No, Milosevic non ha fatto anche cose buone

“Uno spettro si aggira per…” i Balcani e non solo: la convinzione che Slobodan Milosevic abbia fatto cose buone. E va detto proprio scomodando l’incipit del Manifesto, per negare un altro mito, cioè che l’ex presidente serbo fosse un autentico socialista.

Sia nei Balcani che altrove, a ricorrere a questo falso mito sono molti utenti – più bruni che rossi – che si sono forse galvanizzati quando il mese scorso è stato assegnato il Nobel alla letteratura a Peter Handke, che di Slobo fu amico, tanto da omaggiarlo al suo funerale.

Il disastro jugoslavo si è fondato su falsi miti, storici e nazionali, tra tutti gli schieramenti degli ex della Jugoslavia; ma ne ha prodotti di nuovi dopo il suo epilogo. Tra questi, che Slobodan Milosevic sia innocente, una vittima, un patriota che si oppose all’imperialismo dell’Occidente. Quell’Occidente dove lui stesso lavorò, come bancario, prima di guidare la Lega dei Comunisti serbi.
E qui forse si consuma il periodo di maggior socialismo del leader di origini montenegrine. Ma della dimensione jugoslava Slobo coltivò forse solo il culto di Tito. Ed è a lui che si ispirò, senza però mai avvicinarsi realmente al carisma del Maresciallo, quando nei turbolenti anni Ottanta scalò i vertici del potere, cavalcando insoddisfazioni socio-economiche e conseguenti rancori di stampo nazionalista.

Già nel 1986, quando prese la guida dei comunisti serbi, Slobo il socialista non esisteva più. Slanciato da quella classe intellettuale che trovò nell’Accademia Serba delle scienze e delle arti un riferimento socio-culturale, provocò la prima frattura al mondo jugoslavo quando sulla Piana dei Merli convinse migliaia di serbi che la Jugoslavia poteva sopravvivere solo a discapito di alcune sue nazionalità. Fu nel 600esimo anniversario della battaglia del Kosovo che finirono l’Unione e la Fratellanza che per decenni avevano fatto convivere albanesi, croati, musulmani e serbi nella più grande entità statale della storia contemporanea dei Balcani.

E le guerre che la distrussero sono forse l’unica cosa che riuscì a Milosevic. Combattute nel nome della Grande Serbia, di fatto l’hanno rimpicciolita. Ma il mito è rimasto vivo. Tanto che Slobo il socialista con i radicali di Vojislav Seselj – che della Grande Serbia aveva rivendicato i confini fino alle città croate Virovitica, Karlovac, Ogulin e Karlopag – ci governò.
Elencare ancora una volta gli atroci crimini di guerra di cui Milosevic fu responsabile sembra quasi banale, eppure c’è stato chi ha sostenuto che la morte prematura nel carcere dell’Aja in attesa di giudizio sia in qualche modo diventata un’assoluzione.
“E allora i croati?”, già. Quello strano benaltrismo balcanico per cui le atrocità compiute dall’”altro” – albanesi, croati o musulmani – assolvono dai propri peccati. Ed è persino superficiale ricordare che con il presidente croato Franjo Tudjman Slobo volle concordare i piani di spartizione della Bosnia-Erzegovina. A chi difende Slobo il patriota non importa.

Negli anni Novanta, periodo che gli apologeti probabilmente considerano il migliore del patriottismo e socialismo di Slobo, l’inflazione si mangiò la Serbia intera: con uno stipendio si comprava, correndo alla velocità della luce al negozio, un filone di pane; poi si tornava nel freddo di casa dove luce e gas erano razionati. “E’ colpa dell’Occidente!”, senz’altro. In ambito economico Slobo il socialista andò oltre la socializzazione dei mezzi di produzione, e perseguì anche quella dei risparmi dei cittadini, a esclusivo beneficio di un’élite di criminali. Le piramidi finanziarie non furono infatti un fenomeno relegato solo alla vicina Albania: ebbero fortuna innanzitutto a Belgrado. Grazie al sostegno di Slobo il socialista, Dafina Milanovic fondò la “Dafiment banka”. Una banca truffaldina basata sullo schema Ponzi, un sistema che attira risparmiatori attraverso tassi di interesse vantaggiosi e lauti guadagni in cambio di nuovi creditori alla banca, che si regge quindi su uno schema piramidale. Un sistema che imbrogliò migliaia di cittadini serbi, che – grazie a Slobo il patriota – persero milioni di marchi di risparmi di una vita.

“Ma combatté i traditori!”, sì è vero. In effetti ammazzare i giornalisti sotto casa il giorno di Pasqua è un atto patriottico. Nel 1999, quando Slavko Curuvija venne ucciso in pieno centro a Belgrado, il ministro dell’Informazione del regime di Milosevic era Aleksandar Vucic. Gli estimatori di Slobo saranno contenti di vederlo oggi alla guida della Serbia, dove la libertà di stampa è addirittura peggiorata. Un’altra cosa riuscita a Slobo: aver abituato la società serba a pessime condizioni sociali ed economiche e a gestioni del potere liberticide.

L’anno scorso, quando il Partito Socialista che fu di Slobo – che oggi, non a caso, governa con Vucic – propose di erigere un monumento a Milosevic, chiesi a Zoran Zivkovic, l’ex premier che nel 2003 subentrò a Zoran Djindjic dopo il suo assassinio, cosa ricorda Belgrado di quel periodo. “Un decennio di guerre, sanzioni, attacchi politici, iperinflazioni, omicidi, cittadini regolarmente picchiati, code per il pane, stipendi da tre marchi, fame e disperazione”.
Tutto quello che nella Jugoslavia socialista – quella vera, con tutti i suoi difetti – non c’era stato.

Ed è per questo che Milosevic non ha fatto niente di buono: perché si è appropriato di un’eredità, quella della Jugoslavia socialista, che non gli spettava, stravolgendone l’essenza e compromettendone la memoria.

 

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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