Giornalisti o terroristi? Libertà di stampa in Turchia. Intervista a Eyten Mahçupyan

La Turchia è un animale strano, con la testa in Europa e l’anima di mezzaluna, è stata prima califfale, poi marziale e laica, e infine atlantica. Con i suoi carrarmati ha spianato le libertà democratiche di cui era però prezioso alleato. Oggi si scopreislamica mentre qualcuno la vorrebbe europea, ma molti nodi restano irrisolti, non da ultimo quello dellalibertà d’espressione e di stampa. Se leggiamo gli autorevoli pareri di Reporter sans frontières scopriamo che il paese si trova al 154° posto, in peggioramento rispetto agli anni precedenti. Il recente rapporto del Committee to Protect Journalists spiega le cause di questo peggioramento indagando sullo specifico tema dei giornalisti turchi in prigione, in totale 76, numero confermato da Amnesty International, che segnala torture e iniquità del sistema giudiziario, indicando (oltre a quelli in carcere) anche i nomi dei giornalisti minacciati durante lo scorso anno.

Per capirci qualcosa di più ne abbiamo intervistato uno, si tratta di Eyten Mahçupyan, turco di origine armena, direttore del settimanale turco-armeno Agos dal 2007, quando succedette a Hrant Dink, fondatore del giornale, ucciso per mano di un nazionalista turco. Si tratta di un giornalista che sa cosa vuol dire essere minacciati. Così ci sorprende quando dice: «In Turchia la libertà d’espressione non è stata mai così ampia, si può parlare e scrivere di tutto tranquillamente compreso il genocidio armeno». La questione armena, e del suo genocidio, e quella curda sono nervi scoperti. «Non c’è nessuna conseguenza negativa nel criticare il nazionalismo turco».

Eppure l’art.301 del codice penale turco punisce chi “offende l’identità turca”, una misura sovente utilizzata per mettere a tacere i giornalisti. «L’art. 301 è stato riformato nel 2008 su indicazione dell’Unione Europea, si riduce a due anni la pena detentiva e si parla di “Stato turco”, non più di “identità”. È un passo avanti». Ma lei non è stato oggetto di minacce lo scorso anno? Lo riporta Amnesty International… «Non ricevo minacce dal 2009. Non bisogna prestar troppa fede a queste agenzie, a volte fanno propaganda. Vede, che Erdogan e il suo governo siano legati a tradizioni islamiche non ci piove ma in questo modo hanno allontanato la Turchia dal nazionalismo producendo una classe dirigente tutto sommato riformista». Ma come, e i 76 giornalisti in carcere? «Non sono incriminati per reati connessi alla loro professione né per avere espresso critiche al governo, ma per reati di tipo eversivo o per legami con il Pkk».

Il Pkk è il partito curdo dei lavoratori, d’ispirazione marxista, si è macchiato di attentati terroristici non solo nei confronti di obiettivi militari ma anche in aree urbane, come l’esplosione nel 2010 di un autobus nel quartiere di Atasehir di Istanbul, che ha mietuto vittime fra i civili. È inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche dell’Unione Europea.
«La questione curda è molto complicata, spesso all’estero viene distorta o, peggio, manipolata. Oggi esiste un partito curdo democratico (Bdp) che siede in Parlamento. In queste settimane sono in corso trattative di pace tra il governo e il Pkk per mettere definitivamente fine al terrorismo». Eppure alcuni giornalisti, come Zeynep Kuray, Ragip Zarakolu e Erol Zavar, sono stati condannati con l’accusa di essere militanti filo-curdi. Anche la militanza politica è una forma di libertà d’espressione. «È vero, ma la militanza per un movimento considerato terroristico è associazione a delinquere. Non dico che sia giusto condannarli. Quello che dico è che in Turchia il sistema giudiziario è da riformare. Il codice e i giudici sono ancora troppo legati al kemalismo».

Quindi non sono proprio rose e fiori, la magistratura ha una capacità di censura che può utilizzare anche contro la stampa. «Non ho mai detto che siano rose e fiori. La magistratura ha una sua autonomia. Lo Stato ha sempre fatto delle pressioni e ha impedito (o quantomeno reso difficili) i progressi democratici: anche oggi si tratta di conseguenze del regime kemalista». Quindi tanto rumore per nulla? «Certo che no, ci sono ancora dei problemi in Turchia in merito alla libertà di stampa e di espressione perché il governo vuole influenzare i media e gli editori vanno spesso a braccetto con la politica. Questo porta ad autocensure, intimidazioni, o scarsa indipendenza dei giornalisti».

si ringrazia Murat Cinar per le traduzioni dal turco

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. Vorrei segnalarvi un bellissimo articolo di Cengiz Candar sul giornalismo in Turchia, e la storia ancora poco conosciuta di Hasan Cemal, nipote di Cemal Pasha (architetto delle violenze sugli armeni sul finire dell’impero ottomano), coraggioso autore del libro “1915: il genocidio armeno”. Hasan Cemal è un ex giornalista del Milliyet, ha da poco perso il lavoro, si dice, su pressioni del governo..

    http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2013/03/turkey-censorship-journalism-free-press-milliyet.html

  2. Bonaiti Emilio

    Per curiosità si potrebbe pubblicare l’elenco dei 153 paesi che precedono la Turchia nella classifica del Rapporto del Committee to Protect Journalists?
    Rapportando la situazione turca al nostro paese va ricordato che una signora giornalista che sostenne che i Brigatisti rossi erano “compagni che sbagliano” continua liberamente ad esercitare la professione di giornalista naturalmente

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