ARMENIA: Dalla generazione ’90 voci contro la guerra

Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il possesso del Nagorno-Karabakh sembra essere costantemente sul punto di riesplodere. Nonostante un cessate il fuoco imposto nel 1994 e diversi tentativi di pacificazione – tutti falliti – gli scontri armati lungo la linea di confine non sono mai terminati, causando crescenti tensioni tra i due paesi. Negli ultimi anni il conflitto armeno-azero ha visto una progressiva escalation di violenza, che ha raggiunto il suo apice massimo nella “guerra dei quattro giorni” dell’aprile 2016, con centinaia di morti da entrambe le parti.

Con l’intensificarsi degli scontri al confine, anche il risentimento tra i due popoli è aumentato, fomentato in larga parte dalle rispettive propagande. Così, negli ultimi venticinque anni armeni e azeri hanno finito per sviluppare una forte avversione reciproca, erigendo tra loro una barriera sociale, oltre a quella politica, che ha diviso in modo irrimediabile intere generazioni.

Ultimamente sembrano però iniziare a emergere alcune voci fuori dal coro; persone che, timidamente, stanno provando ad aggirare tale barriera, andando oltre al pensiero comune. Tra loro vi sono diversi ragazzi appartenenti alla generazione degli anni Novanta, nati durante il conflitto del Nagorno-Karabakh o nel periodo immediatamente successivo; la prima generazione a non avere ricordi diretti o a non aver vissuto sulla propria pelle le atrocità della guerra, della quale questi ragazzi hanno solo sentito raccontare dai genitori, da un parente che l’ha combattuta o semplicemente sui banchi di scuola.

Superare i pregiudizi e favorire il dialogo

Mariam, 25 anni, studentessa di scienze politiche presso l’Università Statale di Yerevan, ha sempre nutrito interesse nei confronti dell’Azerbaigian. “Mi piacerebbe, un giorno, avere la possibilità di visitarlo, per vedere come è la situazione là, come vive la gente, anche se mi rendo conto che fino a quando le cose non cambieranno sarà impossibile.

Al fine di favorire la distensione, per Mariam è necessario che la società armena superi i tanti pregiudizi nei confronti della popolazione azera. “Non bisogna fare l’errore di giudicare un intero popolo per quello che dice la nostra propaganda o per quello che fa il suo governo. Non credo che gli azeri siano quei mostri che vengono descritti dai nostri media. Come noi hanno dovuto affrontare una dura guerra durante la quale molta gente ha perso la casa, altri familiari e amici; per quanto sia difficile, bisogna provare a comprendere anche la loro posizione.

Secondo Arevik, 23 anni, studentessa di legge, è infatti il lavoro delle opposte propagande il maggiore ostacolo al processo di pace tra i due paesi. “L’Azerbaigian continua a provocarci attraverso minacce e discorsi d’odio. Di conseguenza, anche il nostro governo è indotto a fare lo stesso. Ma come si può discutere pacificamente e intavolare delle trattative se si continua di questo passo?” Nonostante anni di trattative, organizzate sotto l’egida del Gruppo di Minsk, le due parti non sono mai riuscite ad avviare un dialogo costruttivo, né tantomeno a ottenere risultati significativi.

Dal momento in cui ha intrapreso i propri studi universitari, Arevik ha iniziato a interessarsi alla questione del Nagorno-Karabakh. “Penso che il nostro popolo abbia diritto all’autodeterminazione, ma mi rendo conto che, per quanto difficile, questa disputa potrà essere risolta solo attraverso la diplomazia”. La priorità resta infatti la pacificazione della regione. “La nostra gente vuole la pace, è stanca di vivere in questa situazione, con la paura che da un momento all’altro possa scoppiare una nuova guerra, e ogni anno la situazione peggiora. Questa non si può chiamare libertà, il nostro governo deve prendersi le sue responsabilità e trovare una soluzione.

Amicizie impossibili

Mentre buona parte delle comunità armene e azere residenti in altri paesi post-sovietici come la Georgia o la Russia hanno continuato a intrattenere relazioni anche in seguito alla guerra degli anni Novanta, gli armeni di Yerevan hanno interrotto ogni tipi di rapporto con gli azeri di Baku, e viceversa. Solo recentemente i più giovani hanno trovato il modo di rompere questo isolamento, attraverso l’uso di internet e dei principali social network, piattaforme che però vengono solitamente utilizzate come teatro di scontri ideologici e campagne propagandistiche piuttosto che essere sfruttate come luogo di dialogo.

Anche in questo caso esistono però delle eccezioni, rappresentate da individui che, nonostante le numerose difficoltà, riescono a portare avanti relazioni, spesso tenute segrete per necessità. Tra questi vi sono anche diversi giovani, i quali attraverso la partecipazione a progetti internazionali o percorsi di studio all’estero hanno avuto la possibilità di entrare in contatto tra loro, finendo per sviluppare inaspettate amicizie.

È il caso di Hovik, 24 anni, il quale nel corso di un periodo di studio in Ucraina ha stretto amicizia con un ragazzo azero. “All’inizio per me era strano, non mi ero mai rapportato con degli azeri, e non avevo di certo una buona opinione di loro; poi però, col passare del tempo, è diventato tutto più naturale.

Discutendo tra loro, i due ragazzi non hanno potuto fare a meno di toccare la delicata questione del Nagorno-Karabakh. “Evitavamo appositamente di parlare di politica o della guerra, poiché sapevamo di avere visioni completamente differenti, anche se alla fine affrontare il tema è stato inevitabile. Quando però è successo, nonostante la tensione iniziale siamo riusciti a confrontarci in modo costruttivo.

Dopo aver fatto ritorno in Armenia, Hovik ha provato a mantenersi in contatto con l’amico. “Avevamo in mente di organizzare un incontro a Tbilisi, in Georgia: è l’unico modo che abbiamo per poterci vedere.” La Georgia, paese dove vivono diverse famiglie miste armeno-azere, intrattiene buone relazioni sia con Yerevan che con Baku; per questo viene spesso scelta come sede di progetti umanitari che ambiscono a fare entrare in contatto ragazzi provenienti da entrambi i paesi in conflitto.

È possibile una riconciliazione?

Esempi come quelli di Mariam, Arevik e Hovik (nomi di fantasia, gli intervistati hanno preferito rimanere anonimi) rappresentano ad oggi soltanto casi isolati. La maggior parte della società armena continua infatti ad avere una visione fortemente negativa dell’Azerbaigian e della sua popolazione, figlia delle ferite aperte dalla guerra e degli strascichi d’odio che essa ha causato. Anche per questo motivo, una riconciliazione tra i due paesi appare ancora lontana, e la situazione, almeno nel breve-medio periodo, non sembra essere destinata a cambiare.

Sebbene tra i giovani armeni persista tutt’ora una forte memoria collettiva legata alla guerra degli anni Novanta, la speranza è che le nuove generazioni, che formano o andranno a formare la società civile del futuro, dimostrino essere in grado di lasciarsi alle spalle le tensioni passate, dando vita a un nuovo corso di relazioni con coloro che vengono attualmente considerati i principali nemici dello stato.

Foto: Simon Bleasdale

Chi è Emanuele Cassano

Ha studiato Scienze Internazionali, con specializzazione in Studi Europei. Per East Journal si occupa di Caucaso, regione a cui si dedica da anni e dove ha trascorso numerosi soggiorni di studio e ricerca. Dal 2016 collabora con la rivista Osservatorio Balcani e Caucaso.

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