Nelle ultime settimane le diplomazie occidentali si sono interrogate sull’imponente dislocamento di truppe operato dalla Russia lungo i propri confini con l’Ucraina. Truppe russe sono state movimentate anche in territorio bielorusso in prossimità del confine ucraino e, soprattutto, circa quarantamila soldati sono stati schierati in prossimità dell’Ucraina continentale sul territorio della penisola di Crimea, illegalmente occupata manu militari nel 2014.
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Ci si interroga sul significato di questa evidente minaccia, posto che negli ultimi anni la tattica del Cremlino è sempre stata quella di anticipare le possibili mosse dei propri avversari. Allo stato delle cose, considerando anche l’incremento del volume di fuoco imposto alle repubbliche separatiste del Donbas nei confronti della madrepatria, e l’uso di toni pesantemente propagandistici rivolti all’opinione pubblica russa, in grado di preparare i cittadini ad un possibile conflitto armato con il paese fratello, si possono individuare due ragioni diverse per questa escalation militare.
Innanzitutto inviare un chiaro messaggio all’amministrazione Biden, che guarda con favore ad un rafforzamento dell’Ucraina: il Cremlino teme che gli Stati Uniti possano inviare nuove armi in grado di consentire al paese una maggiore efficacia militare, sia nel Donbas sia in un possibile scontro a tutto campo. Inoltre, come già scrivevamo in anni passati, la Russia non è disposta a tollerare in alcun modo un ingresso dell’Ucraina nella NATO: per evitare una eventualità simile la Russia è pronta senza alcuna esitazione alla guerra, ad attaccare e smembrare l’Ucraina, considerandola parte integrante della propria sfera d’influenza. A Mosca le regole di Yalta vigono tuttora, senza eccezioni. Ignorare questa determinazione sarebbe pericolosissimo.
La presa della Crimea e la proxy war nel Donbas dal 2014, costata all’Ucraina quasi ventimila morti effettivi, sono stati solo l’inizio. Qualunque tentativo di ripristinare la legalità nel Donbas si è arenato di fronte alle condizioni capestro imposte a Minsk a un’Ucraina ben poco sostenuta dall’Occidente. Mosca non intende discutere, bensì imporre la propria volontà, e continuare a farlo rendendo la condizione dell’Ucraina ancora più dolorosa. La stessa esistenza dell’Ucraina come stato è stata posta in discussione in modo esplicito in tempi non lontani.
Ora, la seconda ragione per questa escalation militare può essere, attraverso manovre diversive e minacce di invasione generale, la presa del vero obiettivo strategico della Russia: il Canale settentrionale della Crimea, che dal Dniepr e dalla provincia ucraina di Cherson portava preziosissima acqua alla penisola e che è stato interrotto dopo l’occupazione. Senza l’acqua di quel canale, che traversa tutta la Crimea fino a Kerč, l’approvvigionamento idrico della penisola è precipitato, e la maggioranza delle colture ha dovuto essere sospeso.
La situazione è estremamente critica, e per la Russia quell’acqua ha più valore dell’oro. L’obiettivo strategicamente giustifica una guerra-lampo limitata che permetta di impadronirsi della provincia di Cherson sino al Dniepr. L’operazione potrebbe avvenire con il metodo Crimea 2014, ovvero occupazione di un territorio limitato quasi senza trovare resistenza, minacciando in caso contrario un’invasione generale.
L’opzione è altamente probabile, considerando i toni da allarme terroristico sollevati in Russia da uomini del peso del portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, e del Segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, Nikolaj Patrušev, che affermano di paventare attacchi militari ucraini verso la Crimea e possibili attentati terroristici nella stessa Russia. La medesima tecnica informativa fu utilizzata prima dell’ultima guerra cecena e se ne ricordano le tragiche conseguenze.
La realtà è che dalla Crimea potrebbe partire il vero attacco letale per impadronirsi del Canale settentrionale. In caso di facile successo, le truppe potrebbero poi avanzare lungo la costa del mar d’Azov sino a ricongiungersi con le province del Donbas e la confinante Russia, escludendo così ogni sbocco dell’Ucraina sul mar d’Azov. Le province del Donbas, dove i separatisti alzano il tiro, sono un falso obiettivo: ormai spogliate di tutto rappresentano solo una scatola vuota popolata di mercenari, un debito imbarazzante per chiunque, compreso chi se ne è impadronito.
Immagine: Euromaidanpress