri di violenze, odi, divisioni, rancori, tentò coraggiosamente di tenere la barra sull’equilibrio, sulla ragione, sul dialogo. Va ricordato Josip Reihl-Kir, da poco giovane capo della polizia di Osijek, città non lontana da Vukovar e dal confine con la Serbia. Quando le barricate venivano innalzate dai nazionalisti, Reihl-Kir si avvicinava ai posti di blocco con la camicia tirata su per mostrare che non aveva armi addosso e per avviare instancabilmente negoziati. Reihl-Kir si era offerto di mantenere le forze paramilitari croate fuori dalle aree abitate da serbi chiedendo in cambio a questi ultimi di rimuovere le barricate. E i serbi si fidavano di Reihl-Kir, pur essendo quest’ultimo un poliziotto croato.
In realtà l’attivismo pacifista di Josip Reihl-Kir non interessava chi lo scontro lo voleva a tutti i costi e, in particolare, non era gradito nemmeno al partito ormai al potere in Croazia in quel momento, l’HDZ.
I croati apparivano divisi: da una parte personaggi estremisti come i famigerati Gojko Šušak (ministro della difesa di Tuđman) e Branimir Glavaš (tra i fondatori dell’HDZ), dall’altro i moderati come il sindaco di Osjiek, il direttore del quotidiano Glas Slavonije e lo stesso Reihl-Kir. Quest’ultimo allora aveva ormai capito che la sua vita era in pericolo e chiese – ottennendolo – di essere trasferito a Zagabria. Il primo luglio, tuttavia, il giorno prima del suo trasferimento, Ante Gudelj, attivista croato del duo nazionalista Šušak-Glavaš, scarica su Reihl-Kir, sull’attendente e su due serbi che viaggiano insieme di ritorno da un ennesimo negoziato 28 colpi di fucile automatico, uccidendoli sul colpo.
Con Reihl-Kir muore anche la traballante pace e infatti sei giorni dopo sarà guerra vera; per dirla con le parole del poeta Miroslav Krleža, vinse allora “Il dio Marte croato”. Ci vorrà la forza d’animo e la voglia di giustizia della vedova del poliziotto, Jadranka, e tre processi perché nel 2008 il latitante Gudelj venga finalmente condannato a vent’anni di carcere.
Nel 2011 alla memoria di Josip Reihl-Kir viene dato a Sarajevo il premio “Duško Kondor” per il coraggio civile e a lui è dedicato, a Osjiek, un murale fatto da un noto artista croato. E’ intitolato “Rhythm of the Saints / Se ho debolezze, non lasciare che mi accechino”, come la canzone di Paul Simon, il cui disco è stato l’ultimo acquistato da Reihl-Kir prima di morire a 35 anni.