I cittadini sono tornati in piazza. Sono 81 le città polacche coinvolte, 13 nel resto d’Europa e 12 tra Stati Uniti e Canada. Lo hanno chiamato Strajk Obywatelski, Sciopero Cittadino, e martedì ha coinvolto migliaia di cittadini in una marcia antigovernativa che, dietro lo slogan “Basta con la distruzione della Polonia”, ha riunito gli organizzatori del KOD, il Comitato per la Difesa della Democrazia, movimento civico fondato a Varsavia verso la fine dello scorso anno, e l’opposizione.
Non un giorno qualunque
Il corteo ha iniziato a sfilare verso le 16.30 del 13 dicembre dalla rotonda De Gaulle, sotto quella che fu la sede del Comitato Centrale del Partito Comunista Polacco, fino a via Nowogrodzka, quartier generale del partito di Diritto e Giustizia. Non era un giorno come tanti, e la valenza simbolica del 13 dicembre è enorme per la storia del paese: 35 anni fa veniva introdotta la legge marziale tramite la famosa dichiarazione del Maresciallo Wojciech Jaruzelski.
Le ragioni della protesta
Stavolta non sono stati i singoli provvedimenti a risvegliare gli animi dei polacchi come avvenuto dalla fine del 2015 allo scorso ottobre. Si è manifestato contro l’intero operato del governo di Diritto e Giustizia (PiS), criticato su tutta la linea per aver imbrigliato la Corte Costituzionale, imbavagliato la tv pubblica, ristretto le libertà civili con nuove leggi sulla sorveglianza e divieti d’assemblea, e tentato di introdurre il divieto totale d’aborto. Misure, affermano gli organizzatori, che umiliano la Polonia sul piano internazionale e la indeboliscono su quello economico con i mercati sensibili alle scosse politiche. Forti del risultato raggiunto da Czarny Protest, la protesta in nero delle donne contro il divieto d’aborto, Strajk Obywalteski ha richiamato all’unità tutti i gruppi e le organizzazioni che lavorano in difesa della democrazia. 13 le richieste avanzate per invertire il corso illiberale della Polonia, preda del populismo di destra incarnato da Jarosław Kaczyński, l’uomo che da dietro le quinte tesse le trame della sua contro-rivoluzione. Dalle dimissioni del governo al ritiro di alcuni provvedimenti, molti polacchi sono già stanchi del partito che, nonostante tutto, rimane in testa ai sondaggi.
I nomi dietro lo slogan
Le opposizioni politiche avranno un bel da fare per la rimonta, e forse l’incapacità di costruire una vera alternativa politica (e partitica) risiede non solo nella frammentarietà delle forze in campo, ma anche nella mancanza di programmi concreti e leader carismatici lontani dal vecchio establishment massicciamente contestato da PiS, e inviso alla maggioranza della popolazione. A organizzare la protesta è stato, sì, il KOD guidato da Mateusz Kijowski, unico attore ad oggi in grado di mobilitare grandi numeri, ma a cavalcare l’onda sono stati anche personaggi della vecchia guardia, nel bene e nel male: è il caso di Ryszard Petru, ora presidente del partito Moderno, di Grzegorz Schetyna, succeduto a Donald Tusk alla guida di Piattaforma Civica, e di Lech Wałesa, leader di Solidarność e acerrimo nemico di Kaczyńsky dai primi anni ’90, quando la vicinanza e l’affinità politico-partitica lasciarono il posto a insanabili divisioni.
Il diritto a manifestare ha le ore contate
Intanto crescono le preoccupazioni dentro e fuori i confini della Polonia per una nuova legge che minerebbe la libertà di assemblea vietando le manifestazioni che si svolgono contemporaneamente a quelle promosse da Stato e Chiesa.
Distinguendo le “assemblee cicliche” – un titolo che sarà concesso dal governo a manifestazioni ricorrenti atte a celebrare importanti eventi per la storia polacca – da quelle “non cicliche”, il disegno conferisce alle prime priorità e supremazia nel caso in cui si svolgano contemporaneamente alle seconde, che verranno vietate dalle autorità locali e di fatto discriminate.
Immediata la levata di scudi da parte delle ONG polacche che ora si appellano al Senato e al Presidente della Repubblica affinché la legge non venga approvata dalla Camera Alta e poi ratificata.
A farsi sentire è stato anche il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, che in una nota stampa ha dichiarato che “questi emendamenti non dovrebbero essere adottati poiché restringerebbero senza necessità e in maniera sproporzionata la possibilità per larga parte della popolazione di godere del diritto umano di libertà di assemblea, in contrasto con l’art. 11 della Convenzione Europea sui Diritti Umani”.
Anche le Ong sotto attacco
La legge, approvata alla Camera dei Deputati senza consultazioni e dibattiti secondo quanto riportato dalla Polish Helsinki Foundation for Human Rights (HFHR), arriva dopo la presentazione di un nuovo e controverso piano: la creazione di un Centro Nazionale per la Società Civile. Un modo, dicono alcuni attivisti, attraverso cui il governo potrà estendere la propria influenza sulle Ong centralizzando politiche ed erogazione di fondi. Per il Premier Beata Szydło è increscioso che molte organizzazioni governative siano “subordinate alle politiche del vecchio sistema di governo”, come riportato dal Guardian. Le accuse verso il terzo settore, che circolano da tempo tra i media vicini al governo, hanno innescato una vera e propria crociata contro alcuni esponenti, come evidenziato nel report consegnato da HFHR al Comitato sui Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Comprensibile il timore di alcune Ong di non poter più accedere ai fondi se non in linea col governo. Del resto quest’anno sono stati tagliati al Centro per i Diritti delle Donne, reo per il ministro della Giustizia, di occuparsi solo di donne. Inoltre, risale a pochi giorni fa la notizia secondo cui il Governo vorrebbe recedere dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne.
Foto: Ewa Szyfner / Rzeszów News