di Caterina Francesca Guidi
“Innanzitutto, gli Stati membri devono garantire che i Rom non siano discriminati, bensì trattati come ogni altro cittadino UE, con pari accesso a tutti i diritti sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” – Dal Quadro UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020
Il Centro europeo di prevenzione e di controllo delle malattie (ECDC), che compie un costante monitoraggio del processo d’immunizzazione della popolazione, ha sottolineato da tempo come il calo sia attribuibile non soltanto alla non obbligatorietà di alcuni di questi programmi negli Stati membri ma anche alla difficoltà di raggiungere determinati gruppi all’interno della popolazione.
Le caratteristiche sanitarie della popolazione rom
Queste popolazioni difficilmente raggiungibili sono costituti, in particolare, da minoranze, viaggiatori e alcune categorie di migranti che versano in terribili condizioni di vita quotidiana. Tra le minoranze il gruppo più numeroso è rappresentato dai rom, stimati tra i 10 e i 12 milioni sul suolo del continente europeo e, di questi, quasi 6 milioni nella sola Unione. Con la comunicazione del 2011 citata in apertura, l’Unione Europea ha invitato i suoi membri ad adottare strategie nazionali specifiche per favorire l’integrazione, pure sanitaria, di questo specifico e popoloso gruppo di popolazione.
La diseguaglianza nell’accesso ai servizi sanitari per questa minoranza è legata anche ad una mancanza di campagne informative mirate, ad un limitato accesso alle cure sanitarie di qualità e ad una perdurante esposizione alle malattie infettive, con conseguenti rischi elevati per la salute. Il basso profilo socioeconomico, l’isolamento sociale e geografico e l’alto livello di analfabetismo rendono particolarmente vulnerabili i cittadini rom. Secondo un’indagine del 2009 dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Umani (FRA) il 17% dei partecipanti dichiarava di aver subito una discriminazione sanitaria nei 12 mesi precedenti. In altri studi, viene stimato che in media ben il 25% dei bambini non completa il ciclo di vaccini previsti, con drammatiche differenziazioni nelle percentuali tra i diversi stati membri.
Il “paradosso dei vaccini”
Scorrendo i risultati pubblicati dal Centro Europeo di Prevenzione, si nota come molti stati UE non conoscano l’esatta entità delle comunità rom presenti sul loro suolo. Inoltre, pur essendo i vaccini provvisti direttamente dal servizio sanitario nazionale, soltanto due paesi dichiarano di avere un piano di azione specifico per la vaccinazione contro morbillo e rosolia di questi gruppi all’interno della loro strategia nazionale.
Quello a cui stiamo assistendo è conosciuto in letteratura come il “paradosso dei vaccini”: da un parte l’Unione Europea deve ricordare ai propri paesi membri di non tagliare, in seguito alla crisi economica, la copertura sanitaria soprattutto verso quei cittadini più’ bisognosi d’attenzione. Mentre dall’altro sono in aumento i genitori, giovani e di medio-alto profilo economico, inclini a resistere nel vaccinare i figli dato che, grazie alle vaste campagne di immunizzazione del passato, non hanno vissuto le tragiche epidemie del vaiolo, della poliomielite e la difterite.
Ci chiediamo quindi, ai fini della prevenzione e dell’accesso alle cure, due temi cari alla sanità pubblica, quale Europa ci aspetta domani? Il timore, infatti, di creare una differenziazione nella copertura sanitaria tra vecchie e nuove generazioni e, all’interno di queste, verso alcuni gruppi di cittadini come i rom, talvolta maggiormente marginalizzati e meno consapevoli dei propri diritti, è oggi più che mai attuale e pressante.
Foto: Eugenio, Flickr