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ROMANIA: Gli ospedali sull’orlo del collasso

Questo articolo è frutto di una collaorazione con OBCT

Lo scorso 29 gennaio la Romania è stata colpita dall’ennesima tragedia che ha confermato lo stato deplorevole in cui versa buona parte del suo sistema ospedaliero. Un incendio è scoppiato nel padiglione V dell’Istituto per la cura delle malattie infettive Matei Balș, attualmente particolarmente sotto pressione a causa dell’epidemia di Covid-19. Alle ore 5.00 sono giunte le prime richieste di aiuto, e l’incendio è stato spento in poco tempo: non abbastanza velocemente, tuttavia, per salvare la vita di undici persone. Alcune sono morte tra le fiamme, altre nelle ore successive a causa delle esalazioni. Si tratta del secondo caso di incendio ospedaliero nel giro di poche settimane: lo scorso 14 novembre era stato l’ospedale di Piatra Neamț lo scenario di un evento analogo, che in quel caso aveva provocato dieci vittime.

Le cause

Non è ancora chiaro cosa possa aver causato l’incendio. Secondo la direttrice amministrativa dell’ospedale, Maria Nițescu, nominata a dicembre 2020, l’impianto elettrico è sottoposto regolarmente a manutenzione, così come il sistema di aerazione. Le attrezzature per l’erogazione di ossigeno, fondamentali in questo periodo per i malati più gravi di Covid, erano state sostituite a dicembre con dei nuovi impianti.

La stessa Nițescu, tuttavia, ha sottolineato come l’ospedale soffrisse di non trascurabili problemi di riscaldamento. Secondo la direttrice, la temperatura media nei reparti era intorno ai venti gradi, riuscendo raramente a superare la soglia dei ventidue; troppo poco per pazienti vittime di infezioni, spesso colpiti da attacchi febbrili particolarmente virulenti. È molto probabile che l’incendio possa essere stato causato da un malfunzionamento del vetusto impianto di riscaldamento. In ogni caso, la magistratura sta già scavando più a fondo per scoprire l’effettiva origine dell’incendio.

Le polemiche

Come succede spesso in Romania in occasione di tragedie particolarmente toccanti per l’opinione pubblica, sono scoppiate le polemiche sulla gestione dell’ospedale, accompagnate dai consueti sospetti di corruzione e malaffare. Come quasi tutti gli ospedali della capitale, anche il Matei Balș continua ad essere ospitato in una struttura ormai datata, costruita nel 1956, nove anni prima che Nicolae Ceaușescu assumesse il potere.

Il ministro della Sanità, Vlad Voiculescu, un giovane medico da anni attivo nelle lotte per una sanità più efficiente, ha ricordato le somme di denaro investite dallo stato negli ospedali. Una verità, ma da contestualizzare. In molti casi, i soldi non sono stati spesi in modo corretto o trasparente: anche nella sanità, infatti, la corruzione dilaga. Basti pensare a quel che accadde dopo l’incendio del club Colectiv nel 2015, quando si scoprì che molti ospedali della capitale avevano comprato disinfettanti “allungati” con l’acqua, totalmente inefficaci nelle cure di ustionati gravi. Non a caso, molti dei superstiti del Colectiv morirono poco dopo in ospedale a causa di infezioni nosocomiali.

In secondo luogo, la spesa di ingenti somme di denaro per la manutenzione di plessi troppo vecchi si è spesso rivelata una soluzione temporanea, una toppa passeggera in una perdita ormai incontrollabile. Pochi sono stati gli investimenti pubblici per la costruzione di nuove strutture e ospedali, rispondenti alle necessità contemporanee.

Gli occhi indignati dell’opinione pubblica si sono rivolti subito verso colui il quale ha diretto l’ospedale per vent’anni, Adrian Streniu-Cercel, più volte consigliere di vari ministri della Salute, di tutti i colori politici. È stato lui a gestire il miliardo di euro che negli ultimi dieci anni è stato investito nel Matei Balș. Streniu-Cercel ha lasciato l’incarico a dicembre 2020, dopo essere stato eletto al senato con il partito Social-democratico. Voiculescu ha annunciato una conferenza stampa nei prossimi giorni, in cui presenterà un nuovo piano di investimenti pubblici nella sanità. Senza un piano strategico di lungo periodo, tuttavia, rischia di trattarsi dell’ennesimo buon proposito che ai cittadini romeni non può più bastare.

Foto: PublicDomainPictures da Pixabay 

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' stato assegnista di ricerca presso la medesima università. Attualmente insegna storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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