L’Europa orientale ha perso la magia…ma non per noi

L’est Europa ha perso la sua magia. Il che, pronunciato da un giornale che si occupa quotidianamente dell’area, può risultare ancor più catastrofico. Ma la cosa sembra assodata; i Balcani e la Mitteleuropa stanno lentamente perdendo quell’aura di magico esotismo che decenni di comunismo e brutali guerre etniche avevano regalato loro. Stanno diventando “normali”, quotidianità spicciola, buon vicinato. Il pubblico italiano sta iniziando ad assuefarsi a luoghi che ormai frequenta usualmente, per lavoro o per piacere, e inizia a spostare sempre più ad est la sua frontiera dell’avventura. Il Caucaso e l’Asia centrale stanno diventando i Balcani 2.0, l’est degli anni ’20 del 2000.

La vita è una questione di prospettive, e anche in questo caso il fenomeno è soggetto a plurime letture. Degli amici politicamente corretti potrebbero dirci che la perdita di esotismo dell’altra Europa è in realtà una vittoria di tutti; nostra, che abbiamo culturalmente colonizzato la regione, e loro, degli est europei, che nell’89 volevano a tutti costi normalizzarsi (leggi occidentalizzarsi). A noi, tuttavia, il politicamente corretto non piace, è quindi al diavolo la vittoria del nostro modello. Vogliamo riflettere e crogiolarci nel dolore della nostra conquistata normalità; si sa, tutti vogliono essere speciali. Perché è successo?

Da un lato era inevitabile; come può essere misterioso un posto dove puoi recarti soltanto mostrando la carta d’identità? La questione burocratica e logistica è fondamentale: l’est Europa non è più magico perché ormai non è più oscuro. Vittima del turismo di massa, la regione prima visitata soltanto da un mucchio di nostalgici e anime perse che andavano a cercarvi il senso della vita e un palliativo al senso di colpa del benessere, oggi è presa d’assalto da un’umanità caotica, volgare, che spesso rasenta lo squallore, alla ricerca del divertimento a buon mercato.

Ad di là dell’aspetto sociale e turistico, vi è poi un risvolto più accademico-giornalistico. L’università e i media, che spesso si ergono a paladini della pubblica morale, seguono in realtà le stesse tendenze della loro società, e pertanto seguono le mode come l’ultimo dei teenager. Come i ragazzini si stancano di un jeans indossato appena tre volte, perché scavalcato dal nuovo modello, così anche i nostri più fini analisti si stancano del loro oggetto di analisi prima di averlo completamente digerito. I Balcani e l’est Europa sanno di vecchio, e poi si sa, saranno la Cina e l’Iran a determinare i destini mondiali. Dire che la Cina è il centro del mondo equivale ormai all’affermare la morte delle mezze stagioni: sta diventando un cliché che in pochi sono in grado di spiegare nel dettaglio. Però è cool, è moderno: sono i tempi, bellezza. E quindi cascata di analisti e geostrateghi pronti a raccontare le relazioni internazionali come una faida tra wrestlers del Kentucky: “la Cina tiene gli USA per le palle, non bisogna far incazzare la Cina, c’è la Cina dietro tutto questo” (ci piace edulcorare). I Balcani e l’Europa centrale, così in voga fino a vent’anni fa, sono stati abbandonati al loro destino, nonostante non siano mai stati pienamente compresi. Usati come un vecchio jeans, per far sentire alla moda qualche star della penna e della cattedra, e poi lasciati lì, a lavoro incompiuto, per spostarsi verso altri lidi, verso altri pantaloni.

“e allora voi di East Journal, che ci state a fare?”

Caro lettore, sicuramente questa è la domanda che ti stai facendo mentre scrolli svogliatamente dal lucido schermo del tuo smartphone questo soliloquio. Se l’Europa orientale ha perso la magia, perché siete ancora qui, per il decimo anno di fila (ebbene sì, quest’anno tocchiamo il decennio) a parlarcene ogni santo giorno? Per varie ragioni, caro lettore. Per prima cosa perché restiamo delle nostalgiche anime perse che all’est cercavano il senso della vita, ovviamente non trovandolo, e quindi continuiamo a vagare in queste aree cercando di ricavarne qualcosa di intellettualmente soddisfacente. Secondo, perché da buoni nostalgici, rifiutiamo di piegarci ai dettami della moda. La nostra missione di informazione sarà terminata quando l’est Europa diventerà un vero buon vicino, e non una terra di nessuno dove sbronzarsi con pochi spicci. Non getteremo il jeans dei Balcani finché non sarà realmente consumato, finché non ci sarà unanime consenso sul fatto che non sarà più indossabile, finché tutti non avranno finalmente compreso le sue caratteristiche ed il suo spirito. C’è poi un terzo motivo: quando chiedevano all’eminente storico francese Marc Bloch il perché si dovesse studiare la storia, la risposta lasciava spiazzata gli interlocutori. “La storia non ha mai insegnato un bel niente, anche a chi l’ha studiata” diceva Bloch, “pertanto io consiglio di studiarla semplicemente perché è divertente“. Magari non insegneremo mai niente, ma sicuramente la tanto vituperata Europa orientale ci regala storie divertenti ogni giorno. Nel mondo odierno, dedicarsi a qualcosa in virtù del suo essere divertente, senza alcun risvolto pratico o economico, è la sfida più seria in assoluto. 

Foto: the Calvert Journal

Chi è Francesco Magno

Ha conseguito un dottorato di ricerca in storia dell'Europa orientale presso l'università di Trento. E' stato assegnista di ricerca presso la medesima università. Attualmente insegna storia dell'Europa orientale presso l'università di Messina. Si occupa principalmente di storia del sud-est europeo, con un focus specifico su Romania, Moldavia e Bulgaria.

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