Nagorno-Karabakh

NAGORNO-KARABAKH: Niente tregua, la guerra continua

La speranza che i combattimenti si fermassero è durata meno di un’ora. Tanto è bastato per capire che l’accordo per il cessate il fuoco umanitario, siglato il 10 ottobre, sarebbe rimasto solo sulla carta. La guerra in corso dal 27 settembre continua e ci vorrà uno sforzo diplomatico ben diverso per indurre Armenia e Azerbaigian a non risolvere la questione del Nagorno-Karabakh con le armi. 

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La situazione sul campo

La giornata di sabato (10 ottobre) si era aperta con grandi speranze, a Mosca, dopo ore di negoziati tra il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e i corrispettivi armeno e azero, Zohrab Mnatsakanyan e Jeyhun Bayram, era arrivata la firma di un accordo per il cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian. Ma poco dopo mezzogiorno – l’ora locale in cui sarebbe dovuta entrare in atto la tregua – sono arrivate notizie sconfortanti dal Caucaso, i combattimenti continuavano e così i bombardamenti sui centri abitati.

In base a quanto riportato da entrambe le parti, gli scontri si sono concentrati nella regione di Hadrut, cittadina nella parte meridionale del Nagorno-Karabakh, in seguito ad un tentativo di sfondamento azero. Baku ha dichiarato che diverse componenti dell’esercito armeno si sarebbero ritirate dalla zona, ma Erevan ha categoricamente smentito la notizia.

Nel frattempo non si fermavano i bombardamenti; la situazione drammatica a Stepanakert, capitale de facto del Nagorno-Karabakh, è stata ben testimoniata da diversi reporter sul posto, tra i quali l’italiano Daniele Bellocchio e i corrispondenti della Novaya Gazeta. Molti quartieri della città sono in macerie, mentre la popolazione, chi non è scappato in Armenia, è rintanata nei rifugi sotterranei, proprio come durante la guerra degli anni novanta.

Nella giornata di domenica, sono arrivate altre vittime civili, questa volta a Ganja, seconda città dell’Azerbaigian. Secondo quanto riportato dalla corrispondente di  France 24, Catherine Norris-Trent, un missile ha colpito un’area residenziale, uccidendo almeno otto persone.

La solita giostra di accuse

Non appena è stato chiaro che il cessate il fuoco non sarebbe effettivamente entrato in atto, Armenia e Azerbaigian hanno iniziato ad accusarsi vicendevolmente della violazione della tregua, una giostra ben nota a chi segue il conflitto.

Le dinamiche sono sempre le stesse, da una parte si promuove una propaganda volta all’odio e alla disumanizzazione del nemico che, a lungo andare, ha reso inaccettabile qualsiasi forma di compromesso agli occhi dell’opinione pubblica dei due paesi. Dall’altra, si punta al vittimismo per cercare simpatie all’estero, non a caso, la retorica del “siamo stati abbandonati dalla comunità internazionale” fa padrona sia in Armenia che in Azerbaigian, come ben evidenziato in due pezzi paralleli pubblicati da Eurasianet.

I leader dei due paesi sono i primi a usare questa dialettica bifronte. Il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ama ripetere che “il Karabakh è Azerbaigian” e complimentarsi con l’esercito per “la liberazione” di alcune aree della regione. A questa retorica agressiva e bellicista che non può che alienare e spaventare la parte armena – considerati anche alcuni gravi episodi di violenza del passato – fanno da contraltare le accuse di aggressione che lo stesso Aliyev lancia all’Armenia in ogni sua intervista. Il premier armeno, Nikol Pashinyan, invece, ha dichiarato l’intenzione di Erevan di riconoscere il Nagorno-Karabakh, atto che affosserebbe definitivamente qualsiasi negoziato incentivando ulteriormente l’Azerbaigian a risolvere la questione con le armi. Al contempo, usa termini termini quali “scontro di civiltà” per descrivere il conflitto in corso e accusa gli azeri e i turchi di voler perpetrare un genocidio, parola che descrive una fattispecie giuridica ben precisa e che sottende accuse gravissime, forse da usare con più attenzione, considerando che la priorità dovrebbe essere quella di tornare al tavolo dei negoziati.

Inverno e fette di salame

Parallelamente al conflitto, non si è arrestato lo sforzo negoziale. I ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian sono ancora a Mosca e hanno avuto ulteriori colloqui con Lavrov. Sulla carta tutti gli attori, inclusa la Turchia, supportano il gruppo di Minsk dell’OSCE, l’organismo internazionale preposto alla risoluzione del conflitto. Quello che emerge, per l’ennesima volta, è che i canali di comunicazione tra Baku e Erevan non mancano, assente è la volontà di risolvere davvero la situazione

Non è irrealistico pensare che la Russia, supportata da Francia e Stati Uniti, gli altri due co-presidenti del gruppo di Minsk, possa indurre le parti a rispettare il cessate il fuoco nel breve periodo. Come osservato dagli esperti Laurence Broers, Nina Caspersen e Thomas de Waal parafrando una celebre serie televisiva: “Winter is coming”. Il Nagorno-Karabakh è una regione montuosa con inverni molto rigidi e difficilmente le parti avranno interesse a proseguire la guerra nella stagione fredda.

In mancanza di un accordo permanente, però, nuove escalation saranno inevitabili. L’Azerbaigian ha interesse ad alterare lo status quo che vede – non è chiaro quanto sia ancora vero – l’esercito armeno controllare il Nagorno-Karabakh e sette distretti azeri adiacenti alla regione. L’analista Nico Popescu ha descritto il conflitto in corso, così come quello dell’aprile 2016, come “una guerra per affettare il salame”. In base a questa teoria, l’obiettivo del governo di Baku non sarebbe una rischiosa guerra in grande scala per riprendere il controllo dell’intero Nagorno-Karabakh, ma piuttosto conquistare pezzi di territori – fette di salame usando la metafora proposta – per guadagnare il consenso della propria opinione pubblica e mettere pressione all’Armenia sul tavolo dei negoziati. Conflitti di questo genere si ripeterebbero nel prossimo futuro perché nessun attore internazionale avrebbe veramente la forza di impedirlo. La Russia, sarebbe soddisfatta della situazione che le permetterebbe di mantenere la sua influenza nella regione senza prendere una posizione chiara nel conflitto. Da anni, infatti, Mosca vende armamenti all’Azerbaigian, pur essendo alleata dell’Armenia, sul cui territorio mantiene una base militare.

Se la metafora del salame può fare sorridere, non bisogna dimenticarsi il costo umano di un conflitto come quello in corso. Dopo due settimane di guerra, l’esercito armeno conta 480 morti e le vittime civili da entrambe le parti hanno superato la cinquantina. Baku non ha, invece, comunicato il numero dei propri soldati caduti e non si sa, anche, quanti siano gli sfollati. In base a quanto testimoniato da diversi giornalisti, Goris e altre città del sud dell’Armenia si sono popolate di famiglie fuggite dal Nagorno-Karabakh, cosa che fa pensare a cifre importanti.

Immagine: un edificio di Ganja colpito dai bombardamenti, Catherine Norris-Trent.

Chi è Alessio Saburtalo

Alessio Saburtalo è uno pseudonimo. L'autore che vi si cela si occupa principalmente di Caucaso con sporadici sconfinamenti in Russia e Asia Centrale. Saburtalo è un quartiere di Tbilisi.

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