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Eurovision 2021: Tra trash, folk e geopolitica

di Simona Cannalire

Dopo un 2020 di parziale stallo a causa della pandemia, finalmente riprende l’evento musicale più amato d’Europa (e Australia) così come lo conosciamo dal 1956. Nonostante l’organizzazione improvvisata della scorsa edizione, con una scenografia scarna e una partecipazione impossibilitata dalla situazione epidemiologica senza precedenti, Eurovision: Europe Shine a Light ha raccolto un totale di circa 73 milioni di spettatori globali. Un risultato che potrebbe sembrare deludente rispetto ai 600 milioni di spettatori del 2017, ma che considerando la situazione d’emergenza rimane di tutto rispetto, avendo comunque totalizzato milioni di interazioni sui social network. L’edizione che presto potremo gustare, Eurovision: Open Up, che si tiene a Rotterdam nelle serate del 18, 20 e 22 maggio, si prospetta interessante sotto diversi punti di vista.

Ma perché piace così tanto?

Questa domanda potrebbe sorgere spontanea guardando anche solo qualche minuto di una qualsiasi edizione dello show. A colpo d’occhio sembrerebbe che l’eurotrash e il kitsch più selvaggio la facciano da padrone. In effetti, nel corso degli anni l’Eurovision Song Contest ci ha regalato esibizioni indimenticabili come quella di Vjerka Serdjučka (alias dell’artista ucraino Danylko) nel 2007, che definire “sopra le righe” sarebbe un eufemismo.

Tuttavia, questo show non è tutto glitter e niente arrosto. L’Eurovision è infatti nato con l’intento di unire i popoli europei, permettendo anche agli stati più piccoli e meno noti di portare un pezzo della loro cultura su uno dei palchi più influenti d’Europa. In questo senso, si può dire che per i neonati stati indipendenti dell’Europa orientale, il permesso di partecipare all’Eurovision all’inizio del nuovo secolo ha contribuito – o perlomeno provato – a fornire delle basi per la creazione di un’identità Europea comune.

Diritti umani all’Eurovision 2021

Nonostante il regolamento affermi chiaramente che non c’è spazio per la politica sul palco dell’Eurovision Song Contest, ogni anno non mancano polemiche di vario tipo sull’argomento. Infatti, se da un lato è quasi passata in sordina la scelta dell’Armenia di non partecipare all’edizione 2021 della competizione data la difficile situazione in Nagorno-Karabakh, dall’altro ha ricevuto particolare attenzione la squalifica della Bielorussia. L’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), infatti, ha rifiutato sia la prima che la seconda proposta musicale della nazione in quanto sono entrambe risultate contro “le regole che assicurano che il festival non sia strumentalizzato”. Ed effettivamente, analizzando il testo del secondo brano rifiutato, Ja nauchu tebja (Ti insegno io) del gruppo Galasy ZMesta, non passano inosservate le poco velate minacce ai manifestanti anti-Lukashenko, in particolare il ritornello, le cui strofe lasciano ben poco spazio all’interpretazione:

Ja nauchu tebja pljasat’ pod dudochku

Ja nauchu tebja klevat’ na udochku

Ja nauchu tebja khodit’ po strudochke

Ty budesh’ vsem dovolen, rad vsemu

Ti insegno io a ballare a tempo

Ti insegno io ad abboccare all’amo

Ti insegno io a rigare dritto

Sarai contento e soddisfatto di tutto

Come è noto, ormai dall’agosto del 2020 la Bielorussia è animata dalle proteste contro il regime di Lukashenko, e questo tentativo di sfruttare persino un programma come l’Eurovision con fini propagandistici appare quasi scontato. Inoltre, non è la prima volta che il regime di Lukashenko causa disguidi all’interno del contest, in quanto gli artisti selezionati per l’edizione 2020 – il duo VAL, che con la loro canzone Da Vidna (Fino all’alba) avrebbero portato per la prima volta un testo interamente in lingua bielorussa – sono stati esclusi dall’edizione 2021 dopo aver criticato pubblicamente Lukashenko. I Galasy ZMesta, band fieramente sostenitrice del presidente bielorusso – nonché nostalgici dell’epoca sovietica – sono stati prontamente chiamati a sostituirli, ma questa volta l’EBU non ha potuto tollerare il supporto del gruppo alle violazioni dei diritti umani perpetrate giornalmente nel paese.

Ucraina e Russia: elettrofolk e femminismo

Nonostante le deludenti notizie dal fronte bielorusso, l’Ucraina ha colto l’occasione per portare la propria tradizione sul palco, in chiave decisamente moderna. La band Go_A, già scelta lo scorso anno per la sfortunata edizione 2020, si esibirà con il brano SHUM, un pezzo di folklore locale rimodernato in chiave techno, in perfetto stile Eurovision. Basato sulla canzone tradizionale ucraina A v Nashoho Shuma (E nel nostro rumore), il brano è incentrato sulla celebrazione della vesniaka, un rituale folcloristico dedicato alla primavera. È inoltre cantata interamente in lingua ucraina, una scelta oltremodo coraggiosa, considerata la recente tendenza eurovisiva di cantare in inglese per promuovere una comprensione più ampia della canzone, a discapito della lingua madre degli artisti.

D’altro canto, la Russia quest’anno ha tentato il tutto per tutto con la cantante Manizha, che con il suo pezzo Russian Woman (metà in russo e metà in inglese) dice la sua sul tema scottante dell’empowerment femminile, esortando le giovani donne russe a cercare la loro indipendenza malgrado gli stereotipi sessisti che le vorrebbero mogli e madri entro i 30 anni. Un tema sicuramente apprezzato su un palco inclusivo come quello dell’Eurovision, ma che ha naturalmente reso la cantante bersaglio delle critiche lanciate dalla parte più reazionaria e nazionalista del suo paese.

Manizha, infatti, non solo non è considerata una “vera russa” in quanto di origine tagika, e perciò indegna di rappresentare il paese su un palco internazionale, ma anche una criminale che promuove valori anti-russi e propaganda gender. Infatti, entità come il sito Veteranskie Seti, l’Unione russa delle donne ortodosse, nonché – neanche a dirlo – la stessa Duma, hanno accusato il testo di essere “troppo femminista” e di minacciare la famiglia tradizionale. Nonostante queste accuse, che hanno portato a un’investigazione poi chiusa a favore della cantante, il successo di Manizha in patria parla da sé. Se questa scelta audace si rivelerà vincente, lo scopriremo la sera della finale, sabato 22 maggio.

Foto: eurofestivalitalia.net

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