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KIRGHIZISTAN: “Proteggiamo i valori, non le donne”

di Chiara Minora

La violenza domestica è largamente diffusa in Kirghizistan ed è peculiare il gap che c’è tra la legislazione e le politiche adottate a riguardo e la risposta della società civile alla preoccupante situazione. 

La quarantena e il lockdown dovuti alla pandemia in corso hanno portato ad un aumento dei casi di violenza domestica del 62%. Secondo quanto riportato dal National Council for Women and Gender Development nelle parole della vice-premier Aida Ismailova, nel primo trimestre del 2020 i casi di violenza domestica denunciati sono aumentati del 65%. Solo nel 2019 sono stati registrati 6.145 casi di violenza domestica e, secondo le commissione nazionale di statistica, nel 92% dei casi l’aggressore è il compagno o il marito. Inoltre, in un rapporto ONU dal 2016, si evince che in Kirghizistan il 23% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito violenza domestica.  

Tuttavia, i dati sulla violenza sono scarsi e talvolta contraddittori; i numeri variano a seconda del ministero che li pubblica. In aggiunta a ciò, c’è il fatto che i casi di violenza domestica sono scarsamente registrati; la causa va ricercata nel fatto che i vari organi statali usano criteri diversi per la classificazione e la raccolta dei dati sugli episodi di violenza nel paese, risultando in statistiche contrastanti tra loro.

Inoltre, anche il numero di denunce non rispecchia il numero effettivo dei casi di violenza. Infatti, come affermato in una ricerca condotta da Human Rights Watch tra il 2015 e il 2019, la scarsa risposta da parte degli organi di polizia e giudiziari, l’infrequenza con cui le violazioni sono punite, la mancanza di servizi come centri antiviolenza e shelter per le vittime di violenza, nonché la pressione sociale da parte della famiglia ostacolano le donne a denunciare i propri aggressori. 

Solo lo scorso anno l’ex primo ministro Mukhammedkalyi Abylgaziev aveva preso pubblicamente una posizione netta contro la violenza sulle donne, auspicando leggi e pene più severe. Allo stesso tempo tuttavia, il ministro delle Finanze aveva rifiutato di allocare fondi per i centri antiviolenza. Il risultato è che le donne che si allontanano da una situazione di violenza domestica non hanno nessun posto in cui andare; in tutto il paese, non esiste un centro antiviolenza statale. Su un totale di 14 rifugi gestiti da ong, solo due (Sezim a Bishkek e Ak Zhurok a Osh) riescono ad ospitare vittime di violenza domestica.

Le leggi contro la violenza sulle donne: tanta teoria, poca pratica

Tra i paesi post sovietici, solo Estonia e Georgia hanno ratificato la Convenzione di Istanbul relativa alla prevenzione e alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e domestica. Nonostante la legislazione vigente in Kirghizistan, tra cui il nuovo codice di procedura penale adottato nel 2020, preveda maggiore protezione per le vittime di violenza domestica, l’applicazione di tali misure rimane limitata e inefficace, così come anche il tasso di condanne. 

Nel 2019 era già stato introdotto dal governo il Codice dei Reati Minori che include la criminalizzazione della violenza domestica, ma elimina l’arresto amministrativo, introducendo invece multe o lavoro sociale (tra 400 e 800 euro, oppure 60 ore di servizi sociali)Inoltre la sanzione penale viene stabilita in base alla gravità dei danni causati alla salute della donna. Di conseguenza, ciò richiede un esame forense per stabilire l’entità delle lesioni e quindi una prova che la violenza sia avvenuta, mettendo in discussione la denuncia della donna. Inoltre, proprio le autorità giudiziarie fanno pressione sulle donne che denunciano, invitandole a far cadere le accuse e ad assolvere i carnefici. 

Questo approccio, insieme all’inefficacia delle pene e la mancanza di protezione, fa sì che poche denunce arrivano in tribunale, solo il 14% secondo il ministero dell’Interno kirghizo. Come nota Human Rights Watch, importanti gap legislativi e la scarsa ed inefficace applicazione di queste leggi da parte delle autorità, al contrario mette a rischio le donne stesse, precludendo loro un percorso di fuoriuscita dalla violenza. 

Il braccio di ferro tra le istituzioni e i movimenti femministi 

Le istituzioni dovrebbero procedere attuando tre provvedimenti essenziali: primo, adottare importanti misure per la protezione delle vittime di violenza aumentando il numero dei rifugi, di centri antiviolenza, servizi medici, supporto psicologico e socio-economico. Secondo, espandere la definizione di ‘famiglia’ nella legge sulla violenza familiare, andando ad includere anche i partner non sposati, gli ex e i familiari del partner. Terzo, istituire un organo responsabile della prevenzione e protezione dalla violenza domestica, incaricato anche di coordinare i programmi e di raccogliere dati affidabili. 

Tuttavia, la direzione presa dalle attuali istituzioni kirghize, soprattutto in vista della nuova costituzione che si propone di proteggere controversi valori tradizionali, si discosta molto dall’adozione di queste misure. Di conseguenza, è la società civile e, in particolare, i movimenti femministi kirghizi a denunciare la continua violenza di genere, ad incominciare dallo slogan, “i valori protetti ma non le donne”. 

L’8 marzo 2020, infatti, in occasione della giornata internazionale delle donne, una coalizione di gruppi attivisti kirghizi era scesa in piazza per richiamare l’attenzione sulla violenza di genere nel paese. Tuttavia, i manifestanti hanno subito attacchi dalla folla e la polizia, invece di proteggere i partecipanti alla marcia, ha arrestato 70 attivisti, la maggior parte donne. Già dalle settimane precedenti le autorità governative avevano cercato di far sospendere la manifestazione, violando in modo ingiustificato il diritto di associazione e la libertà di organizzare assemblee pacifiche. 

Questo episodio sottolinea due aspetti: da un lato, le difficoltà e i rischi corsi da attivisti e gruppi femministi nel mettere in luce e costruire progetti contro la violenza sulle donne; dall’altro, l’opposizione delle istituzioni e delle autorità kirghize e il rifiuto alla collaborazione nel creare una rete di supporto e sensibilizzazione.  

Proprio per la fondamentale importanza che il femminismo gioca nel processo di democratizzazione, è necessario che questo “braccio di ferro” tra le autorità governative e i movimenti femministi cessi. Solo in questo modo, si riuscirà a combattere l’ineguaglianza e le discriminazioni strutturali, iniziando proprio a contrastare la violenza (fisica, sessuale psicologica e domestica) di genere.  

Immagine: Ilmars Zvirgzds/Pixabay 

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