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STORIA: Il ritorno della colonna mariana nel cuore di Praga

Con la collaborazione di Andreas Pieralli

Lo scorso 4 giugno è ricomparsa nel centro di Praga una colonna mariana, a circa cent’anni dalla sua rimozione. Il ritorno di questo simbolo ha diviso l’opinione pubblica ceca, facendo riemergere alcune controversie della storia di questo paese.

La Guerra dei Trent’anni

Bílá Hora – la Montagna Bianca – è uno dei capolinea del tram 22, una delle linee tra le più frequentate dai praghesi così come dai turisti, perché attraversa tutta Praga toccandone i punti principali. Nel 1620 era però solo un’altura lontana dal centro città e poco frequentata. Divenne famosa l’8 novembre quando vide contrapposti sulla sua sommità, da una parte, l’esercito imperiale, guidato da Ferdinando II d’Asburgo, e quello della Lega cattolica, capeggiato da Massimiliano di Baviera, e, dall’altra, le truppe dell’elettore palatino Federico V, strenuo oppositore degli Asburgo, eletto re di Boemia dai protestanti insorti nel 1619.

La battaglia si concluse con la dura sconfitta di Federico V e il conseguente ritorno della Boemia e della Moravia sotto l’influenza asburgica, che non significò soltanto la perdita dell’autonomia, ma anche un lungo processo di restaurazione cattolica in chiave antiprotestante, di germanizzazione e di esautorazione della nobiltà locale.

La battaglia fu anche uno dei primi atti della Guerra dei Trent’anni, conflitto di religione per eccellenza, scatenato dalla celebre seconda defenestrazione di Praga dei due rappresentanti imperiali, capri espiatori del malcontento sollevato dal decreto che impediva la costruzione di due chiese protestanti in Boemia. La battaglia del 1620 assunse anche un ruolo centrale nella memoria collettiva dei cechi e dei moravi, che la elessero non solo a simbolo della perdita dell’indipendenza politica, ma anche dell’umiliazione della propria autonomia culturale.

La comparsa della colonna mariana

Nel novembre 1648 l’assedio di Praga si concluse positivamente con l’allontanamento dell’esercito svedese. Due anni dopo, per volere dell’imperatore Ferdinando III, fu eretta una colonna votiva della Madonna in Staroměstské náměstí in ringraziamento per la liberazione dall’assalto delle truppe protestanti, ma anche quale promessa di conversione al cattolicesimo dei gruppi di protestanti ancora presenti nelle terre boeme e morave.

La Pace di Vestfalia, che ricompose la Guerra dei Trent’anni, vide l’affermazione del principio del cuius regio eius religio, secondo cui nei singoli territori si sarebbe professata la religione dei governanti, pur concedendo l’esilio ai dissidenti. Fu così che in molti presero la via della fuga, conservando allo stesso tempo l’attaccamento alle proprie origini e le ferite della sconfitta. Molti di loro, però, erano già fuggiti fin dal 1620 e alcuni avevano combattuto a fianco degli svedesi nella speranza di recuperare il proprio posto e salvaguardare la tolleranza religiosa. Ecco perché, fin da subito, la colonna mariana fu un simbolo divisivo, carico di significati sovrapposti e per nulla univoci.

Nel corso di tre secoli la lingua e la cultura ceche trovarono strade sotterranee per resistere e prosperare. Jan Hus rimase al centro della memoria collettiva diventando un simbolo non contrattabile: sacerdote e predicatore, per il suo sostegno alle dottrine del riformatore John Wycliffe fu scomunicato e allontanato da Praga. Processato dal Concilio di Costanza, non ritrattò le sue tesi e, quindi, fu condannato a morte per eresia. Morì sul rogo il 6 luglio 1415. Interessante notare, inoltre, come il giorno prima, il 5 dello stesso mese, si festeggi l’arrivo nelle terre boeme dei Santi Cirillo e Metodio che da Salonicco portarono la fede cristiana.

Simboli politici contrastanti

Trecento anni dopo, mentre già si combatteva la prima guerra mondiale e gli imperi centrali si apprestavano inconsapevolmente al loro dissolvimento, a pochi metri dalla colonna mariana lo scultore Ladislav Šaloun realizzò un monumento di Jan Hus in imponente stile Art Nouveau. La convivenza tra i due simboli politici, sentimentali e sociali oltre che religiosi non ebbe, però, lunga vita.

Il 3 novembre 1918, pochi giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza della Cecoslovacchia, formalizzata ufficialmente il 28 ottobre, la colonna fu abbattuta da una folla in tumulto guidata dallo scrittore Frantíšek Sauer, amico di Jaroslav Hašek, l’autore del Buon soldato Švejk. La nuova repubblica, guidata da Tomáš G. Masaryk, non ritenne opportuno ripristinare uno dei principali simboli del vecchio potere, sebbene distrutto illegalmente.

La Cecoslovacchia indipendente accolse finalmente alcuni dei discendenti degli esuli della Montagna Bianca mentre una nuova ondata si sarebbe riversata dopo l’espulsione coatta dei cittadini di lingua tedesca nel 1945, anche se il nuovo regime comunista non rappresentò certo un porto sicuro per la loro vocazione religiosa.

Un simbolo che divide

Staroměstké náměstí pareva essersi dimenticata della colonna mariana, fino al 4 giugno di quest’anno quando è stato completato il suo ripristino, sebbene con alcune varianti rispetto al modello originale.

Il sindaco di Praga Zdeněk Hřib, eletto nel 2018 nelle file del Partito Pirata ceco (caratterizzato per una politica liberale e innovativa), era personalmente contrario, così come gran parte del suo elettorato. A gennaio del 2020, però, il consiglio comunale ha votato a favore di una petizione di iniziativa popolare che ne chiedeva la ricostruzione e che aveva raccolto 3048 firme, a fronte delle 1048 di un’altra contraria.

I lavori sono iniziati il 17 febbraio e si sono conclusi appunto il 4 giugno, suscitando molte perplessità e pochi entusiasmi. I più soddisfatti sono stati i partiti conservatori di destra e centro-destra, vicini al cardinale Dominik Duka e all’area ultraconservatrice della Chiesa cattolica, osteggiata però dalla gran parte dei praghesi.

Probabilmente, se molti di loro avessero preso sul serio la possibilità del ripristino della colonna mariana, avrebbero fatto sentire con più forza e per tempo la loro contrarietà. A cose fatte rimane lo scontento dei massimi esperti nel campo dell’arte e dell’urbanistica, avversi al ripristino della colonna, ma soprattutto alla realizzazione di una copia non conforme all’originale. Non ne sono felici i cattolici moderati che non solo non necessitano di monumenti per confermare la propria fede e non apprezzano la commistione fra simboli spirituali e del potere secolare, ma guardano con diffidenza a un simbolo che non contribuisce alla tolleranza, essendo osteggiato dalla maggioranza dei cittadini. Poco o nulla dirà ai turisti che esprimeranno più stupore che sincera curiosità.

Chi si gioverà pertanto di questo monumento nel cuore della città vecchia? A parte i nostalgici di un passato mitizzato, saranno sicuramente le varie forze politiche a trarne linfa per rinfocolare le polemiche e le diatribe in atto da tempo.

Chi è Donatella Sasso

Laureata in Filosofia con indirizzo storico presso l’Università di Torino. Dal 2007 svolge attività di ricerca e coordinamento culturale presso l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino. Iscritta dal 2011 all’ordine dei giornalisti. Nel 2014, insieme a Krystyna Jaworska, ha curato la mostra Solidarność nei documenti della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano. Alcune fra le sue ultime pubblicazioni sono: "La guerra in Bosnia in P. Barberis" (a cura di), "Il filo di Arianna" (Mercurio 2009); "Milena, la terribile ragazza di Praga" (Effatà 2014); "A fianco di Solidarność. L’attività di sostegno al sindacato polacco nel Nord Italia" (1981-1989), «Quaderni della Fondazione Romana Marchesa J.S. Umiastowska», vol. XII, 2014.

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