Dal 28 novembre un muro di ferro blocca il centro di Tbilisi e la polizia impedisce il passaggio su viale Rustaveli, la strada principale della città. Si tratta dell’ultima mossa del governo per bloccare le proteste che hanno infiammato la Georgia per tutta la scorsa estate e che si sono riaccese il 14 novembre, dopo che il parlamento ha respinto la proposta di legge per un sistema elettorale proporzionale.
Nuove proteste, stesse reazioni della polizia
Una bocciatura che aveva scatenato l’ira dei cittadini, immediatamente scesi a manifestare davanti al parlamento per giorni, bloccando l’accesso all’edificio e chiedendo elezioni anticipate. La risposta del governo non si è fatta attendere: la polizia, in assetto antisommossa, ha cercato di disperdere la folla usando cannoni ad acqua in due occasioni separate – l’ultima il 26 novembre – nonostante le temperature sotto zero e gli appelli di varie organizzazioni internazionali contro l’uso della forza.
L’azione ha causato diversi feriti, tra cui uno gravemente ferito all’occhio, una coincidenza sinistra che rievoca cupamente le proteste di giugno in cui due manifestanti avevano perso un occhio. Decine di persone sono state arrestate, alcune delle quali hanno dichiarato di aver ricevuto pugni e calci dalla polizia.
Lo scollamento tra governo e cittadini
Il passaggio a un sistema elettorale completamente proporzionale era una delle due richieste principali dei cittadini georgiani al governo durante le manifestazioni di quest’estate. L’altra erano le dimissioni del ministro degli interni Giorgi Gakharia, che a giugno aveva dato l’ordine alla polizia di usare lacrimogeni e pallottole di gomma sulla folla.
Gakharia non solo non ha mai presentato le dimissioni, ma si è guadagnato la promozione a Primo Ministro. E il Sogno Georgiano, il partito di governo, sembrava volere accontentare i cittadini sul proporzionale, ha fatto retromarcia, contemplando l’adozione di un sistema al 100% maggioritario. Una scommessa rischiosa in vista delle elezioni parlamentari del prossimo anno.
Il Sogno Georgiano sembra essere non soltanto lontano dalle esigenze dei cittadini, ma apertamente irrispettoso nei loro confronti. Il suo fondatore, il milionario Bidzina Ivanishvili, è arrivato a suggerire ai georgiani di emigrare per risolvere il problema della disoccupazione – che secondo dati ufficiosi arriva anche al 21% – mentre Kakha Kaladze, il difensore del Milan reinventatosi sindaco di Tbilisi, ha mostrato il dito medio ai manifestanti mentre lasciava il parlamento.
Il fallimento del dialogo
L’ambasciata USA e la delegazione UE in Georgia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui invitavano al dialogo tra governo, opposizione e società civile. Un dialogo che si è svolto il 30 novembre su iniziativa di diplomatici stranieri, con il Sogno Georgiano ha incontrato dei rappresentanti dell’opposizione per discutere della possibilità di adottare un sistema elettorale misto simile a quello tedesco.
Esclusi dall’incontro sia gli esponenti della società civile che avevano organizzato le proteste, sia i rappresentanti del Movimento Nazionale Unito dell’ex presidente Mikhail Saakashvili. Il meeting, comunque, non ha portato a nulla, con il Sogno Georgiano che ha rifiutato ogni compromesso restando arroccato sulle sue posizioni. Per ora il maggioritario è ancora qui, come il muro di ferro intorno al parlamento, simbolo dell’incomunicabilità tra il governo e i suoi cittadini.