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STORIA: Il vertice di Ginevra. L’inizio della fine della Guerra Fredda – parte 1

A trentacinque anni dal vertice di Ginevra e dallo storico incontro tra Michail Gorbačëv e Ronald Reagan, East Journal vi propone un approfondimento sulla vicenda. Di seguito, trovate la prima parte.

Era il 19 novembre 1985 quando il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il neo Segretario Generale del Pcus, nonché leader dell’Urss, Michail Gorbačëv si incontrarono per la prima volta. I capi di Stato delle due superpotenze non si riunivano dal giugno 1979, quando Jimmy Carter e Leonid Brežnev firmarono il trattato Salt II (Strategic Arms Limitation Talks II) nel palazzo imperiale Hofburg di Vienna. Tuttavia, in seguito all’invasione sovietica dell’Afghanistan del dicembre 1979, il presidente statunitense Carter fu obbligato a togliere temporaneamente dall’agenda legislativa la ratifica del trattato stesso, il quale non sarebbe mai più passato al vaglio del Senato. Di conseguenza si comportò il Soviet Supremo, non ratificando a sua volta il Salt II. Ciononostante, Washington e Mosca si impegnarono perlomeno a non intraprendere azioni contrarie allo spirito dell’accordo.

Il periodo cosiddetto della détente (distensione), iniziato nel 1962, terminò nel 1979 con una recrudescenza dei rapporti tra Usa e Urss. Le relazioni tra Washington e Mosca, infatti, si aggravarono quando il presidente Reagan annunciò, nel marzo 1983, la volontà di avviare il programma nucleare difensivo SDI (Strategic Defense Initiative) – noto come progetto Guerre Stellari –, uno scudo spaziale contro “l’impero del male”. Il Politburo sovietico attaccò duramente il programma statunitense accusando lo studio ovale di pianificare una superiorità militare e nucleare nei confronti di Mosca.

Tuttavia, nel 1985 sprazzi di un possibile ritorno al dialogo sembrarono palesarsi. In gennaio i ministri degli Affari Esteri delle due superpotenze si incontrarono a Vienna per la firma di una dichiarazione di intenti sulla necessità di prevenire la corsa agli armamenti spaziali e di ridurre le armi nucleari e strategiche. Inoltre, in seguito alla scomparsa di Konstantin Černenko, il nuovo leader sovietico Michail Gorbačëv sembrò, fin da subito, prono a una possibile distensione tra Mosca e Washington. Fu in questo quadro politico-diplomatico che il vertice di Ginevra del 19-20 novembre 1985 ebbe luogo.

Verso il summit: un clima tutt’altro che distensivo

Il sentiero che portò al summit di Ginevra, però, non fu tra i più rosei e distensivi che si potessero sperare. Se al centro delle critiche di Mosca rivolte a Washington si stagliava principalmente il progetto Guerre Stellari, il Segretario Generale del Pcus dovette resistere alle numerose accuse di violazione dei diritti umani perpetrati sul suolo sovietico. Tale fu il caso, per esempio, durante una triplice intervista di Michail Gorbačëv tenuta a Mosca il primo ottobre 1985. Alla dura provocazione di uno dei tre giornalisti francesi sulla presunta detenzione di milioni di prigionieri politici, il leader sovietico – additando il reporter di propaganda in stile nazista – asserì che fosse assurdo il solo mettere in dubbio il rispetto dei diritti umani sul suolo sovietico. Ciononostante, le accuse da parte del blocco occidentale nei confronti di Mosca si moltiplicarono tanto che fu chiara la centralità che avrebbe ricoperto il cosiddetto “cesto dei diritti umani” – per riprendere la terminologia dell’Atto Finale di Helsinki del 1975 – durante l’incontro diplomatico al vertice di Ginevra.

Tre giorni dopo Michail Gorbačëv si recò a Parigi in missione diplomatica. Infatti, nel 1981 era stato eletto presidente il socialista François Mitterrand. La visita di Gorbačëv aveva due principali obiettivi. Dapprima, il leader sovietico avrebbe chiesto la negoziazione e la firma di un trattato di riduzione degli armamenti bilaterale con Parigi e Londra. Tale accordo gli avrebbe quindi conferito una posizione di maggiore forza nella lotta contro il progetto Guerre Stellari, poiché Mitterrand aveva già esplicitato il rifiuto di una possibile partecipazione francese al SDI. Tuttavia, non tutto andò come previsto. Da una parte, Mitterrand si rifiutò di negoziare una limitazione agli armamenti separata. Dall’altra, l’inquilino dell’Eliseo non palesò alcuna dura posizione nei confronti del programma difensivo d’oltremare al fine “di non creare alcun dissenso con i suoi alleati”.

A fine ottobre un altro discusso intervento pubblico fu quello di Ronald Reagan alla 40esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il presidente statunitense enfatizzò la presenza militare sovietica in numerosi conflitti regionali – in particolare in Afghanistan – come atto contrario al principio di autodeterminazione dei popoli. La risposta di Mosca non si fece attendere. Una settimana dopo, quattro giornalisti sovietici intervistarono Reagan nello studio ovale incalzandolo sugli interventi statunitensi in Grenada e a sostegno dei mujaheddin in Afghanistan e infine sugli armamenti nucleari. Qualche giorno dopo il reporter della Pravda Vsevolod Ovčinnikov affermò che il presidente statunitense non aveva offerto alcuna risposta convincente,  in particolare sulla minaccia nucleare.

Il caso Weinberger

Un vasto dibattito si scatenò negli Stati Uniti. I media e le forze politiche si chiedevano quale posizione avrebbe dovuto mantenere Reagan al vertice di Ginevra. Sostenitori della linea moderata caldeggiavano un dialogo pacifico e comprensivo, poiché sarebbe stato solo grazie al confronto tra le due superpotenze che una détente globale avrebbe potuto svilupparsi. Tra di essi, in un articolo pubblicato su Foreign Affairs, l’ex presidente statunitense Richard Nixon affermò che il progetto SDI si sarebbe presentato come un elemento di negoziazione. Senza di esso, l’Urss non avrebbe avuto motivo di spingere per una riduzione degli armamenti. Dunque, Richard Nixon spinse per un compromesso: la chiusura del cantiere Guerre Stellari per la riduzione di testate nucleari offensive sovietiche.

Al contrario, i sostenitori della linea dura ritenevano che il presidente non potesse scendere a patti con “l’impero del male”, perpetratore di violazioni dei diritti umani e dei pochi trattati bilaterali firmati fino a quel momento tra Washington e Mosca. Il Segretario alla Difesa, Caspar W. Weinberger, era tra i sostenitori di questa seconda opzione. In una lettera privata del 13 novembre destinata al presidente Reagan – poi trapelata e pubblicata qualche giorno più tardi sul New York Times –, egli chiedeva al presidente di rifiutare qualsiasi proposta sovietica, poiché altrimenti si sarebbero ridotte le possibilità di una risposta efficace statunitense in caso di violazioni sovietiche. In particolare, Weinberger chiedeva di non continuare ad aderire al Salt II e di non concedere alcuna limitazione al progetto SDI.

Visto il clima piuttosto agguerrito precedente al vertice di Ginevra, i media iniziarono a scommettere su quali potessero essere le reali aspettative di un buon accordo tra le due superpotenze. Certamente le parole di Reagan alle Nazioni Unite non avevano fatto piacere al Politburo sovietico, né tantomeno la lettera di Weinberger. Ciononostante, Gorbačëv – secondo quanto poi avrebbe affermato al Soviet supremo il 27 novembre – decise di non rinunciare al confronto, consapevole che la responsabilità di una pace mondiale pesava sulle spalle dei due leader politici.

D’altro canto, anche il presidente Reagan non poteva essere completamente ottimista. Esperti, politici e giornalisti statunitensi avevano evidenziato una disunione dell’amministrazione statunitense sulla politica estera da adottare e nessuno poteva essere certo di quale sarebbe stata la posizione presa da Reagan durante le discussioni del 19 e 20 novembre.

Nessuno poteva predire con esattezza cosa sarebbe successo in quei due giorni sulle rive del lago Lemano.

Foto: Atomic Heritage Foundation

Chi è Amedeo Amoretti

Studente di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali, curriculum Global Studies, alla LUISS Guido Carli. Si interessa principalmente di Russia, Bielorussia e Ucraina.

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