Il simbolo dell'Armia Krajowa.

La Resistenza polacca, una memoria manipolata

La memoria della Resistenza contro il nazismo in Polonia è, pur a distanza di decenni, una questione ancora complicata. E lo è sostanzialmente per due motivi: l’effettiva complessità delle forze in campo, dei fronti contrapposti e della pluralità di nemici che i polacchi si trovarono a fronteggiare in quegli anni; e l’uso strumentale che sia il regime comunista sia i governi successivi hanno fatto degli eventi, a scapito di una valutazione il più possibile oggettiva del fenomeno.

Nel 1939 i polacchi subirono l’occupazione della zona occidentale del proprio Paese da parte dei tedeschi, che arrivarono a controllare la capitale. Poche settimane dopo i sovietici occuparono la parte orientale della Polonia. Dunque fino al 1941 la Resistenza polacca, organizzata in massima parte dal governo in esilio a Londra, fronteggiò due nemici, finché la Germania nazista non invase l’URSS avanzando verso est. A questo punto gli sforzi della resistenza polacca, varie formazioni nazionaliste e socialiste unite sotto le insegne dell’Armia Krajowa (Esercito Nazionale) a partire dal 1942, si concentrarono nella lotta contro i nazisti, che culminò con la rivolta di Varsavia del 1944, dalla quale l’Armia Krajowa uscì decimata. L’Armia Krajowa, stremata, si sciolse nel 1945, anche se alcune unità continuarono autonomamente a combattere i sovietici negli anni dell’instaurazione del comunismo.

Fin dai tempi del regime, e soprattutto negli ultimi anni ad opera del partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS), si è affermata e sempre più rafforzata una narrazione del fenomeno resistenziale polacco estremamente vittimista e unilaterale, con l’esaltazione del ruolo storico della “piccola Polonia”, schiacciata dai due giganti vicini, la Germania e la Russia. Una retorica che, come potete immaginare, viene molto utile in questi anni di contrapposizione all’UE a guida tedesca e alla Russia di Putin. E poi minimizzazione del ruolo dei polacchi collaborazionisti, e a volte negazione dell’esistenza stessa del fenomeno; deresponsabilizzazione del popolo polacco a proposito della Shoah; negazione dell’esistenza di pogrom antiebraici che accompagnarono l’avanzata tedesca, esaltazione dell’Armia Krajowa come unica forza della Resistenza polacca. Questa narrazione, anche se in misura più edulcorata e strisciante, è presente anche in ampi settori di Piattaforma Civica (PO), il principale partito di opposizione, su posizioni liberalconservatrici.

La Gwardia Ludowa e i collaborazionisti dei nazisti

Un aspetto della manipolazione della memoria della Resistenza riguarda il ruolo dei comunisti in quegli avvenimenti. In particolare i vertici governativi tendono a minimizzare il ruolo della Gwardia Ludowa (Guardia del Popolo), poi rinominata Armia Ludowa (Armata del popolo), come venivano chiamate le cellule della guerriglia comunista attive soprattutto nella zona orientale del paese e che diedero un importante contributo di appoggio logistico alle brigate ebraiche durante la rivolta del ghetto di Varsavia. La minimizzazione del ruolo di queste formazioni, che pure furono di grandezza molto più ridotta rispetto all’Armia Krajowa, è naturalmente politica: i leader del partito Diritto e Giustizia faticano a includere i partigiani comunisti nel novero dei combattenti per la libertà contro il nazismo, perché quegli stessi partigiani andarono poi a formare dopo il 1945 il nerbo della Milicja Obywatelska (Milizia dei Cittadini), le forze di polizia fedeli al regime comunista e all’Unione Sovietica, da cui furono dipendenti anche durante la guerra.

Un secondo aspetto è la negazione dell’esistenza di collaborazionisti polacchi e la loro esaltazione come eroi nazionali nella lotta contro il comunismo. Addirittura due anni fa Mateusz Morawiecki, Presidente del Consiglio e membro di Diritto e Giustizia, ha reso onore ai caduti della Brigata Santacroce (Brigata Świętokrzyska), sepolti in un piccolo cimitero della Baviera, in terra tedesca. La Brigata Santacroce, però, fu una formazione legata all’estrema destra polacca, nata per combattere l’occupazione sovietica, che dopo il 1941 in nome di un feroce antisemitismo si occupò soprattutto di combattere le formazioni ebraiche che guidavano la guerriglia partigiana in alcune zone del Paese, fino ad arrivare a godere dell’appoggio dell’esercito tedesco e a seguirlo nella ritirata davanti all’avanzata sovietica. Un atto, quello di Mateusz Morawiecki, duramente criticato dallo storico Andrzei Friszke, professore all’Università di Varsavia e noto intellettuale di area cattolica.

Armia Krajowa e antisemitismo

Sulla questione dell’antisemitismo di ampi settori della società polacca dell’epoca è necessario fare alcune precisazioni. Da un lato è innegabile che moltissimi polacchi aiutarono la popolazione di origine ebraica a salvarsi dagli orrori dei campi di concentramento: i Giusti fra le Nazioni di nazionalità polacca sono il gruppo più numeroso in assoluto, anche perché in Polonia si concentrò il maggior numero di campi di sterminio. Inoltre non possiamo dimenticare che i polacchi persero circa un quarto della propria popolazione totale durante la guerra, oltre sei milioni di individui, la metà dei quali di origine ebraica.

Ma allo stesso tempo un settore della società approfittò della situazione di guerra e occupazione tedesca per compiere veri e propri pogrom ai danni degli ebrei: un esempio su tutti è il massacro del villaggio di Jedwabne, dove nel 1941 la popolazione polacca massacrò centinaia di ebrei, gettando gli uomini in una fossa comune e bruciando i corpi di donne e bambini nel fienile. Anche per quanto riguarda i partigiani polacchi, da un lato l’Armia Krajowa non ebbe mai un atteggiamento complessivo antisemita e anzi in molte occasioni lottò al fianco delle formazioni della resistenza ebraica dentro e fuori dai ghetti delle città polacche. Ma è innegabile che alcuni settori dell’Armia Krajowa, in particolare quelli legati alle formazioni più nazionaliste, avessero dei forti pregiudizi nei confronti degli ebrei tanto che in alcune occasioni, non ultima la rivolta del ghetto di Varsavia, si rifiutarono di fornire armi e munizioni alle formazioni ebraiche.

Infine, è innegabile che l’antisemitismo fosse una caratteristica del pensiero di alcuni settori della popolazione polacca anche prima della Seconda Guerra mondiale. Pregiudizi che rimasero anche dopo l’instaurazione del regime comunista: è noto che, per screditare i leader del Sessantotto polacco, le autorità comuniste organizzarono la milizia operaia per fronteggiare un inesistente “complotto giudaico” contro lo Stato. Un antisemitismo che peraltro è diffuso ancora oggi nella società e tra i ranghi di Diritto e Giustizia, come hanno dimostrato anche avvenimenti molto recenti. Un problema con il quale forse la Polonia dovrebbe fare definitivamente i conti anche attraverso una analisi più equilibrata del fenomeno resistenziale.

Chi è Davide Longo

Nato nel 1992, vivo e lavoro a Varese. Sono laureato in Scienze Storiche all'Università degli Studi di Milano, ho studiato lingua e cultura cinese e ho trascorso un periodo di studio all'Università di HangZhou, Zhejiang, Repubblica Popolare Cinese. Oggi sono docente di Italiano e Storia nella scuola secondaria di primo grado. Appassionato di storia e politica sia dell'Estremo Oriente, sia dei Paesi dell'ex blocco orientale, per East Journal scrivo di Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, senza disdegnare i Balcani (concepiti nel senso più ampio possibile). Ho scritto per The Vision e Il Caffé Geopolitico e sono autore di due romanzi noir: Il corpo del gatto (Leucotea, 2017) e Un nido di vespe (Fratelli Frilli, 2019).

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