CULTURA: Quando la musica russa amava il mondo LGBT

Nella Russia di oggi l’eteronormatività e il terrore per la visibilità pubblica dell’omo-bi-transessualità sono un pilastro dello status quo propagandato dalla politica ufficiale. La situazione, tuttavia, non è sempre stata così. In un periodo breve e intensissimo, dagli anni Novanta alla prima metà degli anni Duemila, la neonata federazione si ritrovò, infatti, al centro di un’esplosione di libertà. Libertà in campo politico, sociale, artistico. Scrollatasi di dosso l’immobilismo dell’ufficialità sovietica, anche la cultura pop russa fece proprio lo spirito trasgressivo di quei tempi nuovi. L’attenzione del pubblico di massa fu dirottata verso temi prima inesplorati, come il sesso e l’omosessualità, finalmente depenalizzata nel 1993.

Il singolo trasgressivamente omoerotico che scalò le classifiche nazionali (e non)

Nel 2003, la band Tatu si guadagnò il terzo posto al concorso musicale dell’Eurovision, divenendo, anche all’estero, uno dei simboli della cultura pop russa. Tre anni prima, le due componenti del gruppo, Julija Volkova e Lena Katina, avevano scalato le classifiche musicali del paese con il singolo Ja sošla s uma (Sono andata fuori di testa). Nel videoclip realizzato per il brano, le due cantanti allora quindicenni si scambiavano dei baci passionali di fronte agli sguardi fissi di alcuni passanti. Nella Russia del 2000 era stato un successo clamoroso.

Il produttore Ivan Šapovalov e il compositore Aleksandr Vojtinskij avevano plasmato l’immagine commerciale delle Tatu trasformando le giovani cantanti in due trasgressive teenager lesbiche. All’omosessualità veniva poi affiancata la vena teppista: Julija e Lena si esibivano senza timori in biancheria intima e amavano infarcire di parolacce i testi delle proprie canzoni. Paradossalmente, il pubblico russo di quegli anni non percepì quest’immagine come una sorpresa sconvolgente. Fu ad occidente – in Inghilterra, ad esempio – che si levarono le critiche più dure alle Tatu, ree di “propagandare la pedofilia”. Proprio in Inghilterra, agli inizi del 2003, il singolo Ja sošla s uma aveva raggiunto il primo posto delle classifiche nazionali, conferendo alle due adolescenti un successo internazionale che nessun altro fenomeno pop russo aveva mai potuto immaginare.

L’aura pop ed economicamente trainante dell’estetica queer

All’indomani del crollo dell’Urss, la cultura di massa russa si era aperta con brama ad ogni possibile declinazione del nuovo. Alcuni gruppi musicali decisero, così, di traghettare l’estetica queer all’interno delle proprie canzoni e video musicali. Gli obiettivi di queste operazioni furono per lo più artistici e commerciali; a mancare, invece, era una reale volontà di rivendicazione politica e sociale. In un periodo storico in cui tutto, a livello espressivo, sembrava essere concesso, si voleva provocare il pubblico, sbalordirlo, attirarlo facendo leva su un’emozionalità prima d’allora – e, successivamente – inesplorata. Gli ex cittadini sovietici reagirono con entusiasmo a queste proposte, interpretandole come un mero dato artistico e senza intravedere in esse modelli negativi o minacce per la moralità.

Nel 2002, in Russia, i bambini potevano tranquillamente vedere in prima serata degli uomini seminudi con in testa delle parrucche da donna senza temere che i genitori cambiassero bruscamente canale. Proprio in quell’anno, infatti, uscì il famoso video musicale di un altro gruppo cult del momento: si trattava di On tebja celuet (Lui ti bacia) dei Ruki Vverch, un po’ tutorial di make-up per drag queen, un po’ storia d’amore omosessuale. Il video giocava sugli equivoci del travestitismo, catapultando nelle notti dei club moscoviti una coppia apparentemente eterosessuale. Solo a quel punto diventava chiaro come sotto la metà femminile del duo si nascondesse, in realtà, un uomo.
Assieme alle Tatu e ai Ruki Vverch, altri gruppi e artisti di quegli anni – i Gosti iz buduščego, Šura, Boris Moiseev, Nikita – presentarono all’interno della propria musica temi ed esperienze artistiche legati al mondo LGBT.

Una libertà espressiva indubbia, ma superficiale

Oggi, riguardando su YouTube questi videoclip dei tempi andati, migliaia di utenti rimangono increduli di fronte a un passato così vicino e paradossalmente libero. C’è chi, come il giornalista Andrej Konjaev, ha definito questi reperti musical-videografici “lo specchio delle libertà che sono andate perdute”.

Nella Russia di allora, tuttavia, quasi nessuno conferì un significato più profondo a ciò che veniva presentato come un semplice prodotto commerciale. L’ondata di libertà artistica degli anni Novanta e dei primi anni Duemila si limitò a trasformare, per qualche tempo, l’estetica queer in un fenomeno di costume, ma non fu accompagnata da un reale cambiamento della mentalità e del mondo della politica nei confronti delle persone LGBT. Risvegliatisi dall’ebbrezza di quegli anni, molti russi vollero negare e dimenticare ciò che avevano visto e ascoltato o, peggio ancora, realizzato. Nel 2017, ad esempio, l’ex solista dei Ruki Vverch, Sergej Žukov, si scusò pubblicamente per il videoclip di On tebja celuet. La cultura pop russa seguiva inesorabilmente le sorti della politica.

Foto: life.ru

 

Chi è Andrea Zoller

Linguista in erba. Sangue trentino, anima slava. Muovendosi tra Mitteleuropa, Caucaso e Russie, insegna italiano e scrive su East Journal. E vi racconta di chiese, moschee e mondo queer, con un occhio di riguardo per il suo paese d'elezione: la Russia.

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