SLAVIA: L'utopia panslavista. Quando i polacchi invocavano l'annessione alla Russia

La nascita di un’idea

Malgrado il processo di diversificazione, tra i popoli slavi restava viva la coscienza dell’unità originaria o quantomeno della prossimità culturale. Certo l’idea di una “fratellanza slava” ha richiesto tempo per evolvere e maturare ma già nel 1601 assistiamo alla prima compiuta riflessione sull’unità culturale slava, segno che l’idea circolava sotterranea già da tempo: è il monaco Mavro Orbini, ragusano, con il libro Storia sul regno degli Slavi, pubblicato a Pesaro, a dare impulso all’idea slava.

Sulle sue orme andrà un altro prete cattolico, questa volta croato, Jurij Krizanic, autore di una Storia dell’impero russo nel secolo XVII che individuerà nella Russia la nazione guida per il riscatto delle genti slave oppresse dai turchi e dai tedeschi. Non si trattò di adulazione visto che Krizanic, dopo aver esposto le sue idee in Russia, fu condannato a quindici anni di esilio in Siberia in quanto ritenuto “politicamente pericoloso”.

Dai Balcani alla Polonia

Quando lo zar russo Pietro il Grande decise di attaccare i turchi e liberare Azov, gli slavi videro in lui un salvatore. Specialmente nei Balcani si diffuse la speranza che lo zar attaccasse i turchi anche su quel fronte liberando gli slavi del sud dal “giogo ottomano”. Gli slavi del sud non furono gli unici a sperare nell’intervento “liberatore” della Russia. Anche in Polonia, per resistere alla germanizzazione, si guardava al vicino russo. Lo scolastico polacco Stanislaw Trembecki, colpito dalla sottomissione degli slavi e dalla spartizione della Polonia del 1772, scrisse nel 1784 un poema nel quale dichiarava senza mezzi termini la fratellanza tra russi e polacchi: “E’ lo stesso sangue, la stessa lingua, la stessa natura decisa, la stessa incrollabile audacia, lo stesso sprezzo della morte”.

L’idea panslavista nasce in Polonia

E’ da notare come Trembecki dicesse “la stessa lingua“, anche se tra polacco e russo esistono ed esistevano sensibili differenze che la situazione politica imponeva di accantonare: per la Polonia messa in pericolo della germanizzazione, la Russia poteva essere una nazione sorella. Diversamente, per la Polonia degli anni Trenta del secolo scorso, la Russia era un nemico da cui guardarsi. Segno di come spesso le identità culturali non sono che il riflesso delle necessità politiche. Trembecki era un realista: anche la Polonia aveva ambìto al ruolo di guida dei popoli slavi, ma nel XVIII° secolo non era più in grado di assumersi quell’onere. Il testimone doveva allora passare alla Russia, lo stato più forte tra quelli slavi, e bisognava accettarne il cesaropapismo perché “l’unione degli slavi nell’impero russo condurrà all’Unione dell’Europa e farà scomparire la guerra in questa parte del mondo“. L’Unione Europea fatta a partire dai paesi slavi, un corso alternativo della storia che oggi si mostra in tutta la sua suggestione.

Adam Czartoryski (1770-1861), esponente della nobiltà polacca, fu un grande patriota eppure auspicò l’annessione della sua patria alla Russia specialmente per difenderla da Napoleone. Opinioni del tutto differenti ebbe un altro patriota ed eroe polacco, Josef Poniatowki, erede dell’ultimo re di Polonia, che combatté al fianco di Napoleone per restituire al suo paese almeno una minima libertà, come in effetti avvenne con l’istituzione dell’effimero granducato di Varsavia.

Dopo le guerre napoleoniche lo zar Alessandro I° si fece carico dell’idea pan-slavista ma solo per mero tornaconto politico, guardandosi bene dal realizzare quel “sistema federativo delle nazioni slave” che Czartoryski e altri pan-slavisti polacchi auspicavano. Il dominio russo sulle nazioni slave confinanti (Polonia e Ucraina) non fu tanto diverso da quello tedesco su Boemia, Slovacchia, Polonia, Croazia o dal “giogo” ottomano in Serbia, Montenegro e Bosnia. La disillusione sarebbe giunta ben presto.

Il panslavismo federale, utopia antizarista

Se l’origine dell’idea degli “slavi uniti” è polacca (non senza sorpresa), il suo sviluppo è tutto russo. Nei primi anni dell’Ottocento si diffusero in Russia molte società segrete che congiuravano contro l’assolutismo zarista. Questo fenomeno, noto con il termine generico di “decabrismo“, coinvolse rivoluzionari liberali, gradi minori dell’esercito e intellettuali. Nel 1824 alcuni di questi fondarono la Società degli Slavi uniti con lo scopo di “riunire i popoli slavi in un’unione federativa” ma vennero repressi duramente nel 1825 quando l’insurrezione decabrista andò in scena senza successo.

L’idea dell’unità slava si era però ormai diffusa e il grande poeta ucraino Taras Shevchenko diventerà l’araldo della solidarietà slava anche se questa volta il “giogo” contro cui unirsi non era quello ottomano, ma quello russo. Un “giogo” sotto il quale si trovò anche la Polonia che, dopo l’insurrezione del 1830, perdeva ogni chimera nei confronti del vicino russo. L’influenza di Taras Shevcenko si fece sentire e la Confraternita dei santi Cirillo e Metodio riprese l’idea pan-slavista: un romanziere, un giurista e alcuni studenti di Kiev furono i sostenitori di un’unione federativa tra i popoli slavi. Pur trattandosi di un piccolo e apparentemente innocuo gruppo, la reazione della polizia zarista fu durissima come in generale la repressione dell’idea pan-slavista.

Bakunin e l’utopia infranta

E alla repressione seguì la radicalizzazione. Il filosofo rivoluzionario e anarchico Michail Bakunin, invitato al primo congresso delle nazioni slave, tenutosi a Praga nel 1848, nel pieno della temperie nazionalista, disse apertamente che se gli slavi speravano nella Russia sbagliavano di grosso: “voi chiedete la vita e lì c’è solo mortale silenzio” e arrivò a definire la Russia uno stato “knuto-germanico”, dove “Knut” vuol dire frusta. Si diceva insomma che l’impero degli zar era solo una versione diversa di dominio “alla tedesca”. “Entrando nella Russia dell’imperatore Nicola scendereste nella tomba di qualsiasi libertà”. Con Bakunin si infrange l’utopia panslavista. Proprio mentre molte nazioni “risorgevano” in quel 1848 gravido di speranze e conseguenze, l’idea dell’unità slava perdeva colpi. A chi rivolgersi se anche la Russia, il paese guida, non avrebbe garantito alle nazioni slave la libertà? Il tempo dell’autodeterminazione nazionale degli slavi sarebbe presto venuto ma ognuno avrebbe fatto per sé. 

Dal panslavismo agli “slavofili”

Ma anche in quella “tomba della libertà” non mancò chi si chiese che cosa fosse la Russia e dove dovesse andare. Verso le grandi pianure dell’oriente o verso l’Europa e i suoi modelli politici ed economici? Una questione aperta fin dai tempi di Pietro il Grande, l’imperatore che fondò San Pietroburgo (1703) e fece della Russia una potenza europea, non già asiatica. L’idea panslavista russa a metà Ottocento si trovò a fronteggiare quella dei “filo-occidentali” e cambiò ragion d’essere. Il pan-slavismo federalista e liberale (persino libertario, con Bakunin) fu soppiantato dall’idea che la Russia avesse un ruolo messianico: quello di unire gli slavi sotto la sua protezione. L’unità degli slavi non era più, quindi un progetto di autodeterminazione dal basso, pur sotto l’impulso di una nazione guida mossa da ideali solidaristici, ma una realtà imposta dall’alto sotto la spinta dell’egoismo zarista. Gli intellettuali che si fecero promotori di questa idea si chiamarono “slavofili” anche se apparve chiaro fin da subito che erano “russofili”. La lotta tra “russofili” e occidentalisti proseguirà per tutto l’Ottocento e arriverà fino ai giorni nostri, incrociando alcune domande fondamentali sull’identità russa e sul destino della nazione russa. Ma ne parleremo nella prossima puntata.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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