disastro Norilsk

RUSSIA: Norilsk, un disastro evitabile

Lo scorso 29 maggio, nella città siberiana di Norilsk, è esplosa una cisterna di carburante che ha inondato le acque del fiume Ambarnaja di inquinanti chimici.

Ricostruzione ed escalation

Secondo le ricostruzioni più recenti e attendibili, alle ore 12:55 del 29 maggio, il serbatoio 5 della centrale termoelettrica TEK-3 – gestito dalla NTEK (Norlsk-Tajmir Energy Company), sussidiaria del colosso Norilsk Nickel – sarebbe collassato a causa del prematuro scioglimento del permafrost dovuto alle anomale temperature dello scorso inverno.

Così, oltre 21 mila tonnellate di carburante diesel hanno immediatamente inondato le acque del fiume Ambarnaja; di queste, circa 6 mila sarebbero penetrate nel terreno, ormai irrimediabilmente contaminato. Al 3 giugno, secondo una stima del Servizio Federale per la Supervisione delle Risorse Naturali (Rosprirodnadzor), la concentrazione di sostanze tossiche nel sistema fluviale del Barn era infatti decine di migliaia di volte più alta della norma.

Le altre 15 mila tonnellate di carburante si sarebbero invece riversate nel sistema fluviale del Daldykan, affluente del Barn e dunque del lago Pjasino, in prossimità del quale il carburante fuoriuscito si troverebbe al momento.

La situazione è dunque preoccupante non solo perché, come dichiarato dal responsabile russo per il WWF Aleksej Knižnikov, molte componenti del diesel (come benzene, toluene, xilene ed etilbenzene) potrebbero facilmente sciogliersi nel lago – rendendone inoltre impossibile la rimozione –, ma anche e soprattutto perché, qualora la marea rossa di carburante riuscisse a oltrepassare le barriere costruite intorno al lago, il carburante correrebbe l’enorme rischio di defluire nel Mare di Kara, porzione meridionale del Mar Glaciale Artico, già gravemente compromesso dalle scorie nucleari in epoca sovietica.

Arctic Circle oil spill ESA22056844

L’evoluzione della situazione del fiume Ambarnaya elaborata da
Copernicus Sentinel 2 della Agenzia Spaziale Europea (ESA)

Un disastro evitabile?

Secondo i media russi, la compagnia di Potanin era già stata avvisata svariate volte dagli organi statali della necessità di restaurare gli impianti della centrale.

Già nel 2014, infatti, l’Agenzia federale per la supervisione ecologica, tecnologica e nucleare (Rostechnadzor) aveva imposto a NTEK di rivestire le superfici e le murature degli impianti produttivi della centrale con nuovi liquidi anticorrosivi entro la fine dell’anno. Inoltre, nell’ottobre del 2016, la sussidiaria di Norilsk Nickel era stata incaricata di effettuare delle ispezioni per accertare lo stato del fondo dei serbatoi.

Nonostante le ripetute ingiunzioni dal governo, la Norilsk-Taimyr Energy Company non avrebbe dunque ottemperato ad alcuno degli ordini ricevuti.

Tempismo (im)perfetto: colpe, ritardi e negligenze

Sebbene l’incidente sia avvenuto il 29 maggio, le autorità centrali – secondo quanto riferito dal ministro per le Emergenze, Evgenij Ziničev – sarebbero state avvisate soltanto due giorni dopo.

Comunicazione tuttavia non corrisponde sempre con collaborazione, tanto che il primo giugno Svetlana Radionova, direttore del Rosprirodnadzor, ha denunciato che lo stesso giorno la sicurezza della CHPP-NTEK avrebbe impedito l’accesso al sito del disastro ai dipendenti del dipartimento del Servizio Federale di Enisej. Una volta sommati, i molteplici ritardi e la persistente inottemperanza della NTEK e delle autorità locali hanno fatto slittare la proclamazione dello stato d’emergenza nel soggetto federale di Norilsk al 3 giugno.

Inoltre, nonostante i piani del governo prevedessero la tempestiva azione di una task-force congiunta con Gazprom, gli unici ad intervenire in loco nei primi giorni sono stati i soccorritori marini di Murmansk, alle dipendenze delle stesse NTEK e Norilsk Nickel.

In due videoconferenze, tenutesi a cavallo tra il 4 e il 5 giugno, Putin avrebbe poi accusato pubblicamente Vladimir Potanin, presidente di Norilsk Nickel – compagnia leader mondiale nella produzione di palladio, rame, platino e, per l’appunto, nickel – e oligarca con legami importanti tra gli alti vertici della politica russa di negligenza.

Nello specifico, il presidente avrebbe denunciato lo scarso tempismo nel comunicare lo sversamento di carburante, fattore principale nella catastrofica escalation dell’emergenza, e ha garantito che una buona parte delle spese per la task force peseranno sui bilanci della sua compagnia. Alla voce delle spese della compagnia – che dalla sua, si è già impegnata a garantire circa 145 milioni di dollari per la bonifica – si aggiungeranno ovviamente cospicue (ma ancora nebulose) multe federali.

L’accertamento delle responsabilità: la scure della procura

Sorprendentemente, il primo a cadere sotto la scure della procura è stato il sindaco della città di Norilsk, Rinat Achmetčin, accusato il primo giugno di ripetute negligenze nella gestione dell’emergenza. Secondo gli investigatori il primo cittadino, oltre a prendere decisioni tardive e non adeguate a far fronte al disastro ambientale, avrebbe ulteriormente attardato le comunicazioni con le autorità federali e centrali.

Lo scorso 10 giugno, altre tre persone sono inoltre state messe in stato di fermo preventivo per la violazione delle norme federali sulla protezione dell’ambiente: Pavel Smirnov, direttore della CHPP-3 (poi arrestato il giorno seguente), Aleksej Stepanov, capo-ingegnere della centrale TEK-3, e il suo vice Jurij Kuznetsov. Vjačeslav Starostin, dipendente della NTEK JSC e addetto al controllo delle turbine dell’impianto CHHP-3, è invece stato arrestato.

L’ufficio del procuratore generale russo, che ha aperto un’inchiesta per indagare sulle responsabilità del disastro ambientale, ha infine individuato tre capi d’accusa: violazione delle regole sulla protezione ambientale durante il lavoro, inquinamento dei corsi d’acqua, danneggiamento ai terreni (articoli 246 e 250 del codice penale russo). Inoltre, il Comitato Investigativo della Federazione Russa ha avviato un’inchiesta per un ulteriore capo d’imputazione: negligenza nell’informare le autorità centrali dell’accaduto (articolo 293 dello stesso codice).

La conta dei danni: conseguenze economiche e catastrofe ambientale

L’entità dei danni è incommensurabile. Basti pensare che recentemente, Greenpeace ha definito la catastrofe del 29 maggio “il più grave disastro ambientale di sempre nell’Artico”, paragonandola alla catastrofe Exxon Valdez del 1989.

Per comprenderne meglio la portata, basti pensare che il Servizio Federale per la Supervisione delle Risorse Naturali, tramite le parole del vice-direttore Oleg Mitvol, ha stimato i danni economici del disastro di Norilsk  in circa 100 bilioni di rubli, mentre quelli ambientali in almeno 5-10 anni di bonifica, e questo nella migliore delle ipotesi.

Sorgono tuttavia perplessità sull’effettiva riuscita dei progetti di contenimento dei danni pianificati dal governo, che per ora si propongono di limitare l’espansione a macchia d’olio del carburante tramite i mezzi industriali di Gazprom e di altri impianti della Siberia settentrionale. La decisione del procuratore generale russo di revisionare tutti i siti a rischio costruiti sul permafrost artico, comunicata a seguito della proclamazione dello stato d’emergenza, ci spinge a sperare che almeno questa volta si passi dalle parole ai fatti e si decida di tutelare davvero i precari equilibri naturali della regione artica.

 

Immagine: nytimes

Chi è Guglielmo Migliori

Bolognese classe 1996, laureato in Relazioni Internazionali e Studi Est-Europei con un focus sulla sicurezza energetica. Ha studiato a Bologna, Maastricht, Mosca, e San Pietroburgo. Dopo aver lavorato a Belgrado nel settore commerciale, si è trasferito a Vienna per lavorare nel campo delle relazioni internazionali e della sicurezza energetica.

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