"Lo sai che ci sono i coreani in Uzbekistan?"

La mia ragazza torna a casa e mi dice: “Lo sai che ci sono i coreani in Uzbekistan?“. La guardo e penso che abbia bevuto, generalmente confonde la Slovacchia e la Slovenia, Samarcanda con Trebisonda, e i paesi in -stan sono per lei tutti uguali. Quindi “i coreani in Uzbekistan” mi lasciano sconcertato. “Eh?” le faccio. “Sì li hanno mandati i russi, quando c’era Stalin in Corea del Nord”. Tiro un sospiro di sollievo: “Stalin in Corea del Nord” mi tranquillizza visto che la nascita della Corea del Nord è stata ratificata nel 1948. Così faccio qualche ricerca che qui condivido con voi.Il Novecento, che tanti grami appellativi ha meritato, è stato anche il secolo delle deportazioni e la Russia sovietica è stata maestra in materia. La storia dei coreani in Uzbekistan è già tutta qui ma credo meriti d’esser raccontata – per quel poco che ne apprendo ora – per quel valore che la cultura europea dà alla memoria. Avere una memoria è avere la necessità di un futuro, un futuro da riscattare. Quindi vengo al dunque.

Negli anni sessanta e settanta dell’Ottocento delle gravi carestie colpirono la Corea, all’epoca guidata dalla dinastia locale dei Joseon che guidavano il Paese da sei secoli destreggiandosi dalle influenze dei potenti vicini, di volta in volta manciù, cinesi, giapponesi, russi. Una sempre più vasta migrazione di coreani investì le province marittime dell’estremo oriente russo le cui fila s’ingrossarono con l’annessione della Corea da parte del Giappone nel 1910. La dominazione nipponica fu molto dura e lo sfruttamento massiccio dell’economia locale impoverì la popolazione che nuovamente emigrò verso la Russia. Quando poi nel 1919 la rivolta anti-giapponese fallì, e i dominatori si fecero ancora più feroci, in molti fuggirono verso la Russia, nel frattempo sovietica.

Fino agli anni Trenta i coreani beneficiarono di una politica di relativa libertà culturale promossa dal regime sovietico: nell’estremo oriente russo i coreani potevano studiare in scuole in cui si parlava coreano e nei distretti abitati da popolazione coreana erano stampati giornali e riviste in coreano. Lo stalinismo mostrò il suo volto più duro con l’inasprirsi della guerra: nel 1937 il Giappone invase la Manciuria minacciando i confini sovietici, intanto la Pravda prese ad accusare i coreani presenti sul territorio sovietico di essere spie nipponiche.

Il 21 agosto del 1937 Stalin e Molotov firmarono una risoluzione che ordinava che tutti coreani che vivevano nelle aree di confine con la Corea e la Manciuria fossero deportati in Kazakhstan e in Uzbekistan entro la fine dell’anno. L’Nkvd, la polizia segreta sovietica (attiva fino al 1946) organizzò la deportazione: i coreani di Russia furono caricati su lunghi treni diretti verso l’Asia centrale. Ci vollero 124 convogli per deportare 172mila persone stipate in vagoni senza acqua diretti verso una destinazione a loro ignota.

Sir Fitzroy MacLean, diplomatico britannico di stanza a Mosca (considerato uno degli uomini da cui  fu presa ispirazione per la creazione del personaggio di James Bond) fu testimone delle purghe staliniane e, tra le altre, della deportazione dei coreani. Nel suo libro Eastern Approaches, a pagina 54, scrisse come, nel settembre 1937, mentre stava tentando di raggiungere in treno l’Asia Centrale, si imbatté casualmente nella deportazione dei coreani: “Ad Altajsk […] ci fermammo per varie ore, mentre un certo numero di vagoni bestiame veniva agganciato al nostro treno. Questi vagoni erano pieni di gente che, a un primo sguardo, sembravano cinesi. Si rivelarono essere coreani, che con famiglia e beni erano in viaggio dall’estremo oriente all’Asia Centrale, dove erano mandati a lavorare nelle piantagioni di cotone. Non avevano idea del perché venissero deportati.

Una volta in Asia centrale vennero distribuiti tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, i primi anni d’esilio furono terribili. In molti morirono privi di qualsiasi assistenza sanitaria, isolati in comunità non pronte ad accoglierli, malnutriti. Il primo anno -secondo i dati ufficiali – ne morì il 22% circa, soprattutto bambini. I loro villaggi erano sorvegliati dal Nkvd ed erano trattati alla stregua di prigionieri di guerra. La loro pena, per non si sa quale colpa, era quella di scontare cinque anni in quelle terre lavorando alla costruzione di infrastrutture. Era tuttavia fatto loro divieto risiedere nei distretti di confine dei loro nuovi Stati-prigione. La condanna all’esilio fu prorogata più volte e terminò solo nel 1954, un anno dopo la morte di Stalin. In quel periodo fu loro proibito l’uso della lingua coreana, furono proibite scuole in lingua coreana (come invece prima della deportazione) e furono esentati dall’obbligo di leva militare. Infine fu loro fatto divieto lo studio di materie scientifiche e tecniche oltre che l’accesso a scuole d’insegnamento superiore.

Dopo il 1954 la segregazione dei coreani finì, ma quasi nessuno se ne andò. Vennero impiegati nelle risaie, coltura tradizionale coreana, e la loro condizione progressivamente migliorò andando di pari passo con la russificazione. Nel 1991, alla caduta dell’impero sovietico, non si creò nessun movimento di rientro nella Corea del Sud. Per i coreani dell’Asia centrale ormai la Corea era un posto che non li riguardava più, il coreano stesso era una lingua dimenticata e parlata da pochi anziani. 

Quello dei coreani fu uno dei tanti spostamenti di popolazione coatti che caratterizzarono il secolo scorso: la paranoia di un regime brutale, l’intolleranza verso le minoranze, la guerra in corso, contribuirono alla deportazione coreana in Asia centrale. Il popolo coreano subì una ben più massiccia deportazione da parte dei giapponesi che, come si è detto, controllavano il territorio coreano:  durante la guerra circa 2 milioni di coreani furono trasferiti forzatamente sul suolo giapponese per sostituire gli operai e i contadini al fronte. Alla fine delle ostilità poterono tornare in Corea in base a un programma di rimpatrio, di cui usufruirono, entro il marzo 1946, 1,3 milioni di coreani. I 700.000 coreani rimasti in Giappone di lì a poco furono trasformati in cittadini di seconda categoria, quando nel 1952 furono privati della cittadinanza giapponese (“denazionalizzazione”). Ad oggi la situazione non è diversa, vengono chiamati burakumin (lett. “pieno di sporcizia” o “non umano”) e sono la principale fonte di manovalanza per le yakuza nipponiche.

I coreani oggi presenti in Asia centrale rappresentano il 4,7% della popolazione dell’Uzbekistan. No, la mia ragazza non aveva bevuto e, siccome mi ha appena confuso Budapest con Bucarest, direi che è in ottima salute. D’altronde me ne innamorai quando, tutto esaltato, le dissi “vado a intervistare Lech Walesa!”. E lei “Chi?” “Walesa (questa volta con pronuncia all’italiana), quello di Solidarnosc”. “E chi è?” mi rispose. Così ho aperto questo sito, che vorrei fosse un posto dove potersi non prendere troppo sul serio, ma coi coreani non c’entra nulla.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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9 commenti

  1. Se vuoi a Milano in Via Farini c’e’ il bar di una coreana uzbeka… Quello delle minoranze nell’ex URSS e’ un tema affascinantissimo. Quella piu’ conosciuta resta la tedesca, ma ce ne sono moltissime. Alcune discenderebbero da Alessandro Magno. . Al volo mi vengono in mente i libri di Sergio Salvi “La dis-unione sovietica” (fortemente orientato nella tesi di mondo ma ricco di dati ed enciclopedico) e Valeria Piacentini “La disintegrazione dell’impero sovietico (un librone da circa 800 pagine scritto come rapporto per il centro militare di studi strategici). Qui una cartina trovata in rete http://mondediplo.com/maps/russiamdv1997

  2. E in vena di chicche ti segnalo che durante la guerra civile russa la transiberiana (in gran parte) era controllata da soldati cecoslovacchi. Che andando verso est si scontrarono quelli austriaci che andavano verso est. E volarono mazzate in mezzo alla siberia,,, Non c’entra nulla ma ste cose mi affascinano, come i “mongoli” in Emilia Romagna… Se non hai visto Sul 45esimo parallelo lascio EJ per Famiglia Cristiana.

  3. errata corrige: gli austriaci ovviamente andavano verso ovest

  4. PietroLondon se oltre EJ uno vuol leggere Famiglia Cristiana é reazionario?

    • Era una battuta della quale mi scuso. Nello scambio di opinioni con Matteo mi sono fatto trasportare mancando di rispetto a lettori come Lei. Non era mia intenzione. Comunque Famiglia Cristiana non e’ per niente reazionario, anzi… Mi scuso ancora per il mio carattere “goliardico”, EJ e’ anche questo, un gruppo di amici uniti da comuni passioni. Questa una peculiarita’ che rende la rivista diversa da quelle piu’ famose e conosciute ma anche una forza che attrae nuovi lettori dando fiducia sul fatto che i testi non sono “rivisti” con secondi fini economici o altro… Comunque oggi definire cio’ che e’ reazionario e cio’ che e’ rivoluzionario e’ ardua questione, degna di ampio dibattito. In ogni caso porgo i miei saluti e spero di avere rimediato alla mia leggerezza. E da piccolo ero abbonato al “Giornalino”! 🙂

  5. Sull’argomento (legato all’est Europa) suggerisco anche l’ottimo romanzo di Sepetys Ruta, “Avevano spento anche la luna”, sulle deportazioni dei lituani.

    • Caro London, anche la mia era una innocente battuta. Quanto ad essere “goliardico” non ti scusare, vedere le cose della vita con umorismo aiuta e come….
      Te lo dice uno stagionato ottuagenario

  6. Vi racconto una storia, diciamo in breve:
    la mia nonna era giapponese, nata e cresciuta nella Manchiuria, territorio Russo, il mio bisnonno rimasto li dopo la guerra del 1905. Mia bisnonna ha avuto 7 figli, santa donna ha perso marito da giovane fu portato via di notte dalla NKVD di qui mai più sentito nulla, perche mio bisnonno era un medico e secondo loro era un spione, e stato fucilato ma questo abbiamo saputo nel 1998, facendo rimanere la mia povera bisnonna giovane vedova con 7 figli il più piccolo era appena nato. Presi decisione per sfuggire alle conseguenze della Nkvd, di dire che erano coreani e di prendere un cognome Lee. Al inizio della 2 guerra 1937-1942 sono stati deportati in Kazakistan come le bestie, lungo la strada mia nonna che ai tempi aveva 20 anni conobbi un giovanotto coreano di cognome Kim. Si sono innamorati come si può dire a “Prima vista”, cosi andando nacque mio padre nel 1944 in provincia Kazaka in treno.
    Mio povero nonno subbi diverse umiliazioni ma per fortuna finì l’università che era quasi proibito e divento il professore, presi 2 Premi una di Stalin, una di Lenin ma non è mai potuto di diventare una persona importante come il politico o il ministro (secondo alcuni) solo perche aveva le origini coreani. La mia nonna da canto suo non è mai rivelato a nessuno che non erano coreani e ho conosciuto questa verità solo dopo la scomparsa della mia nonna nel 2007.
    Ma non è finita qui, mio padre un giovane ragazzo conobbi nel lontano 1960 una giovane studentessa di una bellezza stravolgente, che gli rubò il cuore ( aveva sempre un debole per le bellissime donne con occhi azzurri). La storia mi è stata riportata da mio padre, mia madre era di origine polacca , genitori di mia madre erano un generale russo(che poi abbiamo scoperto che era ebreo) scomparso in una notte nel 1947 dovute alle purghe del Partito ed di una giornalista (mia nonna) di una famiglia nobile polacca, stranamente morta in una giovane età di 37 anni da una leucemia fulminante dovuto allo stress. Mia povera madre nata nel 1947 ma non conobbi mai suo padre e al età di 6 anni persi anche la madre, l’unica sua salvezza e stata mia bisnonna che secondo mio padre era molto rigida ed è custodiva segretamente le sue preziosità essendo una grafignia ( rifugiata con la mia nonna in Russia nella 2 Guerra Mondiale,quando i tedeschi hanno invaso la Polonia)Come mia nonna conobbi mio nonno, chi era mio bisnonno, purtroppo io non vi posso raccontare non conoscendo i fatti.
    Nel 1948 mia madre al età di 1 anno, mia nonna e mia bisnonna sono stati sfratati dalla casa a Mosca, portati di notte in un treno e deportati in esilio in Kazakistan, gli andata bene perche potevano essere portati in Siberia.
    Come vi dicevo prima nel 1960 mio padre conobbi mia madre e nel 1972 nacqui io nel Kazakistan ad Almaty.
    Nel 1975 e stato riconosciuto dal partito il sbaglio subito della famiglia di mia madre.
    Nel 1994 sono stati riconosciuti soldi a mia nonna per il mio bisnonno come la vittima di grande ingiustizia.
    Scusate se la trovate un può lunga, volevo raccontarvi la vita e purtroppo la morte dei miei antenati, visto che sono unica sopravissuta.
    Mia nonna giapponese è mancata nel 2007, mio nonno coreano nel 2004, mia madre polacca al età di 41 anni scomparsa in un incedente automobilistico, mio padre Misto l’anno scorso, sono figlia unica e sono unica che ha conosciuto i miei nonni. In età di 18 anni sono stata in Corea e in Gippone, al età di 21 anni sono partita dal Kazakistan e non sono mai più tornata……..

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