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POLONIA: A rischio la libertà d’informazione

Il 10 febbraio scorso i media indipendenti polacchi hanno protestato contro un disegno di legge che introdurrebbe una nuova imposta sugli introiti della pubblicità. In risposta a questa progetto, molti giornali sono usciti in edicola con una prima pagina completamente nera. Lo stesso hanno fatto diversi siti internet d’informazione, lasciando l’homepage oscurata dal messaggio “Media Bez Wyboru” (media senza scelta). Secondo il quotidiano Gazeta Wyborcza e l’emittente TVN questa nuova imposta potrebbe ostacolare la libertà di stampa e di espressione, anche se l’esecutivo nega questa possibilità.

Il governo conservatore, guidato dal 2015 dal partito Diritto e Giustizia (PiS), sostiene infatti che l’imposta sarà importante per le casse dello stato. Il progetto dovrebbe poi garantire un maggiore pluralismo nell’informazione, obbligando i grandi network e le corporation straniere a contribuire economicamente. Ma questa decisione, secondo i media privati, l’opposizione e l’UE sarebbe parte di un vecchio progetto (mai abbandonato) volto a ridurre l’indipendenza dei mezzi d’informazione in generale. Una scelta guidata da interessi più grandi e che prende esempio dai governi di altri Paesi.

Polonia e Ungheria, strategia e obiettivi comuni

La proposta fiscale arriva in un momento delicato per i media privati. La Polonia, per diversi motivi, sta seguendo un percorso simile a quello dall’Ungheria. Il governo di Viktor Orbán, guidato saldamente dal partito Fidesz, ha infatti acquisito nel corso degli anni un controllo diffuso dei mezzi di comunicazione. Proprio martedì scorso il Consiglio dei media ha rigettato il ricorso di Klubrádió, costringendo la stazione radio a cessare le sue trasmissioni. Human Rights Watch, l’UE e molti altri media internazionali hanno apertamente stigmatizzato questa decisione. Per il momento l’emittente radiofonica, spesso critica nei confronti dell’operato del governo conservatore, andrà in onda solo on-line.

Ben diversa è la posizione di Monika Karas, presidente del Consiglio dei media. Secondo Karas, l’organo non avrebbe revocato il diritto all’utilizzo della frequenza assegnato a Klubrádió. La licenza dell’emittente sarebbe solamente scaduta perché oltre il termine massimo di 7 anni, come stabilito dalla legge. Di conseguenza, se Klubrádió vincerà il concorso pubblico, potrà tornare in onda. “La stazione radio non è stata discriminata. Le decisioni sono state prese in linea con le disposizioni della legge sui media, senza lasciare al Consiglio alcun margine di manovra. Ogni decisione del Consiglio per i media, che ha supervisionato il libero mercato dei media, è suscettibile di ricorso”, afferma in una nota la presidente Karas.

Per quanto riguarda la Polonia e la libertà d’informazione, da diversi anni l’UE esprime preoccupazione per quella che considera un’erosione della democrazia e una deriva semi liberticida. Lo scorso novembre il parlamento europeo aveva inoltre denunciato la violenza, le molestie e le pressioni cui sono sottoposti i giornalisti. In una risoluzione, l’organo legislativo dell’UE ha evidenziato “i tentativi dei governi di alcuni Stati membri di mettere a tacere i media critici e indipendenti e di minare la libertà e il pluralismo dei media”.

A dicembre, la compagnia petrolifera statale polacca PKN Orlen aveva annunciato l’intenzione di espandere i propri interessi commerciali. Poco dopo è arrivata la notizia dell’acquisto di Polska Press, società tedesca che possiede un’ampia gamma di giornali quotidiani e settimanali nel paese. Le pubblicazioni del gruppo raggiungono circa 17 milioni di lettori e servono principalmente le regioni polacche prive di grandi città, culla di un elettorato in maggioranza conservatore e tradizionalmente vicino al governo. Una scelta che l’opposizione e parte della stampa hanno definito pericolosa per la democrazia e la libertà dei media. Il PiS ha già trasformato la tv di stato, la radio e altri media di proprietà pubblica in portavoce del partito. L’informazione nazionale critica molto spesso gli avversari dell’esecutivo, compresi i movimenti LGBT, le organizzazioni femministe e gli organi europei.

La ri-polonizzazione dei media e i rischi per la libertà d’informazione 

Come noto, l’informazione pubblica gode di ingenti finanziamenti. A marzo, il presidente polacco Duda aveva firmato un disegno di legge per lo stanziamento di quasi 2 miliardi di zloty (circa 450 milioni di euro). L’opposizione sostiene che quei soldi siano serviti per finanziare la propaganda filo-governativa della televisione e una copertura mediatica in vista della campagna elettorale.

In realtà quanto successo è in linea con il pensiero di Jarosław Kaczyński, leader del partito al governo Diritto e Giustizia (PiS). La maggioranza, al potere dal 2015, ha sempre detto di voler ‘ri-polonizzare’, ovvero nazionalizzare molte delle società di media di proprietà straniera. Lo scopo è diminuire il peso dell’informazione non allineata e considerata avversa, se non addirittura nemica dell’esecutivo. “I media in Polonia dovrebbero essere polacchi”, ha ribadito Kaczynski la scorsa estate.

Tra i principali avversari del governo polacco c’è anche il gruppo Ringier Axel Springer Polska (RASP), che gestisce l’edizione polacca di Newsweek e il tabloid Fakt. In diverse occasioni, il governo ha parlato apertamente di ingerenze straniere, pressioni esterne e complotto tedesco-americano. Nel 2017, l’esecutivo ha cercato di multare l’emittente TVN perché questa avrebbe fomentato alcune proteste antigovernative.

L’uso dei media pubblici da parte dell’esecutivo ha intanto  fatto scivolare la Polonia al 62esimo posto su 180 nelle classifiche relative alla libertà di stampa e informazione. Secondo Reporters without borders, i media pubblici polacchi sono i portavoce dell’esecutivo. Ma c’è di più. I direttori delle testate non tollerano né l’opposizione né la neutralità da parte dei dipendenti, licenziando coloro che si non si adeguano alle linea editoriale.

Nel caso di Gazeta Wyborcza si parla di vere e proprie “molestie legali”, segnalando circa 50 cause penali e civili intentate nei confronti della testata da parte dello stato o di entità controllate dall’esecutivo. “La spinta del governo nel controllare il sistema giudiziario e una crescente tendenza a criminalizzare la diffamazione, stanno cominciando ad avere un effetto sulla libertà di espressione dei media indipendenti”, affermano nel loro report annuale. Un quadro preoccupante, specchio di una Polonia dove la libertà di espressione e la libertà di stampa sembrano essere in pericolo.

Foto: commons.wikimedia.org

Chi è Tommaso Di Felice

Nato a Roma nel 1987, si è laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Appassionato di storia e politica, dopo un Erasmus a Varsavia è rimasto in Polonia per diversi anni. Ora è tornato a Roma, ma lo sguardo rimane sempre rivolto a Est.

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