Sono passati sei anni dalla morte di Andrea Rocchelli, fotoreporter di Pavia, e Andrej Mironov, cittadino russo, giornalista ed ex-dissidente sovietico, uccisi il 24 maggio 2014 mentre documentavano il conflitto nel Donbass, in Ucraina orientale. Un bombardamento nei pressi della cittadina di Slovjansk, nel nord dell’oblast’ di Donetsk, a quel tempo controllata dai ribelli filorussi e assediata dall’esercito ucraino, sarebbe stato all’origine della morte dei due giornalisti e del ferimento del fotografo francese William Roguelon, che li accompagnava.
Come dimostrano i dati dell’organizzazione Committee to Protect Journalists, l’impunità regna nella stragrande maggioranza (86%) dei casi di giornalisti che sono morti svolgendo il proprio lavoro negli ultimi 10 anni. Nel caso di Rocchelli e Mironov, però, la giustizia italiana ritiene di aver identificato un colpevole: un soldato della Guardia nazionale ucraina dalla doppia cittadinanza italiana e ucraina, Vitaly Markiv, che nel luglio 2019 è stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere dal tribunale di Pavia.
Eppure, la responsabilità di Markiv, così come le circostanze che hanno portato alla morte dei due giornalisti a Slovjansk, rimangono ancora avvolte da numerosi dubbi e incertezze. Come raccontato in maniera molto dettagliata dalla testata Il Post, il processo a Markiv si è basato principalmente su prove indiziarie e una metodologia dubbiosa da parte degli inquirenti, e si è svolto in un’atmosfera che molti hanno definito “inquinata” dalla guerra di propaganda tra Russia, Ucraina e i loro alleati.
In questi giorni, un team internazionale di giornalisti indipendenti sta ultimando un documentario-inchiesta intitolato The Wrong Place (Il posto sbagliato), con lo scopo di fare ulteriore chiarezza sulla morte di Rocchelli e Mironov e sulla vicenda giudiziaria che coinvolge Vitaly Markiv. Ne fanno parte l’ucraina Olga Tokariuk e gli italiani Cristiano Tinazzi, Danilo Elia e Ruben Lagattolla. Dopo aver completato con successo una campagna di crowdfunding destinata a finanziare la produzione, la post-produzione e la distribuzione del film, lo scorso 28 maggio il progetto ha anche ricevuto il sostegno di Justice for Journalists, una fondazione con sede a Londra che si occupa di indagini internazionali sui crimini contro i giornalisti.
Come racconta Cristiano Tinazzi, giornalista esperto in aree di crisi intervistato a febbraio da Kiosk, il punto di partenza del documentario sono le carte utilizzate dall’accusa durante il processo. Contrariamente agli inquirenti italiani, che non si sono mai recati in Ucraina, i giornalisti di The Wrong Place hanno voluto ricostruire le dinamiche che hanno portato alla morte di Rocchelli e Mironov sul luogo dei fatti, inclusa la collina di Karačun, dove si trovava la Guardia nazionale ucraina, e la trincea nella quale Markiv era stato identificato attraverso alcuni video utilizzati dall’accusa. Oltre ad un’indagine di tipo giornalistico, basata sulla ricerca dei testimoni (alcuni dei quali non rintracciati dalla procura di Pavia), The Wrong Place si fonda anche su una combinazione di diversi metodi scientifici, come l’aerofotogrammetria, la mappatura 3D, dei test di visibilità e di tiro.
Tinazzi sostiene che il lavoro svolto “ha fornito un quadro che è totalmente differente da quanto è stato ricostruito in fase processuale“. Quello che è venuto fuori non porta a chiarire definitivamente cosa sia successo, né di chi è la responsabilità, ma fa luce su alcuni fatti che, secondo il co-autore di The Wrong Place, dovranno costituire il punto di partenza per nuove inchieste. “Per me è importante che la memoria e la dignità dei colleghi che sono morti venga ristabilita col non cercare a tutti i costi un colpevole se un colpevole non c’è; e se c’è un colpevole, col trovare quello giusto“, spiega Tinazzi.
Nel frattempo, il processo d’appello a Vitaly Markiv, che doveva tenersi ad aprile, è stato rimandato a causa della pandemia di coronavirus e si svolgerà probabilmente dopo l’estate.
La storia di Rocchelli e Mironov, e del documentario The Wrong Place, parla di guerra e di ricerca della verità. Ma è anche una storia che parla dei rischi associati al mestiere di giornalista in aree di conflitto: “Quello che è successo a Rocchelli e Mironov poteva succedere a chiunque, ed è già successo a molti giornalisti. Purtroppo i freelance sono coloro che rischiano più di tutti per portare a casa il lavoro, per portare a casa la fotografia giusta“, spiega Cristiano Tinazzi. “Spesso c’è un totale disinteresse da parte degli editori e degli organi che dovrebbero difendere gli interessi dei giornalisti nel voler garantire la minima sicurezza ai propri collaboratori. E’ importante dare una mano ai giornalisti freelance, cercare di formarli e soprattutto cercare di garantire loro un giusto compenso per il lavoro che fanno“.
Ascolta l’intervista a Cristiano Tinazzi su Kiosk – Voci e idee da luoghi non comuni, trasmissione di Radio Beckwith condotta da Maria Baldovin, Laura Luciani, Marco Magnano, Alfredo Sasso e Simone Zopellaro.
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Foto: The Wrong Place