“La frontiera”: Un viaggio intorno alla Russia per comprendere il gigante e i suoi vicini

«Sono sempre stata attratta dalla Russia, sin da quando andavo a scuola. Dalla sua cultura, dalla letteratura, dalla storia; soprattutto dal popolo russo, dalla cosiddetta dusha, ovvero l’“anima russa”. Avevo dedicato anni della mia vita a cercare di capire questa terra immensa e le persone che vi abitano. Ora volevo tentare un altro approccio: è possibile capire un paese e un popolo osservandoli dall’esterno, dal punto di vista del vicino o, come in quel momento, dal ponte di una nave?».

Così riflette Erika Fatland mentre compie via nave il passaggio a Nord-Est, tra i ghiacci artici, diretta da Anadyrsk, sulla costa pacifica, a Murmansk, nella penisola di Kola – un viaggio permesso oggi (per gli interessati) dalla neozelandese Heritage Expeditions, ma soprattutto dal rapido scioglimento dei ghiacci nel circolo polare. Il passaggio è tratto dal suo ultimo libro La frontiera. Viaggio intorno alla Russia (p. 54), edito in Italia da Marsilio, così come il precedente Sovietistan. Un viaggio in Asia centrale (2017), più volte richiamato anche in quest’opera.

«Una notte di tre anni e mezzo prima avevo sognato di camminare su una grande carta geografica. Mi muovevo lungo una sinuosa linea rossa, il confine russo. Passavo da un paese all’altro, e a nord e a est c’era sempre l’immensa Russia. Quando mi svegliai capii subito che quello sarebbe stato il mio prossimo libro, un viaggio lungo la frontiera russa, dalla Corea del Nord al nord della Norvegia» (p. 23), paesi che – sottolinea Fatland – in fin dei conti, si trovano separati tra loro da un unico stato, il più vasto al mondo.

Erika Fatland (1983) è oggi considerata tra i migliori giovani autori norvegesi e La frontiera è tra i dieci migliori libri di non-fiction più apprezzati in Scandinavia dal 2000. Nel corso del viaggio, scorrendo le pagine, il lettore conosce poco a poco questa giovane e intraprendente norvegese (la narrazione in prima persona è un classico del racconto di viaggio), abituandosi al suo sguardo e interagendo man mano, attraverso la voce narrante, con i vari personaggi incontrati lungo la strada, che raccontano se stessi e i propri paesi. I paesaggi si denudano, mostrando le proprie cicatrici, la memoria del passato, il rapporto spesso contradditorio con il presente, un timido senso di futuro.

Il viaggio, corredato in ogni sezione da un’utile mappa, si dipana dalla rotta settentrionale artica all’Asia, per poi tornare in Europa. Il Polo si racconta attraverso le storie degli esploratori (e conquistadores dell’epoca zarista) del passato e il disastro ecologico che attanaglia il presente, nella completa noncuranza umana. La Corea del Nord abbaglia con l’inaspettata bellezza dei suoi paesaggi, lontani anni luce dal grigiore delle città avvolte dal culto della personalità del loro leader. In Cina scopriamo la Mosca d’Oriente, la “russa” città di Harbin, ripercorrendo a un tempo la storia dei rapporti russo-cinesi tra incomprensioni linguistiche e accordi commerciali. La Mongolia racconta la sua storia spesso ignorata e il suo rapporto con la religione, mentre il Kazakistan a Bajkonur prende bonariamente in giro Erika, e noi con lei. In Azerbaigian si giunge con un traghetto che salpa a orari letteralmente inintelligibili, ringraziando la guida Lonely Planet che «era stata così previdente da inserire la parte sulla repubblica secessionista dell’Artsakh, che fino al referendum del 2017 si chiamava repubblica del Nagorno-Karabakh, nel capitolo sull’Azerbaigian e non in quello dedicato all’Armenia» (p. 297). La Georgia incanta, come da manuale, con cibi, vino e monasteri, mentre l’Abcasia, «il paradiso di Stalin», forse, dice qualcuno, «non fosse stato per la guerra, oggi […] sarebbe una Monaco o una Monte Carlo!» (p. 356). Segue l’Ucraina, in cui le memorie di Erika, studentessa un tempo a Odessa, si mescolano con il suo nuovo viaggio nel Donbas in guerra. Ci si avvicina quindi all’exclave di Kaliningrad, passando per le martoriate terre bielorusse – dove si leggono forse i racconti più drammatici e duri legati alla seconda guerra mondiale, ma si conoscono anche le storie di grandi personalità come Marc Chagall – per poi giungere sulle romantiche dune della penisola lituana di Neringa, e ancora alla Polonia, a Danzica. Si risalgono poi le repubbliche baltiche, passando per la Daugavpils di Mark Rothko e per la bellezza appassita di Narva. Dopo un breve soggiorno “oltre confine” a Vyborg, si giunge in Finlandia e ormai, scrive Fatland, «tornare a Helsinki per me era davvero come tornare a casa» (p. 562). Giusto in tempo però per concludere il viaggio lungo la frontiera russa in kayak, lungo i sinuosi confini fluviali tra Russia, Finlandia e Norvegia.

La frontiera è un libro che sa appassionare gli amanti delle mappe, della geografia (sebbene talvolta i puristi delle traslitterazioni avrebbero da obiettare sulla resa in caratteri latini di certa toponomastica, e non solo), della storia e, in particolare, delle vicende meno note e curiose. Un grande merito da riconoscere all’autrice è quello di aver saputo spiegare in maniera chiara e concisa momenti storici complessi, come conflitti locali o secessionismi, o come l’attualità del Donbas. Riconosce la stessa Fatland, nei lunghi ringraziamenti in conclusione del libro, che la sua ricerca è stata approfondita e costante e, in particolare, il confronto con esperti ha garantito la riuscita di un libro che, per molti versi, può esser considerato come un viaggio enciclopedico attraverso regioni ai più remote e sconosciute. Proprio come un’enciclopedia, La frontiera si può leggere e sfogliare anche saltando da un punto all’altro, a seconda della propria curiosità e interessi. Anzi, è possibile che sia proprio questa la sua natura, visti i frequenti rimandi interni a nozioni già trattate in altri punti, che altrimenti possono risultare pedanti a una lettura ordinata. Conclude l’opera un’utile Storia della Russia in pillole, per il lettore meno avvezzo alle vicende cardine che hanno segnato il mondo russo nei secoli.

Difficile dire alla fine se sia «possibile capire un paese e un popolo osservandoli dall’esterno», soprattutto se il paese in questione è il gigante russo, eterogeneo e contradditorio, un Giano bifronte eternamente allo specchio; indubbio è che si finisce per conoscere il suo vicino, un Altro che si scopre, attraverso gli occhi di Fatland, incredibilmente affascinante, anche se spesso distante e difficile.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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