Scontri tra la polizia e gli abitanti di Lesbo, 26 febbraio 2020. Foto: AFP.

GRECIA: Lesbo e Chios al centro di una nuova crisi umanitaria e civile

La scorsa settimana ha visto la regione dell’Egeo nord-orientale trasformarsi nel fulcro di una nuova stagione di crisi nella gestione dei flussi migratori. Lo spettro dell’estate calda del 2015, che vide in particolare Lesbo e Chios in prima linea nell’accoglienza dei richiedenti asilo provenienti dalla Turchia, ha trasformato le due isole in teatro di disordini e violenze che hanno visto coinvolti abitanti, forze dell’ordine, migranti, volontari e giornalisti. Il precipitare degli eventi ha permesso di aprire uno squarcio sulla gestione fallimentare della questione migratoria e sullo scomodo ruolo delle isole greche, terre di confine dell’Unione europea e, loro malgrado, guardiane dello spazio Schengen.

L’antefatto: la linea dura del governo contro gli isolani

A Lesbo e Chios la “crisi migratoria” in realtà non si è mai conclusa, anche dopo che si sono allontanati i riflettori dei giornali internazionali. Sin dal 2015, le due isole, distanti poche miglia dalla costa turca, sono state i punti di snodo principali della rotta migratoria nel Mediterraneo orientale. Le strutture di accoglienza sono da tempo al collasso e inadatte a ospitare oltre 30mila migranti (38mila, includendo Samos e Kos), sospesi nel limbo burocratico delle procedure di richiesta d’asilo e di espulsione. Nonostante il controverso accordo tra UE e Turchia del 2016 abbia ridotto sensibilmente la frequenza e l’intensità degli sbarchi, gli arrivi dalla costa antistante sono continuati fino ad oggi, andando ad alimentare le fila degli ospiti nelle tendopoli di Moria e Vial.

Alla recente decisione del governo greco di confiscare terreni privati per far posto a nuovi centri di detenzione per migranti, sono seguite le rivolte degli isolani, che hanno raccolto un sostegno politico trasversale e sono culminate in uno sciopero generale. Tra martedì 25 e mercoledì 26 febbraio, sono state inviate da Atene decine di squadre dei MAT, il corpo speciale della polizia greca, per impedire l’occupazione della zona adibita alla costruzione delle strutture di detenzione e contenere le proteste.

L’arrivo sull’isola del contingente, attrezzato di veicoli corazzati e altri dispositivi antisommossa, ha contribuito ad alzare il livello della tensione, culminata martedì sera a Chios in un assalto di un gruppo di cittadini all’albergo dove risiedevano le forze dell’ordine. La rappresaglia non si è fatta attendere: il giorno seguente i MAT hanno messo a ferro e fuoco le due isole, lasciando dietro di sé 60 feriti e veicoli distrutti, prima di battere in ritirata su ordine del governo.

Sullo sfondo, lo scontro politico sempre più acceso sul futuro delle isole, che vede su fronti contrapposti le autorità locali e l’esecutivo di Kyriakos Mitsotakis (Nea Dimokratia, centro-destra). Il primo ministro ha derubricato le proteste come frutto di istigazioni da parte dei turchi, con cui i rapporti restano tesi anche alla luce dei recenti tentativi di ridefinire i confini marittimi da parte del presidente Erdogan. La strategia di Mitsotakis di deviare l’attenzione dalle proteste ha suscitato ulteriore sdegno tra gli isolani, a cui ha dato voce, tra gli altri, il governatore regionale dell’Egeo Settentrionale Kostas Moutzouris (Nea Dimoktratia), prendendo di mira l’esecutivo e l’Unione Europa.

Sulla questione si è espresso il commissario greco per la “Promozione del nostro stile di vita europeo” Margaritis Schinas, sgomberando il campo da eventuali responsabilità della Commissione Europea nella scelta di adibire le isole a hotspot e bloccare i trasferimenti di richiedenti asilo sulla terraferma. Lo smarcamento del commissario ha generato qualche imbarazzo tra le fila del governo greco che, in seguito alla vittoria schiacciante sulla sinistra di Tsipras conseguita nelle elezioni politiche dell’estate scorsa, aveva promesso una gestione più ordinata del flusso migratorio. In realtà, la linea della fermezza di Mitsotakis, più che segnare una svolta, ha sostanzialmente confermato lo status quo, relegando le isole a zone cuscinetto permanenti.

Il ritorno della “crisi” e il tabù di Dublino

L’attacco degli eserciti siriano e russo alle truppe turche di stanza a Idlib, in Siria, ha mutato radicalmente lo scenario. Con il pretesto di non poter gestire un nuovo massiccio afflusso di migranti dalla Siria, il presidente turco Erdogan ha espresso l’intenzione di aprire i confini con la Grecia e di interrompere le operazioni di ricerca e soccorso della guardia costiera.

L’attenzione mediatica si è concentrata intorno al fiume Evros, che segna il confine terrestre tra Turchia e Grecia del nord: in questo momento diverse migliaia di migranti sono ammassate alla frontiera, dove la polizia greca è schierata per impedire con la forza ogni tentativo di accesso. Secondo fonti turche oltre 70mila persone avrebbero già varcato il confine: la notizia è stata smentita dalle autorità greche, che invece hanno dichiarato di aver aver respinto oltre 10mila tentativi di ingresso e predisposto l’espulsione di 70 migranti arrestati.

Ma se sulla terraferma la Grecia può fare ricorso a misure straordinarie per sigillare i confini, sulle isole la guardia costiera e Frontex devono fare i conti con l’assenza di cooperazione da parte delle autorità turche, le cui navi di pattuglia sono state ritirate dalla SAR di competenza. Nel corso delle ultime 48 ore si contano 1000 nuovi arrivi tra Lesbo e Chios, un numero destinato a salire vertiginosamente nei prossimi giorni. Contestualmente ai nuovi arrivi si sono verificati episodi di intolleranza sempre più violenti da parte degli abitanti delle isole: il caso più eclatante si è verificato presso il porto di Thermi, a Lesbo, dove un assembramento di cittadini ha impedito l’attracco di un gommone carico di migranti, minacciando chiunque si avvicinasse per prestare soccorso.

Sul fronte politico, l’alto rappresentante dell’UE Josep Borrell ha provato a ricucire lo strappo di Erdogan, richiamando il ministro degli esteri turco agli impegni presi con la controversa Dichiarazione UE-Turchia del 7 marzo 2016. Contestualmente, tutta la dirigenza europea si è espressa a sostegno del governo di Mitsotakis contro la violazione delle frontiere esterne – inclusi gli alleati politici del PPE, Weber e Tajani, e i presidenti della Commissione e del Consiglio Europeo.

Forte dell’appoggio sovranazionale, Mitsotakis ha annunciato di voler respingere ogni tentativo di ingresso irregolare e sospendere le procedure di asilo per un mese, venendo meno agli obblighi previsti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Infine, su richiesta del ministro degli esteri greco Nikos Dendias, Borrell ha convocato per mercoledì 4 marzo una riunione straordinaria del Consiglio degli Affari Esteri, mentre Schinas prepara un analogo incontro con i ministri degli interni europei.

Con l’agenda europea incentrata sulla protezione delle confini esterni, il convitato di pietra resta il Regolamento di Dublino, la cui riforma, già approvata nella scorsa legislatura dal Parlamento e lasciata in sospeso dal Consiglio, permetterebbe di superare il criterio del “paese di primo accesso” e, attraverso la redistribuzione dei richiedenti asilo, ridurre la pressione migratoria sulle isole greche.

Media e società civile sotto ricatto

Gli eventi di questa settimana mostrano un ulteriore cambio di passo nelle dinamiche politiche dell’isola e più in generale del paese: la prima vittima della spirale di tensione è infatti la libertà di stampa. Nei primi giorni segnati dagli scontri, reporter locali e corrispondenti internazionali hanno dovuto supplire alla quasi assente copertura mediatica da parte dei media nazionali, inclusa la tv pubblica ERT. Gruppi di estrema destra, che dal fine settimana assunto il controllo di alcune arterie stradali a Lesbo organizzando posti di blocco, hanno preso di mira i giornalisti con attacchi e spedizioni punitive, rendendo la cronaca della crisi civile e umanitaria particolarmente pericolosa.

Negli ultimi giorni, infine, account e testate online affiliate all’estrema destra greca hanno contribuito alla diffusione virale sul web di contenuti che associano i migranti ammassati al confine nord di Evros al terrorismo jihadista: il fenomeno ha generato ulteriori spinte islamofobe tra gli isolani, che hanno iniziato a prendere di mira i migranti nonché i volontari impegnati nelle operazioni di soccorso e prima assistenza, con l’assenso delle forze dell’ordine.

La strategia di criminalizzazione dei richiedenti asilo ha contribuito ad alimentare la diffidenza nei confronti degli vicini turchi, accusati di aver architettato una vera e propria “invasione” della Grecia: di conseguenza, la narrativa della “crisi” è tornata a dominare il dibattito pubblico, portando i cittadini a giustificare qualunque misura d’emergenza presa dal governo. In assenza della volontà politica di affrontare internamente e a livello europeo la gestione dei flussi migratori, a farne le spese sono ancora una volta le isole, il cui ruolo di contenimento sarà difficilmente messo in discussione nella prossima fase politica.

Chi è Giulio Gipsy Crespi

Diplomato in relazioni internazionali al Collegio d'Europa di Bruges, esperto in affari europei, commercio internazionale e politiche migratorie. Per East Journal si occupa di Grecia e Balcani occidentali.

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